Guardie e guardiani del capitalismo sorvegliato hanno tanti sistemi di controllo sociale. Gli attuali software di tracciamento funzionano mediante smartphonecomputertablet, GPS, smart house con elettrodomestici e altoparlanti intelligenti. Dovunque ci sono telecamere e sensori collegati all’apparato digitale ubiquo. Siamo già spiati, schedati, manipolati. La ricerca e la sperimentazione di nuovi sistemi di tracciamento sono determinate dalla logica del profitto. Le innovazioni scientifiche sono applicate alla produzione di beni soltanto se producono utili. Dire che una tecnologia sia stata sperimentata con successo, non significa che verrà generalizzata. Lo sarà se e quando conviene alle classi dominanti.

La capacità di applicare sensori alle cose di uso quotidiano trasforma ogni azione e situazione in un flusso di dati comportamentali. Ogni spazio fisico diventa un ambiente navigabile per vedere quel che accade aggregando sensor data provenienti da molteplici canali. L’apparato delle cose interconnesse – cosiddetto Internet of Things (IoT) o internet delle cose – è un sistema olistico, un tutto a cui nulla sfugge. Gli spioni pubblici e privati ne sono felici. Possono continuamente inviarci pubblicità personalizzata e attenzionarci a scopo di repressione politica. Tutto ciò potrebbe bastare. Invece il progresso avanza.

Olivier Oullier è funzionario del World Economic Forum e presidente di Emotiv, un’azienda americana di bioinformatica, che sviluppa prodotti per l’elettroencefalografia indossabili. Egli prevede l’uso crescente di neurotecnologie da parte di magistratura e polizia, negli interrogatori di presunti colpevoli per verificare la veridicità di certe dichiarazioni e addirittura accedere ai loro ricordi. Analogamente farebbero, in generale, sia le aziende nelle strategie di marketing, per influenzare il comportamento dei consumatori, sia i datori di lavoro per selezionare, valutare, formare, supervisionare i propri dipendenti (1).

La convergenza tra biologia e informatica, in alcune tecnologie trainanti della quarta rivoluzione industriale, produce apparecchiature digitali utili alla cura di molte malattie motorie e mentali. Sottratte a finalità di pubblica utilità, alcune possono diventare strumenti di tracciamento e coercizione, che vanno ad implementare le architetture repressive del capitalismo sorvegliato. Descritte col linguaggio della fantascienza, alimentano narrazioni transumaniste e tecnoutopiste sul futuro dell’umanità, generando paure e illusioni, sentimenti che giovano alle oligarchie dominanti per continuare a governare col terrore e la menzogna.

Transumanesimo e tecnoutopismo

Se l’essere umano integrato nei sistemi di office automation può essere definito un’ibridazione macchinica, tale espressione, nella deriva transumanista del capitalismo sorvegliato, cessa di essere una metafora e identifica un essere umano aumentato nelle proprie capacità fisiche e mentali dall’innesto di microchip che lo connettono all’intelligenza artificiale. Diventa dunque essenziale capire, non soltanto le potenzialità delle nuove tecnologie, ma a quali interessi economici e politici vengono asservite.

Il transumanesimo è un tratto essenziale del capitalismo postmoderno. Basato sul concetto che l’essere umano non rappresenta la fine, ma l’inizio dell’evoluzione, promuove l’uso delle nuove tecnologie digitali per estendere le sue capacità motorie e mentali, preconizzando la nascita di una specie postumana che subentrerebbe alla nostra.

Le tecnologie della quarta rivoluzione industriale già sembrano destinate a diventare una vera e propria componente dell’essere umano. Gli smartphone sono talmente importanti per fare qualunque cosa da essere verosimilmente considerati come un’estensione del nostro corpo. I sensori indossabili e le cuffie per la realtà virtuale sono impiantabili nel cervello umano. Possiamo incidere sul patrimonio genetico nostro e dei nostri figli. Gli esoscheletri e le protesi aumentano la forza fisica. Le neurotecnologie offrono l’opportunità di curare disturbi neurologici e disabilità fisiche. Al tempo stesso, possono consentire all’uomo di potenziare i propri sensi. Magari, in futuro, riusciremo a vedere a raggi infrarossi, registrare ricordi e sogni, muovere oggetti col pensiero, ma anche essere eterodiretti nei pensieri e nelle emozioni.

