Perché non possiamo perdere. E non perderemo

Lui si chiama Alessandro Lorenzo Fontana, studente di lettere classiche di 21 anni ed il suo discorso davanti a colleghi e docenti dell’Università di Sassari è diventato, come si dice, virale.
Un video che colpisce come un pugno nello stomaco sia per la giovanissima età del protagonista che per la potenza dei pensieri evocati.
Un video certamente inattuale rispetto a quanto circola in rete nell’acceso dibattito sulla libertà e sul futuro della civiltà che sta trascinando con sé l’intera società e non solo italiana.
Ho voluto raggiungere Alessandro per fare insieme a lui qualche riflessione sul contenuto del suo discorso che ripropongo qui sotto e sul momento che stiamo vivendo:

 

Non so perché ma mentre lo ascolto parlare, in piedi e visibilmente emozionato davanti ad un gruppo di studenti, altre parole mi salgono alla coscienza, parole apparentemente lontane nel tempo e nello spazio, che sembrano non aver relazione alcuna con quanto Alessandro, il giovane studente di Lettere di Sassari, sta coraggiosamente pronunciando.

Ma le parole che si sovrappongono interiormente alle sue non svaniscono, anzi, si rafforzano, creando quasi una ‘sovraimpressione’ per certi versi stupefacente, considerando la spontaneità dell’esperienza.
Di che parole si tratta?

Delle parole strazianti e meravigliose ad un tempo che uno dei massimi scienziati, filosofi, letterati, asceti e martiri del secolo scorso, Pavel Florenskij, scrive ai propri figli dall’abominio del Gulag dove la sua vita verrà violentemente stroncata a soli 56 anni dopo cinque anni di prigionia.

Eccole:

“Amati figlioletti miei, il mio cuore si strugge per voi. (…) Avrei tante cose da scrivervi. Mi vengono tanti pensieri e sentimenti, ma non ho né il tempo, né le forze di scriverli. Eccovi una cosa che non posso non scrivere: Abituatevi, educate voi stessi a fare tutto ciò che fate perfettamente, con cura e precisione; che il vostro agire non abbia niente di impreciso, non fate niente senza provarvi gusto, in modo grossolano. Ricordatevi che nell’approssimazione si può perdere tutta la vita, mentre al contrario, nel compiere con precisione e al ritmo giusto anche le cose e le questioni di secondaria importanza, si possono scoprire molti aspetti che in seguito potranno essere per voi fonte profondissima di un nuovo atto creativo. (…) Chi agisce con approssimazione, si abitua anche a parlare con approssimazione, e il parlare grossolano, impreciso e sciatto coinvolge in questa indeterminatezza anche il pensiero. Cari figlioletti miei, non permettete a voi stessi di pensare in maniera grossolana. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che si abbia cura di sé. Essere precisi e chiari nei propri pensieri è il pegno della libertà spirituale e della gioia del pensiero. (…) È da tanto che voglio scrivere: osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite all’aria aperta e intrattenetevi da soli col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete”.

Sono parole che, come quelle di Alessandro – ma con il cuore gonfio di dolore di chi sa che non potrà più riabbracciare i propri figli – indicano i veri compiti dell’essere umano come magistralmente espressi da Publio Terenzio Afro nell’incipit dell’intervento del nostro studente di lettere: “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” (Sono un essere umano, niente di ciò ch’è umano lo ritengo estraneo).
Sono parole che rimandano al senso più profondo del nostro essere Uomini, a quel “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” che ha da sempre caratterizzato – a parole – il senso della nostra vita.

Sì, a parole, perché poi, nei fatti, c’è stato ben altro dai giorni in cui eravamo chini sulle rime del padre Dante.

C’è stata la “buona scuola”, la fine ingloriosa degli ideali giovanili sostituiti dalla retorica consumista, la competizione sfrenata, l’incertezza del futuro, la tecnologia devastante, decenni di TV-spazzatura, la solitudine degli smartphone, internet e il suo illusorio sogno di avere tutto sottomano per poi avere l’alibi di non occuparci a fondo di nulla.

