Pensiero unico e pensiero critico

Thinking Freely

Vi è chi nonostante tutto resiste ritagliandosi all’interno della cornice macchinica dell’esistente uno spazio per la creatività e la riumanizzazione. 

Si tratta di persone che non cadono nelle grinfie del pensiero adesivo, quel pensiero che si appiattisce sul “senso comune”, sono persone che sottopongono quest’ultimo al vaglio critico della ragione e al vaglio altrettanto importante della propria intelligenza del cuore. 

Molte sono le vittime di questo pensiero.

A riprova di ciò basti considerare il fatto che anche chi si crede immune all’impianto tecnico della propaganda può sviluppare un pensiero adesivo, per esempio consultando siti sinistri di “controinformazione”, casse di risonanza delle teorie del complotto più astruse, affidandosi ciecamente al loro magistero. La logica di fondo è: «Se questi fanno controinformazione e l’informazione mainstream è pilotata ad arte, allora questi dicono sempre e comunque la verità». Tali siti fomentano una cultura mortifera del biasimo, enfatizzano sempre e comunque la pars destruens, raramente offrono una pars costruens.

Si comprende meglio alla luce di quanto detto finora l’aspetto più problematico di un pensare che si nutre in maniera irriflessiva e acritica delle opinioni altrui: la dipendenza. Il pensiero adesivo delega la formazione delle proprie credenze a terzi. E nell’epoca dei social le opportunità di identificazione-adesione ai pensieri altrui sono illimitate. Si costituiscono online delle “fazioni” e gli utenti vengono incoraggiati a “unirsi per la causa” perché è politicamente corretto sostenere ora una ora l’altra posizione (p. es. pro-vax, pro-Ucraina). 

Vi è un’alternativa, un pensiero che permetta di fronteggiare la polarizzazione nel dibattito, di orientarsi nella molteplicità delle fonti di informazione e di resistere ai condizionamenti? L’alternativa c’è, si chiama pensiero critico. 

Il pensiero critico è singolarmente personale, perché nasce dalla propria sensibilità interiore. 

Per dirla con un’immagine: il processo di osmosi simbolizza bene questo tipo di pensiero soggettivante dove le molecole “buone”, quelle che passano il vaglio della ragione, vengono assimilate dalla membrana, mentre le molecole “cattive” vengono scartate. 

Il pensiero critico non gode di grande popolarità, perché è faticoso, spesso invita alla sospensione del giudizio e soprattutto si struttura fisiologicamente come sobria ponderazione dei fatti (il pensiero adesivo tende invece a emozionalizzare il dibattito). Questo significa che di tanto in tanto la ragione non riuscirà a inquadrare immediatamente un fenomeno e conseguentemente la persona dovrà tollerare l’incomprensione rimandando il giudizio a tempi più propizi (o evitando proprio di giudicare, anche perché non bisogna formarsi a tutti i costi un’opinione su tutto, con buona pace dei tuttologi). 


Se è pur vero che la rivoluzione sociale procede anzitutto dalle rivoluzioni nelle coscienze dei singoli (the great awakening come l’hanno chiamata alcuni) è altrettanto vero che la forma più nobile di pensiero critico si esplica nel dialogo. 

Il confronto permette in sommo grado di integrare prospettive diverse in un’ottica di crescita nel contempo interiore e comunitaria.

Dall’informazione monoprospettica si passa alla conoscenza multiprospettica. Dalla monocausalità alla multifattorialità. Dalle connessioni unilaterali alla visione ramificata dell’insieme. 

Il dialogo spezza l’autarchia solipsistica di un pensare animato dalla brama di sedurre, di relegare il lettore o l’ascoltatore nel giogo del conformismo, perché inaugura un orizzonte relazionale che avvicina le persone (non le atomizza) e che le arricchisce (non ne amplifica il senso di insufficienza). 

Da questo punto di vista l’esplosione in popolarità del formato podcast segna un’opportunità grandiosa in quanto corrispettivo digitale (ma non sostituto) del dialogo faccia a faccia.

Radio Gamma 5, Radio Liberland, Joe Rogan Experience, Lex Fridman Podcast, Unlimited Hangout (con Whitney Webb), The Grayzone (a cura di Max Blumenthal e Aaron Maté), DarkHorse Podcast (di Bret Weinstein e Heather Heying), sono solo alcune delle mille piattaforme dove si pratica il pensiero critico nella sua inverazione più propria, quella del pensiero dialogico. 

E lo stesso discorso può essere applicato mutatis mutandis ai blog e ad altre piattaforme (on– o offline) di scambio intellettuale. I podcaster con tutta probabilità non hanno un’agenda ma sono genuinamente interessati all’analisi della complessità. Ed è questo che li rende popolari. Nessuno sente il peso del condizionamento quando ascolta un dibattito libero. 

In effetti, i coristi del pensiero adesivo invitano a un agire, a un volere e a un sentire omologati attraverso la suggestione.

È il capitalismo dell’attenzione che ci vorrebbe sempre ricurvi sugli schermi a consumare contenuti preconfezionati, ovvero pensieri già pensati da ricalcare e emozioni prodotte artificialmente da cui farsi contagiare.

Così vengono alimentate gravi angosce di non-corrispondenza (o di senso di insufficienza) in coloro i quali in se stessi percepiscono una deviazione dalla narrativa dominante, angosce da cui è bene difendersi, perché non bisogna a tutti i costi avere gli stessi interessi o pensarla allo stesso modo.

La diversità è una ricchezza ma senza tolleranza produce solo antagonismo.

Anche il pluralismo di valori ha un senso solo se viene promosso contemporaneamente il rispetto per i valori altrui, altrimenti si ha un guazzabuglio, non una coesistenza felice. 

L’antidoto all’omologazione è, ancora una volta, il pensiero critico. La tavola rotonda. Il pensare insieme. Nel rispetto delle posizioni altrui. Partendo sempre dal presupposto che il mio prossimo potrebbe essere meglio informato e forse anche più saggio.

Federico Neri

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