La carica utopistica di alcune nuove tecnologie, quelle che sembrano incidere sulla natura umana, curandone i difetti e sviluppandone le potenzialità, non fonda tanto sulla volontà di sfidare l’ordine divino o costruire una società futura di esseri perfetti, quanto sulla necessità di usare quelle stesse tecnologie per gestire un sistema di potere sempre più complesso. Transumanesimo e tecnoutopismo hanno poco di metafisica o fantascienza: sono dinamiche di potere, concrete e attuali (2).

Il capitalismo sorvegliato offre soluzioni ai bisogni di persone e istituzioni. Ai singoli individui, sotto forma di connessioni sociali, accesso all’informazione, risparmio di tempo. Allo Stato, sotto forma di onniscienza, controllo, repressione: lo scopo non è soltanto quello di fronteggiare la potenziale instabilità politica che potrebbe derivare da precariato, disoccupazione, povertà, sradicamento, ma di riempire la vulnerabilità, sul piano individuale e collettivo, prodotta da tali condizioni. Le sue presunte certezze riempiono un vuoto morale e sociale, risolvono la paura del futuro.

Nella narrazione transumanista e tecnoutopista, la connessione all’ubiquitous computing risolverebbe tutti i nostri problemi, creando un nuovo paradiso terrestre, ordinato e felice. Offrirebbe un futuro funzionale, in cui chiunque potrà soddisfare i propri bisogni personali ed emotivi, ritrovando significato e speranza. Basta rinunciare ad una visione anacronistica della libertà e delegare alle classi dominanti il diritto di decidere il nostro futuro. Affinché le previsioni si avverino e la certezza trionfi, è necessario che ogni persona, cosa, relazione, entri in un processo produttivo gestito da algoritmi, che ottimizzano la realtà mitigando la nostra fragilità.


Tecnologie di tracciamento indossabili

Le tecnologie di tracciamento indossabili sono inventate e sperimentate al Media Lab del Massachusetts Institute, sotto la direzione di Alex Pentland, scienziato e imprenditore, consigliere di aziende e organizzazioni, tra cui World Economic Forum, Data Pop Alliance, Google, Nissan, Telefonica, segretariato generale delle Nazioni Unite. Non è l’unico esperto del settore, ma il più noto. Personaggio carismatico, con importanti credenziali e sapere interdisciplinare, ha formato ricercatori e imprenditori di successo (3).

Alex Pentland è un designer di utopie al servizio delle oligarchie mondialiste. Attualizza le intuizioni degli psicologi comportamentisti americani – Planck, Meyer, Skinner – contestualizzandole allo sviluppo delle tecnologie digitali. Senza il suo apporto ideologico, le teorie behavioriste sarebbero rimaste ipotesi applicative confinate alla preistoria dell’informatica: grazie a lui assurgono a profezie della società alveare, dove tutti si muovono all’unisono nella stessa direzione, come uno sciame di api.

Pentland parte dal comportamento animale, studiando i castori negli stagni. Chiama il suo approccio fisica sociale. Definisce occhio di Dio il modo di osservare le cose a distanza, con sguardo distaccato. Per due decenni, insieme ai suoi discepoli, inventa strumenti e metodi capaci di trasformare il comportamento umano, specialmente quello sociale, in matematica predittiva.

Costituisce varie aziende, che usa come laboratori viventi delle sue tecniche strumentalizzanti, per sondare l’assuefazione della gente a renderizzazioni pervasive, controllo, monitoraggio, manipolazione. Divulga il suo sapere in libri e conferenze. Vende i suoi sistemi di sorveglianza ad altre imprese, che li utilizzano per la gestione del personale e la pubblicità targhettizzata. Lavoratori e clienti sono le cavie umane per fissare le fondamenta teoriche del totalitarismo digitale e capire come spostarlo dalle aziende alla società nel suo complesso.

