1 – 2001: la trasformazione dell’Impero americano
Iniziamo la pubblicazione dell’ultima parte del libro Sotto i nostri occhi, ove Thierry Meyssan rilegge la storia dell’Impero americano. In questo episodio l’autore ritorna sugli attentati dell’11 Settembre: un mezzo dei discendenti diretti dei Padri Pellegrini per appropriarsi del Potere, contro i discendenti degli autori del Bill of Rights.
Questo articolo è estratto dal libro di Thierry Meyssan, Sotto i nostri occhi. La grande menzogna della “Primavera araba. Dall’11 Settembre a Donald Trump.
LE “PRIMAVERE ARABE” ORGANIZZATE DA WASHINGTON E LONDRA
Allo scioglimento dell’Unione Sovietica, le élite degli USA credono che alla Guerra fredda possa seguire un periodo di scambi e prosperità. Tuttavia, una fazione del complesso militare-industriale impone il riarmo nel 1995 e una politica imperiale fortemente aggressiva nel 2001. Tale gruppo, identificato come “governo di continuità” previsto in caso di distruzione delle istituzioni elette, pianifica anticipatamente le guerre in Afghanistan e in Iraq, che sono avviate solo dopo l’11 settembre. Di fronte al fallimento militare in Iraq e all’impossibilità di attaccare l’Iran, il gruppo cambia idea, abbracciando i piani inglesi per rovesciare i regimi laici del Grande Medio Oriente e rimodellarlo in staterelli amministrati dai Fratelli musulmani. A poco a poco prende il controllo di NATO, UE e ONU. Solo dopo milioni di vite e miliardi di dollari gli Stati Uniti cambiano strategia a partire dall’elezione di Donald Trump.
LA SUPREMAZIA STATUNITENSE
Alla conclusione della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si ritrovarono a essere l’unica nazione vittoriosa a non aver subito la guerra sul proprio territorio. Approfittando di una condizione senz’altro vantaggiosa, Washington decise di sostituire Londra nel controllo dell’impero e di scontrarsi con Mosca: per ben 44 anni, dunque, una Guerra fredda sostituì la “guerra calda”. Quando l’Unione Sovietica cominciò a diventare instabile e a dare segni di cedimento, il presidente George H. Bush senior pensò che fosse giunto il momento di intraprendere alcuni affari iniziando a ridurre le forze armate e ordinando la revisione della politica estera e di quella militare.
All’indomani del crollo del Muro, Washington precisò sul proprio National Security Strategy of the United States (1991) che
“Gli Stati Uniti rimangono la sola nazione stato con forza, portata e influenza veramente globali in tutti i campi: politico, economico e militare. Non esiste nessuno che possa sostituirsi alla leadership americana”.
Decise così di riorganizzare il mondo con l’operazione “Desert Storm”, spingendo l’alleato kuwaitiano a sottrarre il petrolio iracheno e a esigere il rimborso degli arretrati del presunto aiuto gratuito contro l’Iran. Poi incoraggiò l’alleato iracheno a risolvere la questione annettendo il Kuwait, che gli inglesi avevano arbitrariamente separato dall’Iraq 30 anni prima. Infine, invitò tutti gli Stati del mondo a sostenerlo nel riaffermare il diritto internazionale al posto delle Nazioni Unite.
Eppure la scomparsa dell’URSS avrebbe dovuto comportare logicamente quella dell’altra superpotenza, ossia gli Stati Uniti, essendo i due imperi arroccati sulle loro posizioni antagoniste. Per evitarne la caduta, i parlamentari statunitensi imposero il riarmo al presidente Bill Clinton, nel 1995. Si consolidarono le forze armate – che avevano smobilitato un milione di uomini – benché a quel tempo non esistesse alcun rivale alla loro altezza. Il sogno di un mondo unipolare – immaginato da Bush senior e diretto dagli affari americani – cedeva quindi il passo a una folle corsa al mantenimento del progetto imperiale.
Il dominio mondiale degli Stati Uniti si è concretizzato attraverso quattro guerre condotte senza l’approvazione delle Nazioni Unite: Jugoslavia (1995 e 1999), Afghanistan (2002), Iraq (2003) e Libia (2011). Questo periodo si è concluso con i 10 veti cinesi e i 16 russi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che hanno impedito espressamente un conflitto aperto contro la Siria.
Non appena conclusa la guerra del Golfo, il repubblicano Bush senior invitò Paul Wolfowitz a scrivere la Defense Policy Guidance [1] (documento riservato, ma del quale alcuni estratti furono pubblicati dal New York Times e dal Washington Post [2]).
Questo militante trotskista e futuro vicesegretario della Difesa così teorizzava nel documento la supremazia statunitense:
“Il nostro primo obiettivo è impedire il riemergere di un nuovo rivale – sia sul territorio dell’ex Unione Sovietica, sia altrove – che potrebbe rappresentare una minaccia paragonabile a quella dell’ex URSS. Questa è la preoccupazione principale alla base della nuova strategia di difesa regionale: richiede che ci s’impegni per impedire che qualsiasi potenza ostile possa dominare una regione le cui risorse, se poste sotto controllo, sarebbero forse sufficienti a renderla una potenza globale. Queste regioni comprendono l’Europa, l’Estremo Oriente, i territori dell’ex Unione Sovietica e il Sud-Est asiatico”.
All’interno di questo obiettivo, vi sono tre aspetti ulteriori:
“Primo, gli Stati Uniti devono mostrare la leadership necessaria per stabilire e garantire un nuovo ordine mondiale in grado di convincere i potenziali concorrenti che non devono aspirare a un ruolo regionale di maggior rilievo né ad assumere una posizione aggressiva per proteggere i loro legittimi interessi.
Secondo, nelle aree della non-difesa dobbiamo rappresentare gli interessi dei paesi industrializzati in modo tale da scoraggiare una competizione con la nostra leadership o l’eventuale tentativo di rovesciare l’ordine politico ed economico vigente.
Infine, dobbiamo preservare intatti i meccanismi di deterrenza nei confronti dei potenziali concorrenti per impedire che abbiano la tentazione di svolgere un ruolo regionale di maggior rilievo o, peggio, un ruolo globale”.
La “dottrina Wolfowitz” avrebbe dovuto evitare una nuova Guerra fredda e garantire il ruolo di “gendarme del mondo” agli Stati Uniti. Il presidente Bush senior smobilitò massicciamente le sue forze armate, perché non dovevano essere altro che un semplice corpo di polizia.
Eppure ci siamo trovati di fronte a uno scenario opposto: prima con le quattro guerre di cui sopra, poi il conflitto in Siria, infine in Ucraina contro la Russia.
È per dimostrare la “leadership necessaria” che Washington decise, nel 2001, di prendere il controllo di tutte le riserve di idrocarburi nel “Grande Medio Oriente”, con le guerre in Afghanistan e Iraq.
È per “scoraggiare una competizione [degli alleati] con la [loro] leadership” che Washington cambiò i piani nel 2004 e decise di concretizzare la proposta inglese (1) di annettere gli Stati russi non riconosciuti, iniziando dall’Ossezia del Sud, e (2) di rovesciare i governi laici arabi a favore dei Fratelli musulmani, le “Primavere arabe”.
Infine, è per scoraggiare la Russia dall’assumere “un ruolo globale” che Washington oggi arma i jihadisti e gli ex jihadisti in Siria, in Ucraina e in Crimea.
