Verso un nuovo pensare

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Carl Gustav Jung lo scrisse e lo ripeté più volte nel corso della sua lunga vita:

“Una psicologia che ritenesse la coscienza umana solo un mero epifenomeno dei processi bio-elettrici delle reti neurali, meglio farebbe a chiamarsi psico-neurologia.”

E di fatto, nel corso di questi ultimi decenni le Neuroscienze hanno fatto il loro ingresso trionfale nelle facoltà di Psicologia, a discapito di tutti quegli indirizzi umanistici che, fino a pochissimi anni fa, le avevano caratterizzate. Il riduttivismo biologico di S. Freud è stato amplificato ed esaltato e le psicoterapie anglo-americane – Behaviorismo, Comportamentismo, Cognitivismo e Terapie strategiche brevi – sono state privilegiate. Parlare dell’anima anche e soltanto come sono solite fare la Psicologia del profondo, la Logoterapia o la Psicosintesi, ammesso che non venga deriso dai fanatici del materialismo integrale, è come minimo indecoroso.

 È anche vero, però, che nessun umanista è mai riuscito a definire o comunque a fornire un fondamento certo sulla natura ultima dell’anima, o della coscienza o dello stesso Io. E questo perché da molti, troppi anni, l’esistenza di una reale e attiva dimensione spirituale non è più stata nemmeno presa in considerazione… senza però rendersi conto che in mancanza di un un tale presupposto concettuale, “provato”, sperimentato e non astratto, l’esistenza autonoma e indipendente dell’anima, della coscienza e dell’Io dai processi neurali che li supportano non possono essere nemmeno immaginati.

Non c’è nulla da fare: senza lo Spirito l’anima, la coscienza e l’Io sono solo effetti più o meno secondari di complessi processi materiali.

Eppure, Jung era stato tentato di andare oltre i propri limiti. A partire dagli anni ’30, infatti, egli iniziò a studiare una serie di fenomeni che definì “sincronistici”, oppure .  In essi egli intravede la coincidenza tra due eventi diversi e in particolare tra un evento interiore, psichico (sogno, idea improvvisa, presentimento) e un evento esterno (dato di fatto obiettivo).

A chi non è capitato di vivere curiose coincidenze di questo genere: sogniamo di notte una persona e la incontriamo il giorno dopo, oppure fantastichiamo una determinata situazione e questa poi accade senza che noi interveniamo per favorirla.

Di solito si tende a considerare questi eventi come puramente casuali e non si attribuisce loro molta importanza. Per Jung, invece, essi furono di grande interesse: mostrerebbero infatti l’esistenza di legami, di corrispondenze tra il mondo fisico e quello psichico. Tali coincidenze significative tra l’evento psichico e quello fisico non sarebbero spiegabili ricorrendo al rapporto causa e effetto, eppure il rapporto esiste ed è evidente: si tratterebbe di un’affinità di senso, di contenuto, che ci balza agli occhi immediatamente quando viviamo un’esperienza del genere. Secondo Jung, pertanto, il legame tra realtà fisica e psichica non scaturirebbe da connessioni causali, ma da una dinamica nascosta comune ad entrambe, da un ordine che collegherebbe tutte le cose. Quest’ordine comune, generale – che tuttavia Jung non osò definire “spirituale” – creerebbe legami a-causali tra eventi diversi. Si profilerebbe quindi l’introduzione di un nuovo principio esplicativo della realtà, da porre accanto al principio di causalità. Jung chiamò questo principio “sincronicità”.

La cosa davvero straordinaria, però, fu il fatto che in quegli stessi anni un nuovo paradigma, determinato dalla impossibilità di conoscere lo “stato” delle particelle sub-atomiche (secondo il “Principio di indeterminazione” di Heisenberg), comparve anche all’interno della fisica dei quanti. Il principio di causalità, tanto caro alla fisica ottocentesca, sembrava dunque vacillare.

Non a caso queste intuizioni di Jung coinvolsero anche il futuro premio Nobel Wolfgang Pauli secondo il quale la realtà sarebbe troppo complessa per essere descritta in maniera esaustiva dal principio di causalità. 

Di fatto, lui e Jung collaborarono per più di trent’anni senza però riuscire a proporre una vera e propria visione del mondo che desse conto di questo Ordine Superiore ove tutto risulterebbe collegato. Si potrebbe quasi dire che, più che altro, lo descrissero… proponendosi come fenomenologi spregiudicati di una realtà superiore che stentava ad essere riconosciuta.