L’ideologia del capitalismo sorvegliato viene elaborata e divulgata da Pentland previa sperimentazione delle sue apparecchiature in contesti sempre più vasti. Agli inizi del XXI secolo, malgrado la diffusione dei computer e del web, il sociale è un ambito che ancora sfugge ai data scientist per la difficoltà di ottenere misurazioni affidabili sulle interazioni all’interno di una comunità.

Il rilevamento e la modellazione dei comportamenti umani iniziano l’anno dopo l’attentato alle torri gemelle, con l’invenzione del sociometro (2002) un sensore indossabile dotato di microfono, accelerometro, connessione Bluetooth, software analitico e tecniche di apprendimento artificiale per desumere le dinamiche interne ai gruppi e definire un codice per strutturare i processi sociali secondo una visione totalitaria basata su mezzi onnicomprensivi di modifica del comportamento.

Dopo tre anni, per rimediare alla scarsità e discontinuità dei dati – che bloccano l’apprendimento delle macchine – e offrire modelli predittivi sempre più completi, nasce reality mining (2005), un software di estrazione della realtà che cattura dati dalle conversazioni e le operazioni svolte tramite cellulari e li combina coi flussi di informazioni provenienti dai dispositivi indossabili. Il sistema consente di definire regole e strutture presenti nel comportamento di individui e gruppi, rilevare con regolarità gli schemi di posizionamento spaziale e temporale, le attività e i modelli di comunicazione, arrivando a predire, con un’accuratezza del 90%, dove si sarebbe trovata una persona e cosa avrebbe fatto nel giro di un’ora, oltre ad elaborare previsioni su parenti, amici, colleghi.

Il potere predittivo dalle cosiddette briciole digitali – elenco dei siti web consultati, registri delle chiamate, persone e luoghi frequentati, acquisti effettuati – catturate da smartphone e sociometri, apre nuove opportunità commerciali. Offre alle aziende una conoscenza privilegiata della realtà per orientare i comportamenti e massimizzare i profitti. Sensori ambientali e dispositivi indossabili, tipo i badge per identificare gli impiegati in ingresso e uscita dagli uffici, rilevano le conversazioni tra colleghi – contenuti, linguaggio, toni di voce – consentendo ai datori di lavoro di valutare i dipendenti secondo i pattern comportamentali conformi alla policy aziendale, per identificare affinità e differenze tra persone dello stesso team, valutare le prestazioni, prevedere e inibire comportamenti indesiderati. La diffusione di sociometri nei luoghi di lavoro può supportare o sostituire le funzioni di sorveglianza e supervisione svolte da persone fisiche, riducendo sempre più le dimensioni dei sensori per renderli meno intrusivi.

Dopo anni di sperimentazioni in azienda, comprovato il potere strumentalizzante dei dispositivi di rilevazione e computazione mobili, Pentland passa a definire i principi cardine di una società totalitaria, dove i sistemi governativi, energetici, sanitari, sono gestiti dall’apparato digitale ubiquo. La premessa è che i moderni sistemi per la gestione di acqua, cibo, rifiuti, energia, trasporti, polizia, educazione, salute pubblica, sono diventati obsoleti, perché centralizzati e insostenibili. Servono tecnologie digitali che li rendano integrati, olistici, responsivi, dinamici, autoregolanti. La conclusione è che bisogna ripensare radicalmente la società e creare un sistema nervoso per l’umanità, una rete di piattaforme con sensori al posto di occhi e orecchie, per comprendere e modellare il comportamento umano si scala globale.

Nelle tecnologie indossabili, con algoritmi finalizzati al monitoraggio biometrico, la renderizzazione usa parti del corpo come fonti di raccolta dati. Inserendo sensori nei tessuti, Google sviluppa indumenti con la connessione alla rete incorporata. In partnership con Levi’s (2017) lancia il primo giubbotto che vede e rileva ogni movimento di chi lo indossa. L’obiettivo è arrivare a catturare emozioni e condizioni fisiche. Salute e benessere sono applicazioni primarie per i sensori di tracciamento indossabili. Il primo sistema di telemedicina wireless (2001) fatto per il monitoraggio degli anziani, serve soltanto a collegare paziente, medico, ospedale, senza rivendere informazioni a fini pubblicitari. Gli attuali sistemi m-health, utilizzabili da chiunque, renderizzano processi fisiologici – respirazione, battito cardiaco, temperatura corporea, attività celebrale e muscolare, pressione sanguigna, sudorazione, consumo energetico, postura – trasformandoli in dati comportamentali.