Ma a sentire le sue parole, tutto questo sembra non aver coinvolto Alessandro, i cui pensieri sembrano essere passati indenni attraverso mezzo secolo di svilimento dell’Uomo.
Da dove vieni Alessandro? Sei sceso da un’astronave proveniente direttamente dagli anni ’70 del secolo scorso? Sei consapevole del fatto che pensieri come quelli da te espressi sono a dir poco insoliti per i tuoi coetanei? Raccontaci di te e di come hai deciso di prendere la parola sul palco di Sassari.

Se dovessi rispondere in modo istintivo alla prima domanda, direi “fisicamente da un paesello sperduto nel Nord-Sardegna, mentalmente da tanti mondi, tanti quanti la mente umana può sognarne”. Risponderei in questa maniera perché sin da bambino ho sviluppato e coltivato quotidianamente un interesse per la letteratura, in particolare la mitologia, greca, latina, norrena e le grandi saghe medievali, e il romanzo fantasy, Tolkien in particolare; in quelle letture trovavo uomini straordinari, che compivano azioni straordinarie, questo mi ha sempre affascinato, ma non solo, scoprivo in quei racconti ordine, rigore e principi nobili da imitare. Con i miei coetanei è stato, ed è tutt’ora, difficile interagire e trovare un canale di comunicazione comune, da bambino non avevo degli ottimi piedi e non m’interessava il calcio, mentre gli altri crescevano col pallone, io passavo il tempo a costruire spade, archi e frecce e immerso in ogni genere di lettura, era come se io venissi da un altro mondo, io non parlavo la loro lingua, avevo modi di fare e di esprimermi “all’antica”, pensavo in modo diverso e profondo, avevo altri interessi; a causa dei miei interessi “inattuali” mi è capitato spesso di ritrovarmi da solo, chiuso tra i miei pensieri, a contemplarli e a scavare a fondo nei meandri della mente e non lo rimpiango: ritengo che solitudine meditativa un passaggio importante per l’autocoscienza e la scoperta di sé. Non ho mai avuto molti amici perché ho sempre avuto una concezione di amicizia aristotelica-ciceroniana, secondo la quale l’amicizia deve avere uno scopo e un fine utile e che giovi ad entrambe le componenti. Ho scelto di frequentare il liceo classico perché in quegli studi sentivo un’emozione, difficile da spiegare, volevo ordine, rigore, fermezza e ideali e in quegli studi io lo percepivo, quegli studi erano un mondo meraviglioso che volevo scoprire; quando, al terzo anno, ho iniziato a fare filosofia ho trovato una parte di me ancora ignota: ragionamento, pensiero, razionalità, rigore e logica, la filosofia è una materia straordinaria, la scienza del pensiero, qualcosa di cui puoi, devi, abusarne, ragionamenti, pensieri per assurdo, sistemi, la base dell’essere dell’uomo, la base di ogni materia o arte, compresa la scienza. Il mio filosofo preferito è Hegel per la sua attenzione e il soffermarsi sulla logica, sulla razionalità e sul rigore, il metodo e il sistema hegeliano fanno di lui il più grande filosofo della storia. La filosofia, il cristianesimo e la letteratura mi hanno dato idee e principi saldi, mi hanno dato speranza, convinzione, mi hanno dato uno scopo. Ho trovato me stesso e ho deciso di scavare a fondo, di scoprire e indagare su quei meccanismi della ragione e dell’essere umano che lo hanno reso il protagonista indiscusso del mondo, per questo ho scelto la facoltà di lettere classiche e sono orgoglioso della mia scelta perché ho trovato e sto trovando quanto cercavo e continuo a cercare. Quando è scoppiata la “pandemia” dopo un breve periodo di paura ho iniziato a pormi domande, a pensare un’alternativa razionale, c’erano troppi elementi che stonavano nella vulgata ufficiale sul covid, soprattutto riconoscevo in questa situazione tutta una serie di meccanismi e macchinazioni malefiche già studiate e udite sui libri di storia, era il periodo in cui studiavo per l’esame di storia greca, Tucidide e il sofismo sono stati fondamentali, in un ragionamento, confronto e analisi di dati umani e statistici che mi hanno aperto gli occhi e la mente su quanto stava accadendo. Più che scendere da un’astronave ho fatto un viaggio, un viaggio durato, e ancora in corso, tutta una vita, un viaggio che ha in sé tutte le caratteristiche del viaggio letterario, non ho la pretesa di paragonarmi ad Ulisse o a Dante, ma ho la brama della conoscenza, della scoperta di me stesso come uomo, ogni tanto durante il mio viaggio mi fermo e mi capita di raccontare ciò che ho ero, ciò che sono, ciò che voglio essere, come è successo su quel palco. A Sassari ci sono arrivato così in 21 anni, in quel discorso ho descritto chi sono, perché quella cultura, quegli ideali di cui parlavo sono un habitus, la mia veste quotidiana, fanno parte di me, sono (essi) Alessandro Lorenzo Fontana e cerco di perseguirli ogni giorno. Voglio infine aggiungere quanto siano state importanti, nel corso della mia vita, le mie radici, in particolare un padre elettricista e una madre insegnante, due persone che ogni giorno portano a termine le loro fatiche quotidiane con passione e determinazione, mia madre è una novella don Milani, ama i suoi alunni e con dedizione totale cerca di indirizzarli verso la conoscenza e l’emancipazione personale; non ho inoltre vergogna di dire che sono cristiano cattolico e che per me la religione e la fede siano imprescindibili.