Per essere attuata, la dottrina Wolfowitz richiede non solo risorse finanziarie e umane, ma soprattutto un forte desiderio di egemonia. Un gruppo di dirigenti politici e militari spera di raggiungerlo promuovendo la candidatura del figlio di Bush senior, che ispira la famiglia Kagan a creare, all’interno dell’American Enterprise Institute, una sorta di “comitato di influenza”: il Progetto per un nuovo secolo americano. Tale gruppo sarà costretto a falsare le elezioni presidenziali in Florida grazie ad alcuni brogli e all’aiuto del governatore Jeb Bush, fratello di Bush junior, consentendo a quest’ultimo l’ascesa alla Casa Bianca. Prima di questo, l’organizzazione si era attivamente adoperata per preparare nuove guerre di conquista, in particolare in Iraq.
Ma il nuovo presidente fa fatica a obbedire e costringe i suoi sostenitori a dare una scossa all’opinione pubblica, che paragonano a una “Nuova Pearl Harbor”: l’11 settembre 2001.
LA SVOLTA DELL’11 SETTEMBRE
Tutti credono di sapere ciò che è veramente successo l’11 settembre 2001 e citano gli aerei che colpirono le Torri Gemelle e distrussero parte del Pentagono. Ma dietro a questi eventi e all’interpretazione fornita dall’amministrazione Bush si nasconde tutta un’altra storia.
Mentre due aerei colpivano il World Trade Center, gli uffici del vicepresidente venivano devastati dalle fiamme e si sentivano due esplosioni al Pentagono, il coordinatore nazionale della lotta al terrorismo, Richard Clarke, avviò la procedura per la “Continuità di Governo” (COG) [3]. Ideata durante la Guerra fredda, in caso di guerra nucleare e decapitazione dei centri del potere esecutivo e legislativo avrebbe dovuto salvare il paese affidandone tutte le responsabilità a un’autorità ad interim segretamente designata in precedenza.
Ma quel giorno nessuno dei capi eletti era morto.
Ciononostante, alle 10 di mattina George W. Bush non era più presidente degli Stati Uniti.
Il potere esecutivo veniva trasferito dalla Casa Bianca a Washington al sito “R”, il bunker situato nella Raven Rock Mountain [4].
Unità dell’esercito e dei servizi segreti si ritrovarono nella capitale per “proteggere” i membri del Congresso e i loro team. Quasi tutti furono condotti “per la loro sicurezza” in un altro mega-bunker vicino a Washington, il Greenbrier Complex.
Il governo alternativo, la cui composizione non cambiava da almeno nove anni, includeva varie personalità di lungo corso politico tra cui il vicepresidente Dick Cheney, il segretario della Difesa Donald Rumsfeld e l’ex direttore della CIA James Woolsey.
Nel pomeriggio il primo ministro israeliano, Ariel Sharon, si rivolse agli statunitensi mentre si ignorava l’attuazione del piano per la Continuità di Governo e non si avevano notizie di George W. Bush. Manifestò la solidarietà del proprio popolo, anch’esso bersaglio del terrorismo da molto tempo. Parlò come se fosse convinto del fatto che gli attacchi fossero finiti e come se fosse il rappresentante dello Stato americano.
Nel tardo pomeriggio il governo provvisorio restituì il potere esecutivo al presidente Bush, che pronunciò un discorso televisivo, mentre i parlamentari venivano rilasciati.
Si tratta di fatti accertati e non della storiella inverosimile raccontata dall’amministrazione Bush a proposito dei kamikaze che, da una grotta afgana, avrebbero ordito un complotto per distruggere la prima potenza militare del mondo.
In un libro pubblicato trent’anni prima e divenuto il manuale dei repubblicani durante la campagna elettorale del 2000 – Strategia del colpo di Stato. Manuale pratico [5] –, lo storico Edward Luttwak spiegava che un colpo di Stato ha maggiore successo quando nessuno se ne rende conto, e quindi non vi si oppone. Avrebbe dovuto anche chiarire che, affinché il governo legale possa obbedire ai cospiratori, non basta dare l’illusione di mantenere la stessa squadra al “potere”, ma è altresì necessario che i cospiratori ne facciano parte.
Le decisioni imposte dal governo provvisorio – l’11 settembre – furono approvate dal presidente Bush nei giorni successivi. Sul fronte interno il Bill of Rights (Carta dei Diritti) – vale a dire i primi dieci emendamenti della Costituzione – fu sospeso dall’USA Patriot Act per i casi di terrorismo. Sul piano estero furono pianificati cambi di regime e guerre sia per ostacolare lo sviluppo della Cina e distruggere tutte le strutture statali esistenti del Grande Medio Oriente.
Il presidente Bush accusò gli islamisti degli attentati dell’11 settembre e dichiarò la “guerra al terrorismo”, una frase che suona bene ma che in definitiva non ha senso. Infatti, il terrorismo non è una potenza, ma un metodo di azione. In pochi anni gli attentati – che Washington pretendeva di combattere – si sono moltiplicati in tutto il mondo. Un’altra particolarità di questo nuovo conflitto è il suo nome: “guerra senza fine”.
Quattro giorni dopo la tragedia il presidente Bush si trovò a presiedere un incontro surreale a Camp David, dove fu adottato il principio delle guerre per distruggere tutti gli Stati che fino ad allora non rientravano sotto controllo nel “Grande Medio Oriente”, così come un progetto di omicidi politici a livello internazionale.
Questo piano fu chiamato – dal direttore della CIA, George Tenet – “Worldwide Attack Matrix”, ossia la “Matrice dell’attacco mondiale”. L’incontro fu prima citato dal Washington Post [6], poi denunciato dall’ex comandante supremo della NATO, il generale Wesley Clark. Il termine “matrice” sottintende che non si tratta che della fase iniziale di una strategia molto più capillare.
CHI GOVERNA GLI STATI UNITI?
Per capire la crisi istituzionale che stava per aprirsi, bisogna fare un passo indietro.
Il mito fondante degli Stati Uniti assicura che alcuni puritani, convinti dell’impossibilità di riformare la monarchia e la Chiesa inglesi, decisero di costruire nelle Americhe “la nuova Gerusalemme”. Nel 1620 s’imbarcarono per il Nuovo Mondo sulla Mayflower e ringraziarono Dio per aver consentito loro di attraversare il Mar Rosso (l’Atlantico) e sfuggire alla dittatura del faraone (il re d’Inghilterra). Questo atto di riconoscenza è alla base della festa del Ringraziamento.
I puritani sostenevano di obbedire a Dio rispettando sia i comandamenti di Cristo, sia la legge ebraica. Non veneravano in modo particolare i Vangeli, ma tutta la Bibbia. Per loro, l’Antico Testamento era importante quanto il Nuovo. Praticavano una morale austera, erano convinti di essere stati scelti da Dio e di esserne benedetti attraverso la ricchezza. Pertanto, ritenevano che nessun uomo – indipendentemente da cosa facesse – potesse migliorare e che il denaro fosse un dono di Dio riservato ai fedeli.