 

Microchip sottocutanei

Il primo esperimento di microchip impiantati nel corpo avviene nelle Galapagos (1964) facendo ingoiare sensori alle tartarughe per studiarne il comportamento nel loro habitat. Un minuscolo apparecchio trasmittente invia, a un ricevitore remoto, segnali che consentono di tracciare i movimenti dell’animale che, non accorgendosi di essere attenzionato, agisce spontaneamente. Negli anni successivi, l’ipotesi di realizzare un processo bidirezionale di telestimolazione a distanza – non soltanto per monitorare, ma anche per modificare il comportamento di un soggetto – diventa possibile con lo sviluppo del digitale. I sensori indossabili, applicati a mandrie e sciami per seguirne gli spostamenti, rilevano anche clima e geografia dei luoghi.

Possiamo iniettare nel nostro cane un transponder per consentirne l’identificazione in caso di smarrimento. È una capsula di vetro biocompatibile, grande quanto un chicco di riso, che racchiude un microchip riconosciuto grazie alle onde a radiofrequenza: Radio Frequency Identification (RFID). Un codice cifrato racchiude la storia del cane e i dati del padrone.

Inaugurando la sede di Stoccolma (2015), Epicenter impianta ai suoi dipendenti microchip RFID sottocutanei, tipo quelli per cani, al posto dei badge con dati anagrafici e codici d’accesso agli edifici. Agli animali s’inietta sul collo, alle persone sulla mano tra pollice e indice. Invece del veterinario, basta un tatuatore. I lavoratori possono entrare in ufficio, fare fotocopie, prendere caffè, sbloccare l’accesso ai computer aziendali, avvicinando la mano al lettore, senza doversi ricordare pin e password. Dopo l’inaugurazione, ampiamente pubblicizzata dai media, Epicenter inizia la ricerca di gente disponibile a farsi impiantare volontariamente microchip RFID, e ne trova (4).

Il dispositivo sottocutaneo, iniettabile con siringa o applicabile come tatuaggi e tinture, è soltanto una tra le tante tecnologie di tracciamento sviluppate negli ultimi decenni. Microfoni e telecamere istallati nei telefoni mobili possono essere attivati a distanza dai sistemi di sorveglianza della polizia. Negli smartphone c’è un microchip RFID che cattura ogni nostro movimento tramite GPS o triangolazione cellulare. Avendolo sottopelle, in futuro potremmo tutti fare a meno del portafoglio coi documenti, ma anche oggi, usando bancomat e carta di credito, riveliamo oggetti, importi, luoghi dei nostri acquisti e veniamo profilati per movimenti, reddito, preferenze.

Secondo autorevoli data scientist, come Martin Lewin, l’uso di microchip sottocutanei per i pagamenti è il futuro di questa tecnologia. Biohax Italia, azienda di biotecnologie, sta lavorando con Vodafone e Paypal per sbloccare questa funzionalità. Steven Northam, direttore della britannica BioTeq, dice che sarà questo il punto cruciale per la sua diffusione di massa. A tal fine, occorre che diventi una moda tra i giovani, che sia percepito come qualcosa di cool per usufruire di ogni bene e servizio: consumi, trasporti, viaggi, divertimenti, sanità. Se qualcuno si sballa, finendo in ospedale privo di sensi, un paramedico potrebbe scansionare il microchip e ottenere informazioni su allergie o malattie. Lo stesso farebbero polizia e datori di lavoro per carpire dati, relazioni, gusti, opinioni, tendenze, storie personali. Sottratte a finalità strettamente commerciali e utilizzate da apparati governativi, simili tecnologie diventano strumenti di sorveglianza, coercizione e repressione politica.

