Puntare il dito o tendere la mano?

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Se trattiamo le persone per quello che sono,
le rendiamo peggiori.
Se trattiamo le persone già per come dovrebbero essere,
le aiutiamo a diventare ciò che sono capaci di diventare.

(Wolfgang von Goethe)

Prima di convincerci che aiutare gli altri consista nell’assumerci la responsabilità di colpire i loro errori dicendo la nostra verità, possiamo prima aiutare noi stessi a capire quanto scrive Goethe.
Possiamo accorgerci che, anziché accanirci nello schiacciare e comprimere gli altri in ciò che essi sono (se davvero sono come noi li vediamo), mostrando necessariamente i loro “errori” (se davvero sono errori), li aiutiamo solo se manifestiamo un diverso modo di essere nel mondo, che inizia da una VERA “positività”, cioè dal vederli già migliori di quel che magari ancora sono, ovvero intravedendo noi e mostrando loro già quel Bello in essi che ancora non è riuscito a manifestarsi.

Significa forse NON dire loro la verità? Mentire? Nascondere i loro errori per illuderci ed illuderli di essere buoni? Ma il contrario!!!
Solo il Bello che sappiamo scorgere negli altri, il Buono che tentano di esprimere, è la Verità, l’Essere che avremmo, questo sì, è la responsabilità di scorgere negli altri.
Per aiutarli a liberarsi se vogliono liberarsi!
È quella la Verità da dir loro, manifestando il LORO Spirito di Verità-Sole che emenda ogni errore soltanto manifestandosi.
Se non sappiamo ancora intravedere il bianco nel nero, il Bello dietro all’informe, non conosciamo alcuna Verità da rivelare!
Sarà solo quando sapremo farlo che li aiuteremo a Perfezionarsi, ad ex-ducere l’Essere che vuole determinarsi.
Sarà solo allora che “avremo l’aggio dell’io”, cioè “avremo il Coraggio di assumerci la responsabilità di correggere gli errori (LORO)”.
Iniziamo, dunque, correggendo prima, con estrema durezza, i nostri; poi passeremo, con estrema delicatezza, ai loro.
Inoltre, la capacità di cogliere la natura dell’errore è direttamente proporzionale alla capacità di amare l’errante.
Se l’errore mi suscita rabbia e avversione, anziché amore e compassione per l’errante, significa semplicemente che non sono in grado di stabilire oggettivamente la verità ovvero determinare se di errore davvero si tratti.
Perché, come dice Steiner, “la compassione non è molto sviluppata tra gli uomini”.
Ma “è proprio la compassione che ci rende capaci di valutare il valore di una persona”.
Noi non usiamo la compassione per l’altro per comprenderlo; e non usiamo nemmeno l’altro per misurare l’altro, bensì usiamo sempre noi stessi come metro di misura. “L’altro è ok nella misura in cui sia uguale a me”.
Capita poi spesso che più una individualità sia P U R A e la incontriamo per karma, più tendiamo inconsciamente a non sopportarla e ad avversarla.


Perché?
Perché, senza dirci una parola, ci fornisce uno specchio pulito e coerente in cui osservare noi stessi.
Perciò finiamo col vedere i nostri errori, le nostre mostruosità, ed imputarli allo specchio, perché non sopportiamo di scoprire che c’è qualcosa da cambiare in noi. L’istinto di conservazione diventa istinto di sopraffazione di chi, solo essendo se stesso e sorridendoci in silenzio, vorrebbe “costringerci” a spendere energie per cambiarci. Allora è pericoloso, ci mette in dubbio, va annientato.
Questo e molto altro indica che è difficilissimo valutare, comprendere, accogliere gli altri, specie quando sono profondamente DIVERSI da noi: molto più difficile che muover loro critiche o fornire “amorevoli, cristici suggerimenti” per cambiare se stessi (ed essere più simili a noi).
Posso allora davvero assumermi la responsabilità di correggere gli errori, i MIEI altri “errori” ovvero la mancanza di imperturbabilità e di spregiudicatezza, prima di irritarmi e ritenere errori magari cose che non so capire, prima di dire la mia oggettivissima “verità” all’altro per “aiutarlo” a rettificare magari ciò che un mio pregiudizio mi fa vedere come “errore”.

Tutto ha una funzione nel cosmo:
il bene, il male, il giusto, l’ingiusto, l’incosciente, il subcosciente.
Ciò che è, è in quanto ha una funzione.
Nel male altrui è possibile all’individuo riconoscere il male proprio.

La consacrazione assoluta alla Forza-Cristo è il segreto dell’Opera.
L’abbandono totale e la dedizione incondizionata:
realizzare questa meraviglia che è la vera eroicità.
Essere del tutto secondo il Cristo.
Lasciar essere in me il Cristo.
Sparire perché sia il Cristo.

