La Realpolitik senza Realtà

Realpo
di Andrea Zhok

A quanto pare negli USA, il presidente Biden, presidente uscente, sconfitto e rinnegato dal proprio stesso entourage come inadatto a proseguire nel ruolo di comando, ha dato il permesso all’Ucraina di utilizzare i propri missili a lungo raggio (300 km) ATACAMS per colpire obiettivi nel territorio russo.
A ruota la posizione americana è stata seguita dalla Francia, che consentirà l’utilizzo in profondità degli SCALP, e dal Regno Unito, che consentirà l’uso degli STORM SHADOW.

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Dal primo giorno del conflitto russo-ucraino o “operazione speciale” che dir si voglia è stato chiaro a tutti coloro che non fossero in malafede che una sconfitta militare della Russia da parte dell’Ucraina + NATO non fosse concepibile se non in forma di Terza Guerra Mondiale.

Nessuno poteva pensare neppure per un minuto che se la Russia si fosse trovata in grave difficoltà sul campo di battaglia in una guerra convenzionale avrebbe semplicemente accettato una sconfitta strategica sul proprio territorio. L’unica possibilità di una sconfitta della Russia che non passasse attraverso un olocausto nucleare era un collasso dell’economia a causa delle sanzioni, ma una volta che quella strada si è dimostrata impercorribile, la strada della sopraffazione militare era ovviamente preclusa. Un impero dell’estensione di quello russo non può mantenere un controllo centrale capillare su tutti i suoi territori. La propria esistenza è consentita e alimentata dalla certezza percepita dell’unità del paese in futuro. Una sconfitta strategica significherebbe la dissoluzione interna e non è qualcosa che né Putin, né chiunque gli succedesse, potrebbe mai permettere senza ricorrere a tutte le opzioni a disposizione.

Questo quadro era ovvio dall’inizio.
Per questa ragione, oltre che per ovvie ragioni umanitarie, si sarebbe dovuta percorrere la strada di un compromesso e di una pace rapida, immediatamente.

Come sappiamo le trattative di pace, sulla scorta di una ripresa degli accordi di Minsk II, sono state sistematicamente boicottate non da Zelenski, ma dalla Nato. C’è voluto l’intervento diretto di Boris Johnson per far fallire l’accordo già quasi raggiunto a Istanbul poche settimane dopo l’inizio del conflitto.

Oggi, dopo due anni e mezzo di conflitto, l’Ucraina è ridotta a 29 milioni di abitanti (ne aveva 52 nel 1993, e 41 alla vigilia del conflitto). Il sistema di infrastrutture è devastato. Il sistema economico è di fatto fallito, e mantenuto artificialmente in vita da versamenti (a perdere, ma soprattutto prestiti) occidentali.

All’interno del paese da tempo vige un’atmosfera surreale, con vere e proprie cacce all’uomo per mandare ogni maschio abile al fronte. Scene raccapriccianti di persone rapite in mezzo alla strada, picchiate e poi infilate in un furgoncino per essere inviate come carne fresca al fronte sono state viste oramai migliaia di volte (non naturalmente nel bugiardaio della comunicazione mainstream).

In questo contesto vediamo personaggi come Soros Jr. (perché in Occidente abbiamo ripristinato le dinastie) gioire sui social per la decisione di Biden (“This is great news!”).

Ovviamente tutti, ma proprio tutti, sanno che una simile decisione significa solo tre cose:
1) più soldi in tasca all’industria bellica;
2) più morte e distruzione di persone non al fronte (russi e ucraini in maggior numero verranno colpiti nell’entroterra);
3) maggiore rischio di un’escalation in direzione Terza Guerra Mondiale.

Invece assolutamente niente cambia o può cambiare per questa via quanto agli equilibri in campo, dove la Russia ha conquistato nell’ultimo mese più territorio che nell’intera controffensiva dell’anno scorso.