Microchip nel cervello

Neuralink è una delle aziende di Elon Musk, imprenditore di successo, considerato l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio stimato di 273,5 miliardi di dollari (5). Fondata nel 2016, produce interfacce neurali impiantabili, cioè microchip collocati chirurgicamente nel cervello per collegarlo con software e hardware esterni, in modo che l’uomo – con pensieri, sentimenti, sensazioni, emozioni – possa comandare alla macchina di fare qualcosa. E viceversa, che mediante la connessione all’apparato digitale ubiquo, diventi possibile attivare comportamenti con impulsi elettrici (6).

Le interfacce tra cervello e computer non sono una novità, ma quelle esistenti sono ingombranti, richiedono lunghi interventi chirurgici per essere impiantate nel corpo umano ed hanno capacità limitate: sono utilizzate per intercettare e correggere gli impulsi elettrici emessi dal cervello nei pazienti affetti dal morbo di Parkinson. Lo scopo di Neuralink è utilizzare l’elettronica per sostituire funzioni cerebrali e capacità motorie compromesse da traumi o malattie neurodegenerative, consentendo a persone paralizzate di attivare arti robotici e funzioni fisiologiche mediante computer e dispositivi mobili connessi alla loro attività neuronale. Un microprocessore wireless, facilmente impiantabile, non solo consentirebbe ai paraplegici di camminare, ai ciechi di vedere, ai sordi di udire, ma risolverebbe patologie come autismo, schizofrenia, depressione.

Nel 2019 Neuralink annuncia di aver realizzato un dispositivo che legge informazioni dal cervello di un topo tramite 1500 elettrodi, più dell’attuale massimo per simili sistemi. Nel 2020 passa alle sperimentazioni sui maiali, mettendo dietro l’orecchio del suino un microprocessore grande quanto una moneta, capace di captare i segnali elettrici del cervello e trasmetterli a un computer a sua volta collegato ad altre apparecchiature elettroniche. Il sistema registra le sensazioni olfattive del porcello, quando mette il muso a contatto col cibo, trasformandole in segnali audio e visivi, ma funziona solamente in lettura. Nel 2021 tocca alle scimmie: un microchip wireless, impiantato nel cervello di un macaco, gli permette di giocare a un videogioco senza usare le mani, cioè solo pensando di muovere i comandi.

Contestualmente viene presentata la prima versione di un robot chirurgo che, in meno di un’ora, riesce a impiantare un microchip sulla scatola cranica di un essere umano. Il dispositivo ha un diametro di appena 23 mm ed è alimentato da una piccola batteria ricaricabile in modalità wireless, come quella di uno smartwatch. Il sistema sarà in grado di misurare la temperatura, la pressione e il movimento del paziente, rilevando imminenti attacchi di cuore o ictus. A gennaio 2022 Neuralink annuncia trionfalmente di essere pronta ad avviare test clinici per inserire microchip nel cervello degli esseri umani.

La narrazione transumanista del progetto Neuralink sembra fantascienza. L’obiettivo dichiarato di Elon Musk è di far comunicare cervello e computer alla velocità del pensiero, salvare e riprodurre i ricordi, scaricare la nostra coscienza su corpi robotici, estrarre la memoria di un uomo morente e trasferirla ad un altro essere umano o in un robot. La chiamano mind uploading: è la mappatura dettagliata del cervello, scansionata e trasferita su un sistema informatico. I ricordi di un uomo, la sua rete neurale biologica, sopravvivono così alla morte fisica. Gli esperimenti di David Glanzman, neuroscienziato della UCLA University, sembrerebbero confermare il sogno di Elon Musk.

Immaginiamo che il nostro cervello sia connesso a computer con accesso a internet. Potremmo effettuare una ricerca su Google con la sola forza del pensiero e i risultati apparirebbero più velocemente di una ricerca su smartphone. Potremmo imparare una lingua straniera scaricando nella memoria libri di grammatica e conversazione. Se avessimo un microchip cerebrale collegato ai neuroni in cui si formano i ricordi, questi potrebbero essere archiviati nel cloud, pronti per essere riprodotti in qualsiasi momento a richiesta, nostra o di chiunque altro: poliziotto, magistrato, datore di lavoro. Persone con microchip nel cervello, potrebbero messaggiarsi allegando parole, immagini, suoni, odori, emozioni. Diverrebbe possibile caricare, scaricare o ripristinare lo stato di coscienza di una persona in qualunque momento, anche dopo la morte. Potremmo vivere in eterno.