Come dicevo prima, le tue parole non sembrano provenire da quest’epoca; per dirla con Nietzsche, sono decisamente inattuali. Così come quelle di Nunzia Alessandra (anche lei questo nome, Alessandra…) Schilirò che ha portato sul palco di Roma dei pensieri talmente inattuali da costarle la carriera.
Viviamo in un’epoca dove è vietato essere inattuali, così come azzardare dei pensieri non allineati. Come vedi il seguito di queste vicende, Alessandro, sopratutto per quanto riguarda le scelte e le convinzioni dei tuoi coetanei?

Non sono d’accordo con Nietzsche in merito all’essere inattuali, è vero, cercano di proibirci di pensare, di pensare con libertà, ma noi per cosa combattiamo? Penso alla Schilirò, penso a tutte quelle persone che stanno perdendo tanto in questi tempi, spesso penso riguardo al mio futuro e come sia cambiata la mia vita, un anno fa progettavo di diventare un ricercatore, ma ora temo che non succederà, visto il mio pensiero, e mi chiedo quale sia il mio futuro. In questi momenti rispondo alla domanda già posta poco fa, e la mia mente ritorna alla vera causa della nostra battaglia: idee, ideali, principi e valori. Io, noi, stiamo combattendo per questo, cioè per qualcosa di eterno, immortale e…invincibile, per questo noi non possiamo essere inattuali, siamo i portavoce, gli strumenti, i guerrieri dei valori sopra i quali si poggia il mondo, i quali sono sempre attuali, specie in queste situazioni, quindi non mi sento assolutamente inattuale, è l’ideologia che spinge gli uomini ad esserlo, è l’ideologia inattuale perché per quanto cerchi di esserlo non sarà mai reale. Non ho paura di perdere i miei progetti, perché scegliendo di combattere per ciò che è più giusto, sto combattendo per amore, non per odio, sto combattendo per l’essere umano, con le armi più nobili: la conoscenza e la letteratura, noi stiamo combattendo tutti insieme, questa è la realizzazione personale più grande. Ho fatto questo lungo ragionamento, perché è proprio alla luce di questo che vedo il divenire di queste vicende: non praevalebunt! L’ideologia, il male, è destinato a perdere per sempre, ed è per questo che ho scelto. Per quanto riguarda i miei coetanei, io credo che la più grande colpa della quale si sono macchiati sia l’aver indirizzato la loro fede verso l’ideologia. Hanno perso uno scopo saldo, una rotta verso la quale indirizzare la propria vita, hanno ridotto lo studio e la conoscenza ad un sistema ansiogeno a compartimenti stagni, finalizzato a passare esami, sembrerà assurdo…ma credo che abbiano perso contatto con la realtà, con quella realtà vera, la quale rende la vita e il mondo migliore. Ormai va di moda questa concezione pseudo nichilista della vita come ansia totale, tristezza e paure, insomma una vita che demonizza l’essere umano, perché le debolezze sono parte di noi, come se l’essere titanico non sia umano. Gran parte dei miei coetanei…non scelgono, non sono convinti, ma solo temono, non diversamente da Don Abbondio o dai personaggi delle metamorfosi ovidiane, vagano sperduti in un mondo meraviglioso che disprezzano ed etichettano. Così