Questa ideologia ha molte implicazioni che si sono perpetuate fino ai giorni nostri: per esempio il rifiuto di organizzare una forma di solidarietà nazionale – la previdenza sociale – sostituendola con la carità individuale; oppure, in materia penale, la convinzione che criminali si è fin dalla nascita, un principio che portò il Manhattan Institute a promuovere in molti Stati leggi che punissero con pesanti pene detentive i recidivi per piccoli reati, come il fatto di non pagare il biglietto della metropolitana.
Anche se il mito nazionale ha offuscato il fanatismo dei “Padri pellegrini”, costoro al tempo instaurarono una comunità settaria, stabilirono punizioni corporali e costrinsero le donne a portare il velo. In realtà, vi sono molte somiglianze tra i loro costumi e quelli degli islamisti contemporanei.
La guerra d’indipendenza sopraggiunse quando la popolazione delle colonie era profondamente cambiata. Non proveniva più dalla sola Inghilterra, ma comprendeva anche gente del Nord Europa. I patrioti che combattevano il re d’Inghilterra speravano di diventare artefici del proprio destino, edificando istituzioni repubblicane e democratiche. È per loro che Thomas Jefferson scrisse la Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, basandosi sull’Illuminismo in generale e sul filosofo John Locke in particolare. Pur tuttavia, fu un’altra fonte a ispirare la Costituzione dopo la vittoria, ovvero il Patto della Mayflower, cioè l’ideologia puritana e il desiderio di creare istituzioni simili a quelle dell’Inghilterra, ma senza la nobiltà ereditaria. Pertanto, respingendo la sovranità popolare furono istituiti i governatori degli Stati federali, un sistema d’altronde assolutamente inaccettabile che fu immediatamente “equilibrato” dai 10 emendamenti costituzionali che compongono il Bill of Rights. Il testo finale riserva pertanto la responsabilità politica alle élite degli Stati federali e attribuisce ai cittadini il diritto di difendersi in tribunale contro la “Ragion di Stato”.
Sospendendo il Bill of Rights per ogni evento ricollegabile al terrorismo, l’USA Patriot Act ci riporta alla Costituzione di due secoli prima, privando i cittadini dei loro diritti in tribunale e squilibrando di nuovo le istituzioni. Sottomette perciò il potere all’ideologia puritana e garantisce unicamente gli interessi delle élite degli Stati federali.
Il colpo di Stato dell’11 settembre ha diviso queste élite in due gruppi, ovvero chi lo ha sostenuto e chi ha finto d’ignorarlo. Le poche figure che vi si sono opposte – come il senatore Paul Wellstone – sono state fisicamente eliminate. Hanno però preso la parola alcuni cittadini, soprattutto due immobiliari miliardari: così, la sera dell’11 settembre, Donald Trump nega ciò che sta per diventare la versione ufficiale sul Canal 9 di New York. Dopo aver ricordato che gli ingegneri che hanno costruito le Torri [Gemelle] sono entrati poi nella sua azienda, sottolinea l’impossibilità che il crollo di Torri tanto massicce sia stato dovuto unicamente all’impatto degli aerei (e agli incendi). Conclude che necessariamente devono esserci stati altri fattori, non ancora noti. Un altro imprenditore, Jimmy Walter, sacrifica parte del suo patrimonio per acquistare spazi pubblicitari sui giornali e per pubblicare DVD che analizzino i reali motivi della devastazione.
Nei quindici anni successivi, i due gruppi di cospiratori e complici passivi – che hanno lo stesso obiettivo di dominio interno ed estero – si affrontano regolarmente finché non saranno apparentemente entrambi rovesciati dal movimento popolare guidato da Donald Trump.
[1] The Rise of the Vulcans: The History of [W.] Bush’s War Cabinet, James Mann, Viking (2004).
[2] « US Strategy Plan Calls For Insuring No Rivals Develop », Patrick E. Tyler, New York Times, March 8, 1992. « Keeping the US First, Pentagon Would preclude a Rival Superpower », Barton Gellman, The Washington Post, March 11, 1992.
[3] Against All Enemies, Inside America’s War on Terror, Richard Clarke, Free Press, 2004. Versione italiana Contro tutti i nemici. La verità sulla guerra americana contro il terrorismo, TEA Editore, 10 marzo 2005.
[4] Raven Rock: The Story of the U.S. Government’s Secret Plan to Save Itself—While the Rest of Us Die, Garrett M. Graff, Simon & Shuster (2017). A Pretext for War, James Bamford, Anchor Books, 2004.
[5] Coup d’État: A Practical Handbook, Edward Luttwak, Allen Lane, 1968. Versione italiana: Strategia del colpo di Stato. Manuale pratico, Rizzoli Editore, 1968. Edward Luttwak, Richard Perle, Peter Wilson e Paul Wolfowitz furono i “Quattro moschettieri” dell’ex segretario di Stato Dean Acheson.
[6] “Saturday, Septembrer 15, At Camp David, Advise and Dissent”, Bob Woodward & Dan Blaz, The Washington Post, January 31, 2002.
2 – L’Impero americano post-11 Settembre sorveglia, saccheggia, uccide
LA STRATEGIA DI WASHINGTON
Torniamo alla nostra storia. Nel 2001 Washington finì per sviluppare la convinzione di un’imminente penuria di fonti energetiche. Il gruppo di lavoro presieduto da Dick Cheney, che gestiva lo sviluppo della politica energetica nazionale (NEPD), aveva ascoltato tutti i responsabili pubblici e privati delle forniture di idrocarburi. Dopo aver incontrato l’allora segretario generale di questa organizzazione – che il Washington Post descriveva come “società segreta” [1] –, rimasi colpito dalla sua determinazione e dai piani progettuali per affrontare tale scarsità. Così, non conoscendo i dettagli della questione, adottai tale visione alquanto maltusiana.
In ogni caso, la conclusione di Washington si risolse nella necessità di acquisire al più presto le riserve conosciute di idrocarburi per garantire il mantenimento e il funzionamento della propria economia. Questa politica sarà abbandonata quando l’élite degli Stati Uniti si renderà conto della possibilità di sfruttare forme di petrolio diverse rispetto al greggio saudita, ovvero il petrolio del Texas o del Mare del Nord. Assumendo il controllo della Pemex [2], gli Stati Uniti s’impadroniranno delle riserve del Golfo del Messico e proclameranno la propria indipendenza energetica nascondendo l’operazione con la promozione del petrolio e del gas di scisto. Oggi, contrariamente alle previsioni di Dick Cheney, la disponibilità di petrolio non è mai stata tanto elevata e a buon mercato.
Per controllare il “Grande Medio Oriente”, il Pentagono esige flessibilità e la possibilità di differenziare il suo obiettivo strategico dai desiderata delle compagnie petrolifere. Sulla base degli obiettivi inglesi e israeliani, intende rimodellare la regione, ossia sconvolgere i confini ereditati degli imperi europei, rimuovere i grandi Stati in grado di resistere e creare staterelli etnicamente omogenei. Oltre a essere evidentemente un progetto di dominio, il piano tratta l’intera regione senza riguardo alcuno per le condizioni locali. Se talvolta le popolazioni sono distinte geograficamente, altre volte sono assolutamente interconnesse, rendendone illusoria la separazione se non tramite grandi massacri.