Purtroppo, a meno di un mese dal trionfale annuncio sul radioso avvenire di un’umanità redenta dai microchip nel cervello, sorge un problema: muoiono quasi tutte le scimmie di Elon Musk. La Physicians Committee for Responsible Medicine (PCRM) – organizzazione americana che raggruppa oltre 17.000 medici – deposita un’istanza di oltre 700 pagine presso il Dipartimento dell’Agricoltura USA per violazione dell’Animal Welfare Act accusando Neuralink della morte di 16 scimmie, su 23 usate negli esperimenti. L’impianto di microchip nel cervello avrebbe causato vomito, insufficienza respiratoria, emorragia celebrale. Il ritrovamento di scimmie con le dita degli arti superiori e inferiori mozzati non è chiaro se sia il risultato di automutilazioni o traumi specifici. Neurailnk nega i maltrattamenti, ma ammette di aver abbattuto 8 scimmie.

 

Delirio di onnipotenza padronale

Elon Musk è un visionario. Non saranno certo le scimmie morte o la denuncia degli animalisti a fermare il suo progetto di dare all’umanità, oltre ad auto elettriche e bus spaziali, anche la salute e l’immortalità. Se non fallisci, non stai innovando abbastanza: è questo il suo motto. Proclama che, per avere successo, non basta lavorare 40 ore settimanali, cioè 8 ore al giorno, ma bisogna lavorare almeno il doppio. Non è soltanto il suo stile di vita, è quanto pretende dai suoi dipendenti. In Tesla lo smart work è concesso solo a chi trascorre almeno 40 ore settimanali in azienda. Ciò significa: fai le tue 8 ore e poi continui a lavorare da casa. Pare non siano tutti d’accordo, visto l’elevato turnover di personale (7).

La narrazione su benefici e limiti dello smart work è funzionale alla sperimentazione dei sistemi di tracciamento e alla propaganda vaccinista. Durante i lockdown, viene imposto. Tra un’emergenza pandemica e l’altra, viene osteggiato. Se facoltativo, viene negato o concesso per costringere i lavoratori a vaccinarsi. Significativa non è dunque l’ostilità di certi imprenditori allo smart work quando calano i contagi, ma la tendenza, comune a molti datori di lavoro, ad appropriarsi del tempo libero dei dipendenti, arrivando a identificare smart work e lavoro straordinario, meglio se forfettizzato.

Non è solo la filosofia di Elon Musk, è la pretesa di qualunque bottegaio. Non è solo un modo per lucrare plusvalore mediante prolungamento della giornata lavorativa a parità di salario – orari estenuanti, reperibilità costante, riunioni al weekend, straordinari non retribuiti – ma si esprime anche in forme paternalistiche, con strutture dopolavoristiche e solidali, che sottintendo una visione del territorio come fabbrica e della sua popolazione come riserva di manodopera a basso costo (8).

Questa perversione di classe potremmo chiamarla delirio di onnipotenza padronale. Non è generalizzato, giacché esistono anche imprenditori coscienti del fatto che la proprietà è un dovere, oltreché un diritto, e rispettano la dignità e la libertà dei lavoratori. Tuttavia, alcuni padroni, per il fatto stesso di pagare un salario, con cui un dipendente si guadagna da vivere, credono di essere in società con Dio che, a quella persona, ha donato la vita. Scimmiottando Elon Musk, pur non avendone la statura, fanno ragionamenti del tipo: sono io che ti do da vivere, quindi la tua vita mi appartiene. Se potessero, certi padroni reintrodurrebbero la schiavitù. Non in senso metaforico, intesa come sfruttamento, che esiste in tante forme. Proprio la schiavitù, in senso giuridico, dove lo schiavo è proprietà del padrone. Nulla è più bello e desiderabile, per chi è affetto da delirio di onnipotenza padronale, che avere la disponibilità totale e incondizionata dei dipendenti.