invece di riscoprirsi hanno iniziato a disprezzare loro stessi, hanno perso la fede e il coraggio di credere, rifugiandosi nei succulenti e esiziali doni dell’ideologia. Da questo deriva la situazione attuale, ma non mi sento di darli per spacciati, se lo facessi…non sarei cristiano, non è loro che combattiamo, ma la deriva che li ha spinti in questa situazione, perciò il futuro dipende da noi, dall’ardore, dalla convinzione e dal modo in cui porteremo avanti la nostra grande battaglia anche per loro. Questo è solo l’inizio di tutta una serie di meccanismi storici, i quali dovranno avere uno sviluppo prima di una conclusione, il risultato di scelte sulle quali non abbiamo avuto voce, scelte di altri le cui conseguenze ricadono su di noi, non sarà facile affrontare il futuro, ma non lo è mai, lo confesso: spesso questa situazione mi spaventa, mi addolora, mi angoscia, ma poi mi rendo conto che non sono solo…c’è una piccola grande parte di giovani che, come me, sono radicati nelle loro idee e questo mi dà speranza, siamo pochi, ma quando ci confrontiamo, quando parliamo, quando facciamo scudo con le nostre idee…siamo un esercito, il più potente degli eserciti, perché non solo vinciamo tutte le battaglie, ma lo facciamo senza uccidere nessuno, in quanto le nostre armi non uccidono, ma guariscono. So perfettamente quello che potrebbe riservarci il futuro, ma cosa sarebbe la nostra vita se non la riempissimo e la mettessimo al servizio di un bene più grande? Quel bene è la volontà di Dio, la quale, per parafrasare le parole di Picarda Donati nel canto III del Paradiso, si fa tutt’uno con la nostra volontà, concretizzando le nostre vite.

</p>

Nel tuo intervento mi era, di primo acchito, sembrato mancasse un elemento, quello della spiritualità, anche se evidentemente tutta la cultura, l’arte, la letteratura e la filosofia sono prodotti dello Spirito il quale, come accenni giustamente riferendoti alla dialettica hegeliana, tende a livelli sempre più maturi di Aufhebung. Ma sullo Spirito, quello che si incarna negli eventi terrestri, nel Bene e nel Male, ad esempio, c’è forse bisogno di riflettere più diffusamente, come ora hai fatto. Proprio perché probabilmente mai prima d’ora nella Storia dell’Uomo il Leviatano si è manifestato con tale sprezzante e globale arroganza. Vedi, ad un certo punto nella stesura di queste note mi si è manifestato il senso del sovrapporsi nella mia anima delle parole di Florenskij alle tue; anche allora, nel Dicembre del ’37 – come infinite volte nella Storia – vi fu il manifestarsi del Male, del sub-umano che pretendeva, ringhiando, di annientare, di calpestare ogni valore spirituale. Si trattava anche in quella tenebrosa vicenda del Male puro, di una manifestazione che ci rimanda ogni volta al nostro compito di smascherarlo, sia all’interno che all’esterno di noi. E questo mi appare il senso più profondo dell’essere-qui-ed-ora, metterci davanti ai nostri specifici compiti nella vita con il preciso obiettivo di dare testimonianza della nostra fedeltà allo Spirito. Come vedi il tuo compito in questo senso Alessandro?