In realtà, il gruppo che ha organizzato gli attentati dell’11 settembre − di cui faceva parte anche Dick Cheney − ne era consapevole e vi aveva riflettuto ben prima di quella data. Questa la ragione di una vasta riforma delle forze armate, conforme al modello dell’ammiraglio Arthur Cebrowski, che aveva già trasformato le pratiche militari USA, adattandole ai nuovi strumenti informatici [3]. L’ammiraglio aveva anche elaborato una strategia per distruggere gli Stati, in quanto organizzazioni politiche, così da permettere alle grandi società informatiche di rimpiazzarle nel governo del mondo globalizzato [4]. All’indomani dell’11 Settembre, la rivista dell’esercito, Parameters [5], ha illustrato il progetto di rimodellamento del Grande Medio Oriente, precisando trattarsi di un piano particolarmente sanguinoso e feroce. La rivista precisava anche che sarebbero stati necessari crimini contro l’umanità, che però avrebbero potuto essere subappaltati. Il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld metterà a disposizione di Cebrowski un ufficio al Pentagono.
L’11 Settembre quindi non sarà soltanto un mezzo per far adottare d’urgenza una legge emergenziale contro il terrorismo, l’Usa Patriot Act − redatto con almeno due anni di anticipo − sarà anche l’occasione per avviare una vasta riforma istituzionale: creazione del Segretariato per la Difesa della Patria (Department of Homeland Security, spesso impropriamente tradotto Dipartimento per la Sicurezza Interna), nonché di Forze Speciali clandestine in seno alle forze armate.
Il Dipartimento per la Sicurezza della Patria controlla non soltanto agenzie come la Guardia Costiera o i servizi per l’immigrazione, ma anche un vasto sistema di sorveglianza della popolazione statunitense, dove lavorano a tempo pieno 112 mila spie interne [6]. Le Forze Speciali clandestine sono un esercito di 60 mila uomini super-addestrati, che operano senza uniforme, a dispregio delle Convenzioni di Ginevra [7]. Sono in grado di uccidere chiunque e ovunque voglia il Pentagono. E il Pentagono certo non rinuncia a sfruttare nella massima segretezza simile investimento.
LE GUERRE CONTRO L’AFGHANISTAN E L’IRAQ
Le operazioni iniziano con la guerra ai talebani – secondo la dottrina Cheney –, dopo l’interruzione delle trattative per la costruzione di un oleodotto attraverso l’Afghanistan, a metà luglio 2001. L’ambasciatore Niaz Naik, che ha rappresentato il Pakistan nei negoziati di Berlino con i talebani, torna a Islamabad convinto che l’attacco degli Stati Uniti sia inevitabile [8] . Il suo paese comincia dunque a prepararsi alle conseguenze. La flotta inglese viene schierata nel Mar Arabico, la NATO invia 40 mila uomini in Egitto e il capo tagiko Ahmad Shah Massoud viene assassinato due giorni prima degli attacchi a New York e Washington.
I rappresentanti di Stati Uniti e Regno Unito alle Nazioni Unite – John Negroponte e Sir Jeremy Greenstock – assicurano che il presidente George W. Bush e il primo ministro Tony Blair stanno applicando il diritto alla legittima difesa attaccando l’Afghanistan. Ma tutte le cancellerie sanno bene che a Washington e Londra si è sempre voluta questa guerra, indipendentemente dagli attentati. Nella migliore delle ipotesi, la percezione è che si stia strumentalizzando un crimine del quale solo la prima potenza è stata vittima. Comunque, io stesso riesco a suscitare molti dubbi – a livello mondiale – rispetto a ciò che è realmente accaduto l’11 settembre. In Francia, il presidente Jacques Chirac fa esaminare il mio lavoro dalla DGSE: dopo un’indagine approfondita, emerge che tutti gli elementi su cui mi sono basato sono veri, ma che non può in alcun modo confermare le mie conclusioni.
Le Monde, che ha già avviato una campagna per screditarmi, si fa beffe delle mie previsioni secondo cui gli Stati Uniti sarebbero pronti ad attaccare l’Iraq [9]. Eppure, accade l’inevitabile: Washington accusa Baghdad di ospitare membri di Al Qaida e di essere in possesso di armi di distruzione di massa per attaccare la “terra dei liberi”. Sarà quindi guerra, come nel 1991.
Ognuno decide quindi di fare i conti con la propria coscienza. Continuando a chiudere gli occhi di fronte al colpo di Stato dell’11 settembre, ci si astiene dal contestare la strategia degli Stati Uniti e ci si trova quindi obbligati ad approvare i crimini conseguenti, ossia – in questo caso – l’invasione dell’Iraq.
Solo un alto funzionario internazionale, Hans Blix, decide di difendere la verità [10]. Il diplomatico svedese è l’ex direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) e presiede la Commissione di controllo, di verifica e d’ispezione delle Nazioni Unite, con il compito di monitorare l’Iraq. Opponendosi a Washington, sostiene che l’Iraq non possiede le armi di cui viene accusato. Una pressione senza precedenti lo opprime: non solo l’impero statunitense, ma tutti gli alleati fanno leva su di lui perché ponga fine ai suoi giochetti e lasci che la prima potenza mondiale distrugga l’Iraq. Non cederà neanche quando il suo successore all’AIEA, l’egiziano Muhammad al-Baradei, si fingerà conciliante.
Il 5 febbraio 2003, il segretario di Stato ed ex capo di Stato maggiore congiunto Colin Powell tiene un discorso al Consiglio di sicurezza, seguendo il testo preparato dalla squadra di Cheney. Accusa l’Iraq di ogni nefandezza, tra cui la protezione dei responsabili degli attacchi dell’11 settembre e la preparazione di armi di distruzione di massa per attaccare gli Stati occidentali. Tra l’altro, rivela il nuovo volto di Al Qaida, Abu Musab al-Zarqawi.
Ma, a sua volta, Jacques Chirac rifiuta di partecipare al progetto criminale, anche se non intende denunciare le menzogne di Washington. Invia il suo ministro degli Esteri, Dominique de Villepin, al Consiglio di sicurezza: il ministro lascia a Parigi i rapporti della DGSE e incentra il proprio intervento sulla differenza tra guerra imposta e guerra scelta. È chiaro che l’attacco all’Iraq non ha alcun legame con gli attentati dell’11 settembre, ma si tratta di una scelta imperiale, una guerra di conquista. Villepin evidenzia quindi i risultati già ottenuti da Blix in Iraq e sgonfia le accuse degli Stati Uniti dimostrando che l’uso della forza, in quella fase, non è giustificato, concludendo che non vi è alcun elemento che dimostri che la guerra avrebbe portato risultati migliori rispetto al proseguimento delle ispezioni. Il Consiglio di sicurezza applaude, con la convinzione che l’intervento possa rappresentare una via d’uscita a Washington per evitare la guerra. È la prima volta che alcuni diplomatici applaudono un collega in quella sala.
Ma Washington e Londra non imporranno solo la guerra: dimenticando Hans Blix, gli Stati Uniti si impegneranno in ogni sorta di operazione per “farla pagare” a Chirac. Il presidente francese abbasserà presto la guardia e farà più del necessario per aiutare i suoi padroni statunitensi.
Questa crisi ci costringe a far tesoro di una grande lezione. Hans Blix, come il suo compatriota Raoul Wallenberg durante la seconda guerra mondiale, rifiuta l’idea per cui gli statunitensi – o i tedeschi – siano superiori agli altri. Tenta di salvare vite umane la cui unica colpa è quella di essere iracheni (o ebrei ungheresi). Jacques Chirac vorrebbe sposare la stessa linea, ma i suoi precedenti errori e i segreti privati lo espongono a ricatti che non gli lasciano altra scelta che dimettersi o sottomettersi.