In quegli stessi anni, tuttavia, un altro protagonista indiscusso della Nuova Fisica si cimentava nello studio della realtà complessa del mondo: David Bohm.

La visione bohmiana scaturì dalla riformulazione della equazione di Schrödinger nella quale Bohm inserì un parametro – da lui identificato in seguito come “potenziale quantico” – che invalidava gli aspetti caotici, indeterminati o probabilistici della teoria quantistica classica, a favore di una concezione del tutto deterministica.

La teoria si rinforzò grazie al successo del famoso esperimento EPR realizzato dal fisico Alain Aspect nel 1982, che dimostrò senza ombra di dubbio alcuno come due particelle subatomiche siano capaci di comunicare istantaneamente una con l’altra indipendentemente dalla distanza che le separa, che si tratti di 10 metri o 10 miliardi di chilometri. Su questa base, senza bisogno di mettere in discussione la teoria della relatività di Einstein, che fissa il limite della comunicazione “locale” (cioè nel tempo e nello spazio) nella velocità della luce, si poteva invece supporre che le particelle fossero in comunicazione continua, perché entrambe “immagini” provenienti da uno spazio non più locale, non più noto o, meglio, non esistente. Il motivo per cui le particelle subatomiche restano in contatto indipendentemente dalla distanza che le separa, nella teoria di Bohm risiederebbe nel fatto che la loro separazione è una illusione. Esse non sarebbero “parti” separate, bensì sfaccettature di una unità più profonda e basilare, che lo scienziato chiamò Ordine Implicato, per distinguerla da quel livello di Realtà Esplicata di cui la nostra coscienza ordinaria fa continuamente esperienza. L’universo che conosciamo si risolverebbe allora in una proiezione, una sorta di OLOGRAMMA che sottende e rimanda ad un livello più profondo dove tutto sarebbe collegato a tutto, e ogni “cosa” sarebbe parte integrale e inseparabile di questo tutto.


Gli strati dell’Ordine Implicato possono scendere a livelli sempre più profondi e hanno tutte le caratteristiche di una intelligenza sublime, o cosmica, che Bohm definì appunto Apice Cosmico. Essa agirebbe attraverso il potenziale quantico (o campo informativo) il quale, come coscienza segreta della materia vivente e non vivente, “guida” le particelle più piccole che compongono la struttura dell’ordine esplicato. Di fatto, secondo Bohm, la mente cosmica agisce creativamente, ma deterministicamente, attraverso il mondo cristallizzato della realtà esplicata e, in questo modo, riflette sé stessa.

L’attività conoscitiva promossa dal pensiero umano non sarebbe pertanto né disgiunta né inessenziale al tutto, ma parte in causa diretta della creazione della realtà apparente nella quale è per il momento imprigionata. Pensiero e realtà, osservatore e oggetto osservato sono intimamente correlati anche se per comprendere a fondo tale loro correlazione bisognerebbe poter arrivare a quella purezza assoluta del pensare che Bohm mutua da Hegel, ma della quale avevano già parlato – come “Pensiero Forte”, ben distinto da quello sciacquettio ordinario con il quale di solito ci trastulliamo – i nostri Benedetto Croce e Giovanni Gentile.

Insomma, ci sarebbe stato di che integrare le intuizioni speculative della psicologia del profondo e i nuovi orizzonti aperti dalla Meccanica Quantistica… ma questo non accadde.

Il potere enorme, arrogante e violento della scienza materialistica (che in realtà si appoggia sulla fisica classica) – e che in un mio precedente articolo ho paragonato piuttosto a quello di una religione dogmatica – non ha concesso il minimo spazio all’apertura verso una nuova dimensione della realtà e della nostra stessa esistenza. Spacciando gli innegabili grandiosi risultati del progresso tecnologico per quello che non erano (cioè un ampliamento delle conoscenze scientifiche) i teorici del materialismo assoluto hanno asservito a sé medici, psicologi e filosofi di tutto il mondo, riuscendo di fatto a soffocare l’anelito dello spirito umano a manifestare sé stesso.

Come se non bastasse la New Age ha fatto il resto… offrendo pensieri fumosi, emozioni gratuite, slanci entusiastici ed esperienze assai discutibili che, in realtà, sono andati ad alimentare – e giustamente – i materialisti più radicali.