(Massimo Scaligero)

Non esiste un modo sbagliato di essere, una percorrenza sbagliata dell’esistenza, un errore da correggere e un Male da redimere NEGLI ALTRI.
Esiste solo il Bene che agisce occultamente dietro al Male che vediamo in questi altri e che ha il solo scopo dì farsi riconoscere (e, volendolo, rettificare) IN NOI.
In noi che possiamo allora “consacrarci al Cristo, in abbandono totale e dedizione incondizionata”; in noi che possiamo agire “eroicamente”, per come ci suggerisce il Dottor Steiner:

Non giudicare, ascolta soltanto.
Non stupirti, guarda soltanto.
Amali tutti! (…)
Non evitare nulla, sprofondati soltanto.
Finché non sia raggiunta
Pace nell’intimo, Amore verso l’esterno.
Non dire nulla, soffri soltanto.
Non chiedere nulla, attendi soltanto.
Finché non ti venga dato.

(Rudolf Steiner)

L’Antroposofia è una Via che consente di aprire il varco al Divino in noi, muovendo dallo Spirituale in noi allo Spirituale nel cosmo.
In questa Via abbiamo tanti mezzi dì trasporto, in primis gli esercizi canonici ma anche le arti e le scienze, perché l’Antroposofia è una Via fondata sulla CONOSCENZA, una via che lavora sulla testa, sul MODO di pensare, su un “pensare rappresentazioni” della testa che “cammini” fino a divenire “Sentire idee”, Pensare-Sentire del cuore, il Christo in noi che lascia che i bambini-idee vengano a Sé incontaminati.
Pensare-Sentire che percepisce l’idea, l’Essere negli altri, perché sa rimuovere la trave del velo luciferico dal proprio occhio spirituale.
Il rappresentare in noi vede invece solo da UN punto di osservazione, perciò vede come errore/pagliuzza nell’occhio/percorso altrui tutto ciò che non è conforme al nostro; allora vogliamo correggere con durezza gli “errori” altrui perché ci ricordano (senza volerlo) i nostri, quelli che non vogliamo vedere o che magari intravediamo ma tolleriamo con indulgenza.

 

 

Questo è uno dei grandi pericoli dell’Antroposofia, l’intellettualismo causato dalla mancanza dì un equilibrato lavoro sul sentire, che, rimanendo indietro rispetto alle altre qualità animiche (ad esempio quando si porta avanti solo il primo degli esercizi senza curare Devozione e Venerazione ed in generale le forze dell’anima), diviene “patologico e distruttivo”, scrive Steiner.
Orgoglio, brama, collera non operati nel sentire divengono problematiche psichiche, come nevrosi o psicosi ovvero patologie legate al doppio luciferico, il “padrone del senziente”.
Paura, menzogna, odio non trasformati nell’anima divengono QUALSIASI malattia fisica endogena, in quanto il doppio arimanico ruba le forze di volontà liberate negli esercizi se non sollevate al cuore dalla venerazione, che allora divengono forze di sopraffazione anziché di compassione e liberazione.
Il pericolo è che Arimane trionfi sul Cristo, che “l’egoismo vinca il mondo”.
Allorché invece si sviluppi armoniosamente il Sentire, facendo tutti gli esercizi e magari dedicandosi nel giusto modo alle arti come pittura, musica, poesia, si acquisisce la capacità di creare/conoscere, cioè dì guardare immediatamente OLTRE la pagliuzza-errore altrui e scorgere subito il Bello dietro l’informe, l’Essere-io dell’altro che è Uno con sé.
Si Sente allora l’officium, l’impulso morale ad interagire da cuore a cuore, comunicare per entrare in comunione con l’altro senza schiacciarlo, ferirlo, mortificarlo, senza puntare il dito sui suoi errori che certamente si vedono ma che già egli lavora per superare.
Si Sente solo di Sentirlo e basta, di accoglierlo e basta, di supportarlo e basta; così da sorreggerlo e dargli, in assoluto Silenzio e accoglienza, la forza e magari un Buon esempio per Voler Essere.
Quel non puntare il dito ma mostrare solo il proprio pacato esempio vivente di comprensione e compassione, quel saper vedere oltre gli errori ed il male altrui senza provare irritazione, disgusto, avversione, cioè quell’autentica positività/equanimità/spregiudicatezza, rende MIGLIORI gli altri, li aiuta a liberarsi, ad Essere un po’ più in atto quanto ancora Sono solo in potenza.
Chi sceglie dì Voler aiutare e non giustiziare chi sbaglia, di “pascere i Suoi agnelli” e non sbranarli, chi sarà mosso da compassione anziché irritazione, non soltanto riconoscerà sempre il Bene superno tramare dietro qualsiasi “errore”, dietro ogni dinamica occulta ed incomprensibile del Male, ma soprattutto irradierà Bontà dalla sua Volontà posta al Servizio assoluto ed incondizionato del Christo.
E la sua semplice, silenziosa presenza, diverrà una Benedizione per il Cosmo.

Fabio Antonio Calò

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