Non essendo storicamente possibile, almeno in Occidente, reintrodurre la schiavitù, non resta al padronato che auspicare una crescente digitalizzazione e robotizzazione dei processi produttivi, dove le macchine sostituiscano l’uomo e l’uomo impari a ragionare, oltre che a comportarsi, come una macchina. Con una differenza: un macchinario viene ammortizzato in 10 anni, una persona è messa alla prova in un anno, con contratti flessibili che servono ad adeguare i costi fissi, in particolare quello della manodopera, all’andamento della produzione, facendo utile anche se cala il fatturato. Si scrive flessibilità, si legge precariato.

L’uso di microchip sottocutanei in azienda è già realtà. Quelli impiantati nel cervello possono attendere. Dispositivi di tracciamento, applicati a computer e cellulari aziendali, soddisfano esigenze di controllo durante e fuori l’orario lavorativo. Norme liberticide, emanate dai governi con la complicità dei sindacati, tengono sotto ricatto i lavoratori, affinché aderiscano a sperimentazioni collettive, giustificate da presunte emergenze sanitarie, per misurare l’assuefazione delle masse all’obbedienza. In un mondo di pecore, le scimmie di Elon Musk possono riposare in pace.

Il dovere dell’azione

Lo sviluppo del digitale è stato possibile grazie alla progressiva riduzione dei transistor. La legge di Moore (1965), secondo cui il numero di transistor compreso in un pollice quadrato raddoppia ogni 2 anni, ha portato ad aumentare la velocità di calcolo dei computer riducendone l’ingombro, fino ad arrivare ai moderni dispositivi che funzionano grazie a microscopici processori. Diversamente non avremmo gli smartphone. Oggi i transistor sono più piccoli di un batterio. In commercio sono disponibili microchip con una grandezza che varia dai 10 ai 14 nanometri. Un capello umano ha un diametro di 50.000 nanometri (9).

Iniettare microchip con una siringa, mischiandolo a un siero vaccinale, è quindi tecnicamente possibile. Tuttavia, non è detto che convenga alle industrie farmaceutiche, salvo che non serva a sperimentare la reattività dell’organismo umano a certe sostanze, tipo il grafene. Non è strettamente utile neanche ai governi, dal momento che l’obiettivo politico di spingere la gente a vaccinarsi per misurarne il grado di sottomissione, viene perseguito e raggiunto, salvo una minoranza di recidivi, con normative autoritarie e discriminatorie.

Siamo già indotti al vaccino dal terrore del contagio, dal desiderio di tornare alle vecchie abitudini, dal ricatto di restare senza salario. Siamo già tracciabili via smartphone. Siamo già manipolati da mass media e social network. Cosa potrebbero aggiungere le neurotecnologie alle architetture del capitalismo sorvegliato? I governanti hanno davvero bisogno di impiantare microchip nel cervello dei governati per ottenere obbedienza? Quelli che, terminato l’obbligo di mascherina, hanno continuato a indossarla, avevano microchip nel cervello o avevano talmente interiorizzato la propaganda pandemista da preferire, per libera scelta, di continuare a comportarsi come durante l’emergenza?

Sul piano politico, bisogna distinguere tra utopia e realtà del transumanesimo. La realtà è che lo sviluppo delle neurotecnologie, è utile se applicato alla medicina, mentre è ininfluente ai fini del funzionamento dei sistemi di tracciamento e manipolazione collettiva, già efficaci allo stato attuale di sviluppo delle tecnologie digitali. Utopia è la narrazione transumanista che la scienza risolva tutti i problemi, che bisogna fidarsi della scienza anche quando a parlare in suo nome sono persone poco credibili, da cui non compreremmo neppure un’auto usata, come è avvenuto nelle recenti campagne vaccinali, quando opinioni diverse dal main stream, anche se scientificamente fondate, sono state bandite come complottiste.