Il mondo, e non solo quello occidentale, sembra sul punto di soccombere sotto la stretta soffocante del peggior materialismo di sempre, e la possibilità di testimoniare la presenza di un mondo spirituale nell’avventura umana diventa sempre più difficile.

Certo… per chi ha ricevuto dal destino il dono di incontrare la scienza dello spirito di Rudolf Steiner o di ricevere gli insegnamenti di Massimo Scaligero, la Via passa per lo sviluppo di un pensare svincolato dal sistema neuro-sensoriale… E rintracciabile, già come prima “esperienza” pratica, nell’appropriazione delle catene concettuali attraverso le quali si sviluppano Filosofia della libertà, Le opere scientifiche di Goethe o Il trattato del pensiero vivente.

Tuttavia, io sono convinto che lo sforzo prodotto da tutti coloro che, oggi come oggi, si impegnano per invalidare i presupposti della fisica classica e la visione materialistica della dogmatica scienza ordinaria meriti un adeguato riconoscimento.

Sono pur sempre degli aneliti. Testimoniano un impegno.

Penso, ad esempio al dott. Pim van Lommel, un cardiologo ricercatore olandese che, prendendo spunto dalle ricerche di Raymond Moody, ha prodotto lo studio più accurato ed attendibile, pur nei parametri del metodo scientifico classico, sui fenomeni di NDE (esperienze di pre-morte) e quelli di OBE (esperienze fuori del corpo). Una ricerca minuziosa e impeccabile, quella di van Lommel, che ha ricevuto, ça va sans dire, più critiche e giudizi sarcastici che non riconoscimenti.

Ancora una volta, però, l’impressione è che i migliori risultati, o almeno quelli più vicini alla realtà dello spirito, saranno proprio quelli dei ricercatori di punta della meccanica quantistica. Quasi come se il dissolversi del pensare ordinario (fondato sulle consuete categorie spazio-temporali) necessario per acquisirne una pur minima comprensione possa essere un trampolino di lancio per ben altri sviluppi. Lo intuì Heisenberg, quando descrisse lo sconcerto quasi delirante delle sue prime scoperte (in Filosofia e scienza) e lo intuì Bohm quando, negli ultimissimi anni della propria vita, si andò concentrando quasi esclusivamente sul “mistero” del pensiero che pensa l’universo.

Oggi, un nome nuovo si affaccia alla ribalta delle cronache scientifiche: Federico Faggin, italiano, ingegnere informatico, inventore dei primi microprocessori Intel 4004 e Z80, tutt’ora in produzione, delle memorie EPROM e RAM dinamiche, dei sensori CCD, del Touchpad e del Touchscreen che hanno portato alla nuova tecnologia digitale.

Insomma, non certo l’ultimo arrivato

 Ebbene, questo scienziato ricercatore, esperto di meccanica quantistica, nel lontano 1990, quando era già all’apice dei massimi successi scientifici ed economici, ricevette una prima, folgorante esperienza spirituale. Nel tempo, altre ancora gliene furono donate… molto probabilmente perché il mondo spirituale lo aveva ritenuto moralmente degno di tali svelamenti e, forse, anche “utile” in questo momento di oscura follia materialistica.

 Di fatto, lui si è messo all’opera e, da allora, indaga e studia la coscienza dell’uomo.

Certo… Faggin parla un linguaggio che, per quanto semplificato, resta per addetti ai lavori. Ma io credo che la cosa abbia poca importanza, perché il messaggio comunicato da uno scienziato di tutto rispetto e che difficilmente si potrà screditare, paradossalmente, proprio con la forza della sua notorietà e del suo credito scientifico, colpisce al cuore anche le persone più semplici.

Un appuntamento prezioso per ascoltare Federico Faggin a Napoli il 22 Ottobre 2022

Non a caso, verso la fine del suo ultimo libro: “Irriducibile”, troviamo queste parole:

Nella visione corrente della realtà, l’emergere della coscienza e del libero arbitrio è stato posto alla fine dell’evoluzione anziché al suo inizio. Causa ed effetto sono stati invertiti, e così facendo si è banalizzata la natura della nostra umanità.

Io credo invece che noi siamo seyti (leggi: Io) che abitano temporaneamente i nostri corpi. Siamo esseri eterni, coscienti, non corpi deperibili. E siamo qui per apprendere aspetti cruciali di noi stessi interagendo gli uni con gli altri nell’universo fisico che abbiamo creato proprio per questo scopo.

La creazione è quindi la continua ricerca di UNO di conoscersi sempre di più.