Non ho ambizioni di gloria, non pretendo di essere qualcuno o di essere per apparire, il mio compito, la mia “croce”, è quella di indirizzare i miei talenti verso il Signore. Ogni giorno, ad ogni esame che supero, mi pongo questa domanda: in che modo questo mi aiuterà a servire il Signore? In che modo darò la mia testimonianza? Io credo che il mio compito, come d’altronde quello di tutti, sia vivere secondo i miei ideali, i miei principi e facendo quello che amo: studiare, dare a me stesso e al mondo qualcosa attraverso lo studio. Studio e idee, quelle idee, quello Spirito che ho incontrato nello studio, questo è la mia parte, il mio compito specifico; ritengo la conoscenza e la perfezione qualcosa di irraggiungibile a pieno, a causa del nostro essere imperfetti, tuttavia è un cammino da percorrere, perché se anche non arriverai mai alla meta, ad ogni passo acquisirai qualcosa di nuovo, ad ogni passo scopri te stesso e il mondo intorno a te, in questo senso siamo tutti dei piccoli Hobbit che vagano silenziosi con un obiettivo maestoso, ma allo stesso tempo costante e tortuoso. Non credo nella rivoluzione, quanto più nel rinnovamento, non “cambiare” ma “riscoprire”, in questo senso di pone la mia vita, vivere ogni giorno come se fossi Alessandro Lorenzo Fontana, non dimostrare le mie idee, ma esserle a pieno sino in fondo, piano piano con costanza e coerenza anche e soprattutto nei momenti più complicati. Non apparire, non mostrare, semplicemente essere a pieno, non è un ragionamento a posteriori, ma più a priori, da ciò che siamo, deriva ciò che facciamo. Nella domanda precedente si è parlato di scelta, a mio parere anche in questa domanda è giusto sottolinearne l’importanza: scegliere di essere per sé stessi e per il mondo, oggigiorno è la più ardua delle scelte. Che razza di letterato sarei se non mettessi la letteratura e la filosofia al servizio dell’uomo e dello Spirito, sarebbe una contraddizione, diverrebbe ideologia, perché come ho detto nel mio discorso citando Boccaccio, ma è bene anche ricordare Platone, la letteratura è la voce e la sostanza dell’uomo, è l’indice più alto di civiltà ed è un portale per l’eternità, per l’autoaffermazione, per Dio stesso, Dante docet, siamo tutti Spirito, siamo tutti esseri in noi stessi e per sé stessi. Per concludere, il mio compito è studiare, ma non uno studio fine a sé stesso, non uno studio erudito, ma uno studio colto, sempre al servizio dell’essere umano, nessuno di noi è male, siamo tutti potenziali strumenti di male, di conseguenza essere noi stessi, con la nostra fede e le nostre idee, è la migliore testimonianza allo Spirito nonché la somma virtù e il miglior modo per portare del bene.

Alessandro, ti ringrazio per questa chiacchierata e nel complimentarmi ancora una volta per il tuo intervento, ti faccio i miei migliori auguri per il futuro.

Io la ringrazio per questa bellissima possibilità, per questo meraviglioso discorrere e per le parole meravigliose, la quali saranno uno sprone per le mie azioni future.

Piero Cammerinesi

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo!

Facebook
Pinterest
Twitter
Email
Telegram
WhatsApp

Ti potrebbero interessare:

it_IT

Accedi al sito

accesso già effettuato