Washington prevede di mettere al potere a Baghdad gli iracheni in esilio che ha scelto tra i membri di un’organizzazione inglese, il Consiglio nazionale iracheno guidato da Ahmad Chalabi, un truffatore internazionale già condannato per la bancarotta della Petra Bank in Giordania. L’azienda aerospaziale Lockheed Martin crea un Comitato per la liberazione dell’Iraq [11], del quale l’ex segretario di Stato e mentore di Bush junior, George Shultz, assume la presidenza. Il Comitato e il Consiglio di Chalabi “vendono” la guerra all’opinione pubblica statunitense garantendo che gli Stati Uniti si limiteranno ad aiutare l’opposizione irachena e solo per poco tempo.
Come l’attacco all’Afghanistan, quello all’Iraq è stato preparato prima degli attentati a New York e Washington. All’inizio del 2001, il vicepresidente Dick Cheney ha negoziato personalmente l’installazione di basi militari statunitensi in Kirghizistan, Kazakistan e Uzbekistan nel quadro dello sviluppo degli accordi del CENTRASBAT (il battaglione dell’Asia Centrale) della Comunità economica dell’Asia centrale. I pianificatori hanno previsto che, per questa guerra, alle truppe serviranno 60 mila tonnellate di materiale al giorno, e così il Centro per la gestione dei trasporti militari (Military Traffic Management Command, MTMC) è stato incaricato di procedere con un certo anticipo per predisporvi la logistica.
Il governo viene inizialmente guidato da un ufficio del Pentagono, l’ORHA (Office of Reconstruction and Humanitarian Assistance), e dopo un mese da un funzionario civile nominato dal segretario della Difesa, Paul Bremer III – assistente personale di Henry Kissinger –, che ben presto assumerà la veste di amministratore dell’Autorità provvisoria della Coalizione. Contrariamente a quanto suggerisce il nome, questa autorità non è stata creata dalla Coalizione – che non si è mai riunita – e la sua esatta composizione rimane sconosciuta [13].
Per la prima volta appare un ente dipendente dal Pentagono ma che non compare in alcun organigramma degli USA: è ovviamente frutto delle decisioni del gruppo che ha preso il comando l’11 settembre 2001. Nei documenti pubblicati da Washington, l’autorità è designata come organo della Coalizione (se il documento è destinato a stranieri), e come ente governativo degli Stati Uniti (se destinato al Congresso). Con la sola eccezione di un funzionario britannico, tutti i dipendenti dell’autorità sono stipendiati dalle amministrazioni degli Stati Uniti, ma senza essere soggetti alle leggi americane. Così agiscono come meglio credono in relazione al codice degli appalti pubblici. Per esempio, l’autorità sequestra il tesoro iracheno – 5 miliardi di dollari – ma nei suoi conti ne appare solamente uno: che ne è stato dei restanti 4 miliardi? L’interrogativo viene sollevato alla conferenza di Madrid per la ricostruzione, ma non riceverà mai alcuna risposta.
L’assistente di Paul Bremer non è altri che Sir Jeremy Greenstock, il rappresentante del Regno Unito al Consiglio di sicurezza che ha giustificato gli attacchi in Afghanistan e Iraq. Durante l’occupazione, gli Stati Uniti prendono in considerazione le opzioni per rimodellare l’Iraq, nel caso specifico la partizione in tre stati. Bremer invia quindi l’ambasciatore Peter Galbraith – che si era occupato della divisione della Jugoslavia in sette stati – come consulente del Governo regionale curdo.
Bremer lavora direttamente con il vicesegretario della Difesa Paul Wolfowitz, che ha delineato la strategia degli Stati Uniti dopo la dissoluzione dell’URSS, un trotskista ebreo seguace del pensiero del filosofo tedesco Leo Strauss, del quale molti adepti vengono sistemati da lui stesso al Pentagono per formare un gruppo strutturato, molto coerente e solidale. Secondo loro, traendo esperienza dalla debolezza della Repubblica di Weimar di fronte ai nazisti, gli ebrei non possono affidarsi alle democrazie per proteggersi da un eventuale nuovo genocidio. Al contrario, dovrebbero schierarsi dalla parte dei regimi autoritari e del potere. Così viene legittimata preventivamente l’idea di una dittatura mondiale [14].
Wolfowitz traccia il quadro operativo dell’Autorità provvisoria della Coalizione, ossia la de-baathificazione del paese – vale a dire la destituzione di tutti i funzionari membri del partito laico Baath – e il relativo saccheggio economico. Su sue istruzioni, Bremer assegna tutti gli appalti pubblici a società amiche, in genere senza bando, escludendo in linea di principio francesi e tedeschi, colpevoli di essersi opposti a questa guerra imperiale [15].
Tutti i membri del Progetto per un nuovo secolo americano – il think tank che ha organizzato l’11 settembre – entrano a far parte – direttamente o indirettamente – o collaborano con l’Autorità provvisoria della Coalizione.
Fin dall’inizio, intorno all’autorità c’è grande riluttanza. Prima di tutto quella del rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite, il brasiliano Sérgio Vieira de Mello, che viene assassinato il 19 agosto 2003, presumibilmente dal jihadista Abu Musab al-Zarqawi, già denunciato da Powell alle Nazioni Unite. I parenti del diplomatico sottolineano invece il conflitto che lo aveva messo in contrasto con Paul Wolfowitz e accusano direttamente una fazione degli Stati Uniti. Poi è il turno del generale James Mattis, comandante della Prima divisione dei Marines, preoccupato per le conseguenze disastrose della de-baathificazione. Rientrerà poi nei ranghi.
Trascinati dal successo negli Stati Uniti, in Afghanistan e in Iraq, gli uomini dell’11 settembre dirigono il paese verso nuovi obiettivi.
LA TEOPOLITICA
Dal 12 al 14 ottobre 2003 si svolge uno strano incontro all’hotel King David di Gerusalemme. L’invito riporta il seguente messaggio:
“Israele è un’alternativa etica al totalitarismo orientale e al relativismo morale occidentale. Israele è il ‘Ground Zero’ della battaglia centrale per la sopravvivenza della civiltà. Israele può essere salvato, insieme al resto dell’Occidente. È tempo di unirsi a Gerusalemme”.
Diverse centinaia di personaggi dichiaratamente di estrema destra – israeliani e statunitensi – vengono ricevuti a spese della mafia russa. Avigdor Lieberman, Benjamin Netanyahu ed Ehud Olmert si congratulano con Elliott Abrams, Richard Perle e Daniel Pipes.
Condividono tutti la stessa convinzione: la teopolitica.
Secondo loro, la “fine del mondo” è vicina. Presto il mondo sarà governato da un’istituzione ebraica con sede a Gerusalemme [16].