Ed è a mio avviso straordinario che poco prima della fine del testo, Faggin riecheggi quasi le stesse identiche parole lasciateci da Leonardo da Vinci nel suo Codex Leicester:

Ed è importante sottolineare che conoscere è amare, e amare è conoscere. 

Federico Faggin

Per arrivare a queste tutto sommato semplici considerazioni, e difendere la irriducibilità della coscienza umana a mero epifenomeno dei processi cerebrali, Faggin ha dovuto e voluto rielaborare creativamente i più recenti risultati della fisica teorica e della meccanica quantistica.

Certo… chi desiderasse cimentarsi nell’impresa dovrebbe come minimo avere una certa dimestichezza con il significato profondo dell’Entaglement, dello Stato Quantico, dello Spin degli elettroni e della loro relazione non-locale, di cosa sia un Ologramma, della differenza tra informazione morta e informazione viva, dei Qualia (sensazioni, sentimenti e pensieri) e così via.

Ancora una volta, inevitabilmente, tutti coloro che sono stati educati alla scienza dello spirito nel leggere “Irriducibile” avvertiranno la consueta, inavvertita dimenticanza dell’autore di osservare il processo con cui egli connette i propri pensieri, nonché la mancanza di una adeguata prassi esperienziale in grado di risalire, ogni volta, al momento in cui Tutto è Uno e Uno è Tutto. Avvertiranno la mancanza del più elementare riferimento a quella gerarchia del mondo spirituale che gli permetterebbe di distinguere il Logos creatore dalle proprie creature… chiamate, attraverso un libero processo conoscitivo, a riconoscersi in Lui.

Mi permetto tuttavia di credere che va bene anche così… C. Gustav Jung, Wolfgang Pauli, Karl Pribram, David Bohm, Federico Faggin possono essere tutti considerati “teste d’ariete” impegnati a scardinare la dogmaticità della fisica classica e del pensiero rigido e stereotipato su cui si basa il fanatismo religioso della scienza moderna.

Non è ancora la Via… ma un approssimarsi alla stessa. 

 Perciò, non posso perciò esimermi dall’accennare in questa breve rassegna al contributo di un altro grande nostro scienziato: Vittorio Marchi, anche lui fisico e ricercatore, venuto a mancare nel 2017 per una banale caduta dal balcone della propria casa. A risvegliare l’anelito spirituale di Marchi fu un “incontro” particolare, avvenuto nella sua maturità, intorno al 1968. Di fatto, dopo di allora, molti furono i lavori che egli volle dedicare alla scienza dell’Uno.

E in uno dei suoi ultimi libri: “La vertigine di scoprirsi Dio” si può leggere:

Ritroviamo Dio quando l’osservatore e l’osservato diventano la stessa cosa.

Perciò, almeno in questo caso, io mi domando: quanto siamo vicini alla pratica della “Percezione pura” che Rudolf Steiner e Massimo Scaligero ci hanno ripetutamente invitato a sperimentare?

E ancora, più in generale: la penetrazione dei pensieri di questi moderni esploratori dello spirito quanto potrebbe aiutare tutti coloro che sono stati educati, ma soprattutto condizionati, al pensare materialistico?  Quanti salutari primi dubbi e perplessità potrebbero essere in grado di sollevare in loro? E per chi, come me, si fa interlocutore di tante persone dai più diversi destini, quanto possono essere utili gli sforzi di così tanti insigni interpreti della grande scienza, da usare (nel senso migliore del termine) come “cavalli di Troia” per penetrare nelle granitiche mura del dogmatismo fideistico della scienza materialistica? 

E chi può sapere se, proprio grazie a tali illustri personaggi e alle loro provocazioni, non si riesca alla fin fine ad avvicinare almeno qualcuno, magari tra i più curiosi, a quel rigoroso lavoro interiore che davvero, e finalmente, potrebbe far loro rintracciare un “nuovo pensare” con il quale osservare il mondo.

Per il resto, ognuno fa quello che può, inerpicandosi lungo quel particolare e originale sentiero che il proprio e unico destino gli ha messo a disposizione. Le Vie che conducono alla vetta della montagna sono infinite…
Ognuno sale con le risorse e la determinazione di cui è capace.

Piero Priorini


Psicologo psicoterapeuta ad indirizzo Psicanalitico Junghiano.
Antroposofo, conferenziere ed autore di libri ed articoli.
Specializzato in bioenergetica, transazionale, ipnosi e sessuologia.

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