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In pratica, una volta di più, le classi dirigenti occidentali si dimostrano avere solo i difetti della Realpolitik ma non i suoi pregi.
E’ infatti possibile immaginare scelte di Realpolitik fatte con freddo cinismo, sapendo che costeranno molte vite umane, e tuttavia farle con la consapevolezza di poter raggiungere obiettivi strategici di lungo periodo (certamente una scelta di questo tipo è stata quella fatta da Putin con l’attraversamento della frontiera ucraina nel febbraio 2022). Sono scelte di tipo machiavellico, amorali, ma difendibili in termini di una razionalità collettiva di lungo periodo, tipica di organismi complessi come gli stati e gli imperi.

Le scelte occidentali odierne invece della Realpolitik hanno solo il cinismo, ma nessun contatto con la realtà.
Sono dispostissimi a manovrare esseri umani sulla scacchiera della storia come pedine liberamente sacrificabili, solo che a giocare non sono maestri di scacchi ma scimmie da palcoscenico, moderni Zampanò in versione patinata.

Ma, si dirà, dietro ai pagliacci di scena, ai buttadentro che servono a raccogliere voti ai Talk Show, ci sarà pure un Oscuro Potere, magari con un’Oscura Agenda, ma a suo modo razionale, no? Certo, non sono i Biden o gli Scholz a condurre la barca, ma dietro ci saranno pure i manovratori, il famoso “Deep State”?

E purtroppo, chi pensa in questi termini è ancora troppo ottimista, perché umanizza e razionalizza l’oligarchia dei manovratori, facendone un novello Sauron: oscuro, malvagio, ma a suo modo razionale.

Solo che no, la situazione è molto peggiore.

L’oligarchia dei manovratori dietro le quinte naturalmente esiste, ma non è un partito, né un’associazione segreta, né una setta, ma una congerie mobile di partiti, associazioni segrete, sette, lobby di varia natura, totalmente incapaci di progettare persino il male a lungo termine; capacissimi però di tenere la barra a dritta del proprio interesse economico nel breve e medio periodo.

E questo è l’UNICO ELEMENTO CHE LI ACCOMUNA in profondità.

Ciò che facilita il realizzarsi di quell’interesse viene permesso e da taluni promosso. Ciò che ostacola quell’interesse viene ostacolato, censurato, definanziato. In un meccanismo “darwiniano” le idee, ideologie, iniziative culturali, testate, personalità che remano a favore vengono permesse, favorite, si riproducono, si espandono. Le altre languono negli stenti. Così prende forma anche una sorta di “ideologia” del “Deep State”, che però nessuno ha progettato e che ha un carattere puramente sovrastrutturale.

Il risultato complessivo è quello che possiamo chiamare l’impero del cinismo acefalo.
Abbiamo costruito una enorme macchina mortale, immensamente complessa e distruttiva, e nella cabina di guida abbiamo messo una banda di scimmie a zampettare sui comandi.

 


Andrea Zhok, nato a Trieste nel 1967, ha studiato presso le Università di Trieste, Milano, Vienna ed Essex. È dottore di ricerca dell’Università di Milano e Master of Philosophy dell’Università di Essex. Oltre a saggi ed articoli apparsi in Italia e all’estero, ha curato scritti di Simmel (Il segreto e la società segreta, 1992) e Scheler (Amore ed odio, 1993). È autore di Intersoggettività e fondamento in Max Scheler (La Nuova Italia, Firenze 1997), Fenomenologia e genealogia della verità (Jaca Book, Milano 1998), Introduzione alla “Filosofia della psicologia di L. Wittgenstein (1946-1951) (Unicopli, Milano 2000) e L’etica del metodo. Saggio su Ludwig Wittgenstein. (Mimesis, Milano 2001). Attualmente collabora all’attività didattica e di ricerca presso le cattedre di Filosofia della Storia e Filosofia Teoretica II dell’Università degli Studi di Milano.

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