L’incontro turba i progressisti israeliani, soprattutto perché alcuni oratori alludono a Baghdad, occupata sei mesi prima, come all’antica “Babilonia”. È evidente che, per loro, la teopolitica cui si rifà il Congresso è una riproposizione del talmudismo. Questa scuola di pensiero – di cui Leo Strauss era un esperto – interpreta l’ebraismo come un’antica preghiera del popolo ebraico per vendicare i crimini degli egiziani contro i loro antenati, la deportazione a Babilonia per mano degli Assiri e persino la distruzione degli ebrei europei da parte dei nazisti. Ritiene che la “dottrina Wolfowitz” stia preparando l’Armageddon – la battaglia finale – che imporrà il caos prima nel Grande Medio Oriente e poi in Europa. Una distruzione generale che rappresenterà la punizione divina per chi ha fatto soffrire il popolo ebraico.
L’ex primo ministro Ehud Barak si rende conto dell’errore che ha fatto rifiutando la pace che aveva personalmente negoziato con i presidenti Bill Clinton e Hafiz al-Assad, una pace che avrebbe preservato gli interessi di tutti i popoli della regione e che i teopolitici non vogliono. Inizia a radunare gli agenti che tenteranno invano di evitare la ri-elezione di Benjamin Netanyahu, nel novembre 2014, per Commanders for Israel’s Security (gli ufficiali responsabili della sicurezza d’Israele). Porterà avanti la battaglia fino al discorso del giugno 2016 alla Conferenza di Herzliya, durante la quale denuncerà la pessima politica di Netanyahu e la sua volontà d’istituzionalizzare l’apartheid. Esorterà i connazionali a salvare il paese opponendosi a questi fanatici.
Rachele Marmetti
[1] Energy Task Force Works in Secret, Dana Milbank & Eric Pianin, The Washington Post, Avril 16, 2001.
[2] Muerte de Pemex y suicidio de México (2014), Alfredo Jalife-Rahme, Orfila (Mexico).
[3] Transforming Military Force: The Legacy of Arthur Cebrowski and Network Centric Warfare, James R. Blaker, Praeger (2007).
[4] The Pentagon’s New Map, Thomas P.M. Barnett, Putnam (2004). Contrariamente a quanto suggerisce questo libro, Barnett era l’assistente di Cebrowski al Pentagono.
[5] “Stabiliy American’s Ennemy”, col. Ralph Peters, Parameters #31-4 (winter 2001).
[6] Top Secret America: The Rise of the New American Security State, William M. Arkin & Dana Priest, Back Bay Books (2012).
[7] “Exclusive : Inside the Military’s Secret Undercover Army”, William M. Arkin, Newsweek, May 17, 2021.
[8] Intervista di Naiz Naik di Benoît Califano, Pierre Trouillet e Guilhem Rondot, Dokumenta-ITV (2001). Non trasmesso.
[9] «Le Net et la rumeur», Editorial, Le Monde, 20 mars 2002.
[10] Disarming Iraq, Hans Blix, Knopf Doubleday (2013).
[11] « Une guerre juteuse pour Lockheed Martin », Réseau Voltaire, 7 février 2003.
[12] « Apocalypse Tomorrow », Réseau Voltaire, 26 septembre 2002.
[13] « Qui gouverne l’Irak ? », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 13 mai 2004.
[14] Per capire la differenza tra l’insegnamento pubblico e quello riservato a discepoli selezionati è indispensabile leggere le testimonianze degli allievi di Leo Strauss. Political Ideas of Leo Strauss, Shadia B. Drury, Palgrave Macmillan (1988). Children of Satan : the ’ignoble liars’ behind Bush’s no-exit war, Lyndon H. LaRouche, EIR (2004). Leo Strauss and the Politics of American Empire, Anne Norton, Yale University Press (2005). Leo Strauss and the conservative movement in America : a critical appraisal, Paul Edward Gottfried, Cambridge University Press (2011). Leo Strauss, The Straussians, and the Study of the American Regime, Kenneth L. Deutsch, Rowman & Littlefield (2013). Leo Strauss and the Invasion of Iraq: Encountering the Abyss, Aggie Hirst, Routledge (2013). Straussophobia : Defending Leo Strauss and Straussians Against Shadia Drury and Other Accusers, Peter Minowitz, Lexington Books (2016).
[15] Determination and Findings, Paul Wolfowitz, Voltaire Network, December 5, 2003.
[16] “Vertice storico per sigillare l’alleanza dei guerrieri di Dio”, Rete Voltaire, 23 agosto 2005.
Oggi tutto conferma le tesi di Thierry Meyssan
Contestando la versione ufficiale degli attentati dell’11 Settembre, Thierry Meyssan innescò un dibattito mondiale. Ma la parte più importante del suo libro è in realtà uno studio di scienze politiche, che prediceva quale sarebbe stata l’evoluzione degli Stati Uniti dopo quegli atti criminali. Il problema non è stabilire la modalità degli attentati, ma capire perché quel giorno gli Stati Uniti reagirono violando la Costituzione e perché in quelli successivi adottarono riforme profonde delle istituzioni che le snaturarono. Meyssan previde la trasformazione dell’Impero americano, confermata oggi dalla pianificazione della caduta di Kabul. La storia degli ultimi vent’anni convalida tutte le sue previsioni.
A fine 2001 pubblicai una serie di articoli sugli attentati dell’11 Settembre e, a marzo 2002, un libro [1] − tradotto in 18 lingue − che metteva in discussione la veridicità della versione ufficiale, aprendo un dibattito a livello mondiale.
La stampa internazionale si rifiutò però di analizzare le mie argomentazioni e lanciò una campagna denigratoria in cui mi si accusava di «dilettantismo» [2], di «complottismo» [3], nonché di «negazionismo» [4].
Ma, soprattutto, le autorità USA e i loro seguaci ridussero la mia ricerca alle prime pagine del libro: la contestazione della versione ufficiale degli attentati. Si trattava invece di un’opera di scienze politiche, di denuncia di quel che gli attentati sotto falsa bandiera avrebbero reso possibile: il controllo delle popolazioni occidentali e la guerra senza fine nel Medio Oriente Allargato.
Ora in questo articolo passo in rassegna ciò che negli ultimi vent’anni è emerso sugli attentati, ma principalmente riscontro l’esattezza delle mie previsioni del 2002.
IL BUCO NERO DELL’11 SETTEMBRE
Se ci chiedono cos’è accaduto l’11 Settembre, tutti rivediamo le immagini degli attentati delle Twin Towers e del Pentagono. Ci siamo però dimenticati di molti altri fatti, per esempio dell’insider trading sulle azioni delle compagnie aeree colpite, dell’incendio che ha devastato l’annesso della Casa Bianca (Old Eisenhower Building) come del crollo di una terza torre del World Trade Center.
Il fatto più stupefacente è che quasi più nessuno ricorda che, alle 10 del mattino, Richard Clarke fece scattare il Piano di Continuità del Governo [5]. Esattamente nello stesso momento il presidente Bush e il Congresso furono sospesi dalle funzioni e messi sotto protezione militare. Il presidente Bush fu portato in una base aerea del Nebraska, dove dalla sera prima si trovavano i capi delle imprese che avevano sede ai piani più alti delle Torri Gemelle [6]; i membri del Congresso furono invece portati nel mega-bunker di Greenbrier. Il potere passò al Governo di Continuità − che si trovava nel mega-bunker di Raven Rock Mountain (Sito R) [7] − e fu restituito ai civili solo a fine giornata.