L’utopia transumanista non è una novità. Nasce col positivismo illuminista, è sussunta nelle ideologie totalitarie del secolo scorso, giunge alla nostra epoca come sovrastruttura della dittatura pendemista, che conduce a un nuovo totalitarismo mediante la rifondazione dello Stato etico, con la salute pubblica come bene supremo e la scienza come religione. In tale scenario, la questione dei microchip nel cervello, oltre che alimentare l’utopia transumanista con narrazioni miracolistiche dei suoi presunti benefici, serve anche a neutralizzare le critiche. Non soltanto perché, se si esprimono dubbi o perplessità, pare si voglia costringere un paralitico su una sedia a rotelle. Ma soprattutto perché, il fatto che le scimmie di Elon Musk siano morte e l’impianto di microchip nel cervello umano sia ben lungi dal diventare realtà, potrebbe far credere cha siamo salvi, che abbiamo ancora ampi margini di libertà, sottovalutando il potere coercitivo della propaganda e l’invasività dei sistemi di tracciamento già esistenti.

Nessuna rivoluzione renderà libero chi è servo per natura. Quando parliamo di libertà, dobbiamo chiederci cosa siamo disposti a rinunciare per difenderla o riconquistarla: amicizie, affetti, soldi, posto di lavoro. Se ce ne freghiamo di tutto ciò, siamo eroi. E abbiamo il dovere dell’azione: essere esempio a chi non ha ancora il coraggio di ribellarsi. Non possiamo arrenderci, sebbene coscienti dei limiti altrui, che spesso non sono morali, economici, politici, ma antropologici. Se è vero, come scriveva Karl Marx, che è sempre l’essere sociale che determina la coscienza, tuttavia esistono persone in cui il senso di libertà, massima espressione dell’immagine divina impressa alla creazione, è forse irrimediabilmente atrofizzato e preferiscono restare schiavi. Possiamo pure disprezzarli, ma combattiamo anche per loro.

 

Note:

  1. Si veda: Raffaele Ragni, Libertà Libertà. Crisi, terrorismo, pandemia nell’era digitale, Edizioni del Martello, Milano 2021, pag.33.
  2. Sul moderno pensiero tecnoutopista, si veda: Raffaele Ragni: op.cit., pagg.152-153.
  3. Su idee, invenzioni, esperimenti di Alex Pentland, si veda: Raffaele Ragni: op.cit., pagg.157-162.
  4. Si veda: Raffaele Ragni, op.cit., pag.137.
  5. Sulla personalità e il patrimonio di Elon Musk, si vedano: Bruno Ruffilli, Un futuro di unicorni e fenici, Elon Musk (24.09.2021), su https://www.repubblica.itElon Musk mai così ricco: ecco la mappa dei Paperoni del mondo (02.01.2022), su https://www.ilsole24ore.com.
  6. Sugli esperimenti di Neuralink, si vedano: Adamo Genco, Neuralink V2 svelato: oltre 1000 elettrodi nel cervello renderanno l’uomo smart (29.08.2020), su https://www.hdblog.it; Rebecca Mantovani, Elon Musk e Neuralink (03.09.2020), su https://www.focus.it; Gaetano Russo, Neuralink, arriva un chip che cura il cervello (03.02.2021) su https://tecnologia.periodicodaily.com; Sergio Donato, Neuralink di Elon Musk ha permesso a una scimmia di giocare a Pong con il pensiero (09.04.2021), su https://www.dday.it.; Emiliano Ragoni,Musk, i chip nel cervello di Neuralink pronti per i test sugli umani, permetterà ai tetraplegici di camminare (27.01.2022), su https://www.corriere.it; Andrea Daniele Signorelli, 15 scimmie morte, ritardi, dipendenti scontenti: Neuralink è il grande flop di Elon Musk? (15.02.2022), su https://www.repubblica.it; Chiara Gallé, Le 16 scimmie di Elon Musk, morte per un chip destinato agli umani (15.02.2022), su https://www.tio.ch.
  7. Sullo smart work secondo Elon Musk, si veda: Pier Luigi Pisa, Elon Musk contro lo smart working, il lavoro da remoto non è più accettato (01.06.2022), su https://www.repubblica.it.
  8. Sul paternalismo padronale, in particolare sul modello Olivetti, si veda: Raffaele Ragni, Federalismo e rivoluzione, Edizioni Rinascita, Roma 2009, pagg. 89-92.
  9. Si veda: Raffaele Ragni, op.cit., pag.19.

Raffaele Ragni

Fonte