Stupidi e in Malafede

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di Andrea Zhok

Da quanto risulta, Pavel Durov, inventore e patron del social Telegram è stato arrestato mentre faceva scalo all’aeoroporto Le Bourget (Parigi).

Stando alle prime indiscrezioni di un funzionario, Pavel Durov verrà sottoposto a carcerazione preventiva, per il timore di fuga.

Le accuse sono particolarmente significative. Durov è accusato di possibile complicità con un’infinità di crimini (terrorismo, droga, frode, riciclaggio di denaro, occultamento, contenuti pedofili, ecc.), in quanto sulla sua piattaforma non avrebbe disposto sistemi di intervento per moderare gli scambi e in quanto si sarebbe rifiutato finora di cooperare con le autorità europee.

Questo è, probabilmente (la base legale non è stata ancora resa nota), il primo arresto eccellente in applicazione del Digital Services Act, il regolamento censorio europeo, approvato nel 2022 ed entrato in vigore nel febbraio di quest’anno.

Sono peraltro di pochi giorni fa le minacce, niente affatto velate, del commissario europeo Thierry Breton a Elon Musk, colpevole anche in quel caso di potenziale complicità con reati vari e con l’esercizio “della violenza dell’odio e del razzismo” per avere maglie troppo larghe nella “moderazione” dei contenuti su X.

Nonostante Durov sia russo, Telegram (diversamente dall’altra creazione di Durov, VK, ha sede amministrativa a Dubai, proprio per evitare interferenze governative, consentendo una maggiore libertà nelle comunicazioni.

Ecco, e ora vi prego, cari progressisti europei, cari liberali, cari infaticabili combattenti per la democrazia e la libertà, metteteci una volta di più di buon umore, spiegateci ancora una volta come:

a) non ci sia nessuna censura in Europa;

b) sia necessario difendere con le armi i valori europei dalle orribili autocrazie orientali;

c) sia nostra inderogabile priorità la difesa dei diritti umani (tipo art. 19 UDHR: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione (….) di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”)

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Sfogliando stamane le pagine social la mia residua fiducia nella natura umana ha subito l’ennesima incrinatura. Ho infatti visto pagine che applaudivano gli interventi sanzionatori nei confronti di Pavel Durov e Elon Musk, e lo facevano nel nome dell’interesse pubblico a “evitare la disinformazione” e “limitare l’anarchia sul web”: “Non è che questi tycoon privati si possono sentire al di sopra delle leggi!”

E fin qui, avremmo a che fare con una tesi politica, una tesi straordinariamente ottusa, ma formalmente rispettabile come tutte le affermazioni politiche.

Solo che poi mi è sovvenuto che su quelle stesse pagine, proprio le stesse, durante la pandemia si giustificava la censura sui social, anche quando era totalmente e manifestamente pretestuosa, e lo facevano nel nome del fatto che

“dopo tutto i social sono imprese private, e fanno quello che gli pare; se non ti piace, puoi sempre andartene”. 

Questo, per dire, veniva sbattuto in faccia quando veniva chiusa la propria pagina per un mese per aver pubblicato un articolo del British Medical Journal che contrastava la narrazione ufficiale (ogni riferimento a cose e persone riconoscibili è puramente intenzionale).

Dunque finché censura in linea con la narrativa ufficiale è un’impresa privata libera di fare fa quel che gli pare, quando non censura è un’impresa privata che deve essere messa in riga nel nome dell’interesse pubblico.

Ora, la questione che mi si pone è l’eterno dilemma: “Ci sono o ci fanno?”

Vedo infatti solo due interpretazioni possibili, che potremmo chiamare, per darci un nome icastico, l’interpretazione alla Carlo Maria Cipolla e l’interpretazione alla Sartre.

La prima interpretazione accetta la possibilità che questa gente, nonostante spesso si tratti di affermati professionisti, giornalisti, persino accademici, molto semplicemente sia così sconfortantemente scema da non vedere la contraddittorietà dei propri criteri. In effetti una profonda verità del più citato dei libri di Cipolla (peraltro, grande storico) è che

La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa.” (II legge fondamentale).

E a questa verità, per sconfiggere la mia incredulità, si affianca la Prima Legge:

“Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.”

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La seconda interpretazione assume invece che questi soggetti non siano stupidi, ma siano in malafede. Diciamo che è gente così in malafede che persino la loro malafede soffre di malafede. Questa genia è disposta serenamente a qualunque menzogna, contraddizione, doppio e triplo standard purché ciò si attagli ai propri interessi del momento. Qui l’onnicomprensività della malafede semplicemente ha abolito le funzioni di verità, viste come orpelli inutili. Avremmo dunque a che fare con il cinismo utilitaristico più conclamato, dove ogni appello al vero e all’integrità sarebbe sconfitto in partenza dalle esigenze pragmatiche correnti.

C’è, tuttavia, temo una terza interpretazione, che fonde entrambe le precedenti. A metterci sulla buona strada è ancora una volta Cipolla, questa volta con la Terza Legge:

“Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita.”

Dovremmo fare spazio all’amara possibilità che l’abolizione di ogni criterio di verità, integrità, ragione nel nome di una concezione utilitaristica del vero (“Proclamo come vero ciò che mi serve”), abbia finito per creare le condizioni per la più perfetta stupidità: la stupidità in malafede, che avendo perduto ogni contatto con il vero e il reale non è più nemmeno in grado di percepire il proprio porco interesse.

Questo è il più grande dei pericoli, in cui se non mi inganno stiamo sguazzando: la presenza diffusa di un gran numero di persone disposte a mentire, distorcere, falsificare opportunisticamente, ma senza più nemmeno la capacità di percepire cosa sia nel loro, per quanto meschino, interesse.

Ecco a voi il Male.

 


Andrea Zhok, nato a Trieste nel 1967, ha studiato presso le Università di Trieste, Milano, Vienna ed Essex.
È dottore di ricerca dell’Università di Milano e Master of Philosophy dell’Università di Essex.
È autore di numerose pubblicazioni, scientifiche e divulgative; tra le pubblicazioni monografiche: “Lo spirito del denaro e la liquidazione del mondo” (Jaca Book 2006); “Emergentismo” (Ets 2011); “Critica della ragione liberale” (Meltemi 2020).

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