Da chi era esattamente composto il Governo di Continuità? Cosa fecero i suoi membri nelle ore in cui detennero il potere? Ancora oggi non lo sappiamo. I membri del Congresso che cercavano risposte non sono stati autorizzati a organizzare una seduta del parlamento sull’argomento.
Ovviamente la polemica sull’11 Settembre non finirà finché gli avvenimenti non saranno chiariti. La procedura messa in atto l’11 Settembre era stata concepita dal presidente Eisenhower, in un’epoca di timori di guerra nucleare: se egli stesso, i presidenti delle camere e la maggioranza dei membri del Congresso fossero stati uccisi sarebbero venuti meno i poteri costituzionali. I militari avrebbero dovuto perciò assumere la continuità di governo. Non fu in ogni caso quel che accadde l’11 Settembre: nessun parlamentare morì. Il passaggio di poteri fu perciò incostituzionale. In senso stretto si trattò di un colpo di Stato.
GLI ATTENTATI DELL’11 SETTEMBRE
Nel mio libro, nonché in seguito, avanzo un’ipotesi su quanto realmente accadde quel giorno, irrilevante però per quanto voglio dimostrare. Chi ha perpetrato questo crimine voleva provocare uno shock simile a quello di Pearl Harbor − come scrissero tempo addietro i membri del Project for a New American Century − per cambiare la vita e il funzionamento degli Stati Uniti. Così ci hanno raccontato un’inverosimile storia, che ci siamo bevuti senza battere ciglio. Ma:
- A oggi non esiste prova della presenza dei 19 pirati dell’aria che si sostiene fossero a bordo degli aerei dirottati. Costoro non figuravano sulle liste dei passeggeri diffuse il giorno stesso dalle compagnie aeree. I video dei pirati dell’aria in aeroporto non sono stati girati a New York, ma in altri aeroporti di transito.
- A oggi non esiste prova della reale esistenza delle 35 telefonate dei passeggeri dei voli dirottati [8]. Questo vale sia per la conversazione attribuita al coraggioso passeggero che avrebbe attaccato i pirati dell’aria del volo UA93, sia per la telefonata ricevuta dal Procuratore Generale degli Stati Uniti, Theodore Olson, dalla moglie a bordo del volo AA 77. Anzi, durante il processo di Zacarias Moussaoui (accusato di essere il ventesimo pirata dell’aria che non si sarebbe imbarcato) l’FBI testimoniò che i sedili degli aerei non erano dotati di telefono, quindi i passeggeri avrebbero dovuto usare telefoni cellulari, che però all’epoca non funzionavano a un’altitudine superiore a 5 mila piedi; dichiarò inoltre che i tabulati forniti dalle compagnie telefoniche non riportavano alcuna delle comunicazioni in questione, compresa quella ricevuta dal Procuratore Generale Olson.
- A oggi non esiste alcuna spiegazione fisica del crollo sulle fondamenta (ossia verticalmente) delle tre torri del World Trade Center. Le Torri Gemelle colpite dagli aerei non hanno vacillato. Tuttavia il carburante sarebbe colato lungo i pilastri e li avrebbe fatti fondere. La terza torre sarebbe stata destabilizzata dal crollo delle due a fianco. Anch’essa si sarebbe afflosciata, ma non lateralmente, bensì verticalmente. Si noti che nessuna spiegazione è stata data delle esplosioni laterali udite dai pompieri e ampiamente documentate da filmati, né dai pilastri verticali sezionati invece che fusi; due prove che attestano una demolizione non accidentale, bensì controllata. Si noti peraltro che mai, né prima né dopo l’11 Settembre, è avvenuto il crollo di un grattacielo a causa di un incendio di grandi dimensioni… e che nessuno ha tratto insegnamento dall’11 Settembre e, onde evitare analoghe catastrofi, ha cambiato il metodo di costruzione di questo tipo di edifici. Infine, le fotografie dei pompieri delle “piscine” d’acciaio fuso, nonché quelle della FEMA (l’agenzia incaricata della gestione delle catastrofi) della fusione delle rocce in cui erano costruite le fondamenta sono inesplicabili secondo alla luce della versione ufficiale.
- A oggi non esiste prova che un aereo di linea abbia colpito il Pentagono. Già l’indomani, in una conferenza stampa al Pentagono, i pompieri affermarono di non aver trovato niente che potesse appartenere a un aereo. Le autorità, che si erano premurate di emettere un comunicato livoroso contro il mio libro, diedero l’annuncio del ritrovamento di molti rottami dell’aereo che sarebbero serviti a ricostruirlo in un hangar: non se n’è più parlato. Del resto, alcune famiglie dei passeggeri, dapprima scandalizzate per le mie affermazioni, hanno cambiato idea quando sono state loro restituite urne funerarie, garantendo che i corpi erano stati identificati per mezzo delle impronte digitali (che però in un incendio a tali temperature sarebbero state completamente distrutte). Alcune famiglie hanno rifiutato l’impegno alla riservatezza a cospetto di un cospicuo indennizzo.
SORVEGLIANZA GENERALIZZATA DELLE POPOLAZIONI OCCIDENTALI
Nei giorni successivi agli attentati l’amministrazione Bush ha fatto votare al Congresso una normativa contro il terrorismo, l’USA Patriot Act. Un testo molto voluminoso, redatto nei due anni precedenti dalla Federalist Society (di cui il Procuratore Generale Theodor Olson e il ministro della Giustizia John Ashcroft erano membri), che sospende la Dichiarazione dei Diritti (Bill of Rights) nelle vicende di terrorismo.
Gli Stati Uniti nascono dallo scontro di due fazioni. La prima, guidata da Alexander Hamilton, redasse una Costituzione che istituiva un sistema simile alla monarchia britannica, ma con i governatori in luogo dei nobili. La seconda, attorno a Thomas Jefferson e James Madison, accettò la Costituzione soltanto dopo gli emendamenti finalizzati a prevenire ogni uso della Ragion di Stato. La sospensione di questi dieci emendamenti, chiamati la “Dichiarazione dei Diritti”, altera l’equilibrio sul quale gli Stati Uniti furono fondati, attribuendo maggiori poteri al primo gruppo, i discendenti dei Padri Pellegrini, puritani esiliati dall’Inghilterra. Il presidente Bush è discendente diretto di uno dei 41 firmatari del Patto del Mayflower (1620).
Per l’applicazione dell’USA Patriot Act fu istituito un nuovo ministero, il dipartimento per la Sicurezza della Patria (Homeland Security Departement), che ha assorbito alcuni organismi già esistenti. Si è dotato di una polizia politica, in grado di spiare ogni cittadino. Secondo la rivelazione del 2011 del Washington Post, ne fanno parte 835 mila funzionari, di cui 112 mila in incognito [9]: una spia ogni 370 abitanti.
Gli Stati Uniti sono il Paese più orwelliano del pianeta. La modalità operativa di questo dipartimento è stata rivelata nel 2013 da Edward Snowden, il quale non si è accontentato d’informazioni sul sistema di intercettazioni nella NSA all’estero, ha soprattutto divulgato informazioni sul sistema di sorveglianza di massa interna agli Stati Uniti. Oggi Snowden è un rifugiato politico che vive in Russia.
Sebbene sia un fatto meno documentato, questo sistema si è esteso progressivamente a tutti gli Stati occidentali, attraverso i Five Eyes (Cinque Occhi) [10] e la NATO.
LA «GUERRA SENZA FINE»: DALL’11 SETTEMBRE ALLA CADUTA DI KABUL
Un mese e mezzo dopo gli attentati, il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld istituiva l’Ufficio per la Trasformazione della Forza (Office of Force Transformation) e lo affidava all’ammiraglio Arthur Cebrowski. L’obiettivo era cambiare la funzione stessa delle forze armate. La dottrina Rumsfeld/Cebrowski [11] è una riforma importante quanto l’istituzione del Pentagono dopo la crisi del 1929. La sfida è ora l’adattamento al capitalismo finanziario: gli Stati Uniti non vorranno più vincere le guerre, cercheranno invece di farle durare il più a lungo possibile. Questo è il significato dell’espressione «guerra senza fine» usata dal presidente Bush. L’obiettivo sarà distruggere le strutture statali locali per poter sfruttare le ricchezze naturali senza dover incorrere in un controllo politico; obiettivo efficacemente sintetizzato dal colonnello Ralph Peters: «La stabilità è il nemico dell’America» (Stability: America’s ennemy) [12].
È esattamente quanto accaduto in Afghanistan. La guerra è iniziata subito dopo l’11 Settembre. Doveva durare poche settimane, ma non si è mai interrotta.
La recente vittoria dei talebani è stata organizzata dagli stessi Stati Uniti per prolungare ulteriormente il conflitto.
Infatti il presidente Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti non sono andati in Afghanistan per costruire uno Stato, a differenza di quanto fecero alla fine della seconda guerra mondiale in Germania e Giappone. Nell’incontro a Ginevra con Vladimir Putin, Biden aveva respinto il concetto di guerra senza fine; ora però l’ha rilanciata, allineandosi, come Barack Obama, alla dottrina Rumsfeld/Cebrowski.
Nessun conflitto iniziato dopo l’11 Settembre è terminato: l’instabilità domina in Iraq, Libia, Siria, Yemen e Libano. Si possono definire questi conflitti “guerre civili” e accusare i leader di questi Paesi di essere dittatori, oppure rinunciare a qualsiasi spiegazione, ma è innegabile che, prima dell’intervento occidentale, erano Paesi stabili e che, quando ebbero inizio le loro disgrazie, la Libia di Gheddafi e il Libano di Aoun erano alleati degli Stati Uniti.
Il vicepresidente Dick Cheney costituì alla Casa Bianca un gruppo segreto, incaricato di delineare l’evoluzione della politica nazionale per l’energia (National Energy Policy Development). Cheney era convinto che nel medio termine ci sarebbe stata penuria di petrolio. Ed è questo il motivo che ha indotto gli Stati Uniti a distruggere altri Stati: per poterne sfruttare a termine il petrolio; a scadenza, non immediatamente. La dottrina Rumsfeld/Cebrowski afferma anche che non bisogna combattere le potenze globalizzate, quali Russia e Cina. Bisogna invece consentir loro di accedere alle ricchezze naturali conquistate, costringendole però a versare diritti di sfruttamento agli Stati Uniti.
Pubblicando moltissimi rapporti interni delle forze armate USA, Julian Assange non ha rivelato informazioni sensibili, però dall’insieme emerge che il Pentagono non ha mai voluto vincere le guerre post-11 Settembre. Assange è stato perseguitato sino a perdere la ragione.
Per gestire bene queste guerre il Pentagono si è segretamente dotato di Forze Speciali clandestine: 60 mila soldati senza uniforme [13] in grado di uccidere senza lasciare traccia chiunque e ovunque si voglia. Bob Woodward ha rivelato l’operazione “Matrice dell’attacco mondiale”, decisa tre giorni dopo gli attentati [14]. Wayne Madsen ha pubblicato il nome delle prime vittime in Papuasia, Nigeria, Indonesia e Libano [15].
CONCLUSIONE
La storia degli ultimi vent’anni conferma tutte le mie previsioni. Purtroppo sono rari coloro che hanno compreso l’evoluzione del mondo. La maggior parte delle persone rifiuta di collegare le singole rivelazioni e di prendere atto della responsabilità delle democrazie occidentali nei crimini compiuti nel Medio Oriente Allargato.
Il problema è sempre lo stesso: non vogliamo ammettere che il criminale sia così vicino a noi.
Rachele Marmetti
[1] L’incredibile menzogna. Nessun aereo è caduto sul Pentagono, di Thierry Meyssan, Fandango Libri, 2002. Seconda edizione riveduta e corretta L’Effroyable imposture suivie de Le Pentagate con la prefazione del generale Leonid Ivashov, che l’11 settembre 2001 rivestiva la carica dicapo di stato maggiore ad interim delle forze armate russe l’11 settembre 2001, Demi-Lune, 2006.
[2] Secondo i miei detrattori non mi sono recato sul luogo degli attentati, come avrebbe dovuto fare un vero giornalista. Ebbene, le tre scene del crimine furono immediatamente dichiarate “segreto militare”. Per anni nessun giornalista di nessun giornale fu autorizzato ad accedervi. L’epiteto di “dilettantismo” dovrebbe perciò valere non solo per me, ma per tutti coloro che esercitano la mia professione.
[3] Il termine “complottismo” si riferisce a chi mette in discussione la teoria ufficiale del tiratore solitario che avrebbe ucciso il presidente Kennedy. Denunciano invece un complotto per eliminare il presidente.
[4] Io nego in effetti la versione ufficiale. Ma il termine “negazionismo” si riferisce a una corrente di estrema destra, le cui idee non ho mai smesso di combattere, che nega la volontà dei nazisti di compiere il genocidio degli ebrei d’Europa.
[5] Against All Enemies, Inside America’s War on Terror, Richard Clarke, Free Press, 2004.
[6] Come ogni anno Warren Buffet (all’epoca l’uomo più ricco del pianeta) organizzava una cena di beneficienza in Nebraska. La cena, diversamente da quelle dei due anni precedenti, non si tenne in un grande hotel, ma in una base militare. I capi d’impresa invitati misero in congedo la maggioranza dei dipendenti di New York. Questo spiega il numero relativamente basso dei morti nel crollo delle prime due torri.
[7] A Pretext for War: 9/11, Iraq and the abuse of America’s intelligence agencies, James Bamford, Anchor Books (2004).
[8] “11/09, chi ha inventato le false telefonate dagli aerei?”, di Giulietto Chiesa, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 23 luglio 2013.
[9] Top Secret America : The Rise of the New American Security State, Dana Priest & William M. Arkin, Little, Brown and Company (2011).
[10] I “Cinque Occhi” sono l’alleanza dei servizi d’intercettazione e di localizzazione di Australia, Canada, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Regno Unito, creata nel 1941 dalla Carta Atlantica.
[11] “La dottrina Rumsfeld/Cebrowski”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 25 maggio 2021.
[12] “Stabiliy American’s Ennemy”, col. Ralph Peters, Parameters #31-4 (winter 2001).
[13] “Exclusive : Inside the Military’s Secret Undercover Army”, William M. Arkin, Newsweek, May 17, 2021.
[14] Saturday, September 15, At Camp David, Advise and Dissent, Bob Woodward & Dan Balz, Washington Post, January 31, 2002.
[15] «J’accuse – Bush’s Death Squads», Wayne Madsen, Makingnews.com, January 31, 2002.
La traduzione italiana del libro è disponibile in versione cartacea.