di Lorenzo Merlo
Le espressioni che arrivano dalla Russia, dalla Cina e, in generale, dalla cosmogonia Brics dedicate al multipolarismo e al rispetto delle politiche che emergono dalle culture fiorite sulla terra, sono viste dalla parte di noi che considera la modalità ingerente irrinunciabile stella polare di quella statunitense-occidentale come mortifera, alla stregua di una promessa salvifica.
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La base su cui appoggia la speranza che tale promessa possa comportare la realizzazione di un mondo più rispettoso e meno travestito di giustizia, non più governato dal padre padrone statunitense, si radica sul plinto della crescente e diffusa consapevolezza che la freccia scoccata dall’arco della modalità egemonica, appesantita da assurdità antropologica, sociologica e psicologica prima ancora che politica, geopolitica, come l’esportazione della democrazia, e ammorbata da un debito pubblico sintomo di un sistema immunitario allo sfacelo, sia prossima al suo punto di schianto, ben lontano dal centro del bersaglio di dominio assoluto che voleva colpire.
È una speranza che la storia ha fortunatamente disintossicato dall’esaltazione, quindi consapevole che ciò che verrà avrà di che essere osservato e studiato prima di conferire ai fautori del cambio di paradigma gli onori riservati agli eroi.
Sappiamo bene che la logica dell’occupazione del posto vacante, nonché quella della rotazione dei ruoli, soggiace a tutte le espressioni umano-relazionali. Ed è con questa ulteriore consapevolezza che alimentiamo e attendiamo lo sviluppo del virgulto sorto dall’Est del mondo.
La radicale avversione russa alla genuflessione davanti all’altare natico-statunitense non è, come sono soliti misconoscere i suoi detrattori, fondata sulla strumentalizzazione dell’identità valoriale storico-russo-ortodossa che Putin non manca di fare presente ad ogni suo intervento in merito alla Russia stessa.
È un misconoscimento giustificato dall’inettitudine tutta materialistica di avere in sé il gene della cecità spirituale.
Per la presenza del medesimo cromosoma, l’Occidente cosiddetto non accede alla conoscenza e quindi alla forza insita nel confucianesimo taoista egida del prepensiero cinese. Un fondamento che non ammette la deroga di se stesso, pena il venire meno alla propria natura, alla propria vita.
Così, tanto il perno intorno al quale ruota la filosofia russa, quanto quello cinese, si trovano sul piatto d’argento della storia l’invito, se non la costrizione, a una reciproca solidarietà. In sostanza una muraglia geopolitica nei confronti del tentativo di invasione economica-culturale-politica occidentale.
La promessa e la speranza che implica fanno dunque leva sull’inderogabile sopravvivenza dei valori nazionali russi, cioè ortodossi – di gran lunga i più diffusi entro l’enorme bacino di culture del più esteso stato del mondo – e di quelli sino-confuciani, che emergono anche dall’indomita capacità di lavoro e di obbedienza alle istituzioni. Due aspetti assolutamente venuti a sciogliersi nell’opulenza, nell’edonismo, nell’individualismo, nella mercificazione di ogni aspetto della vita che hanno liquefatto i valori identitari dell’Occidente.
Avremo quindi a che fare con un menù del mondo senza più le voci della guerra declinate in vario modo? Con un sistema mondiale.2 non più corrotto dai bachi del Destino manifesto, dalla lobby delle armi, dalle bolle finanziarie e da quelle sanitarie, dalla disumanizzazione digitale e dallo tsunami dei diritti individuali? Non più filo rosso con cui tessere i paludamenti della presunta superiorità del pensiero occidentale?
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Vedremo tutti, detrattori in buona e cattiva fede, come andranno le cose della storia, vedremo cioè se la promessa orientale della multipolarità, fondata sul rispetto identitario e sulla pari dignità dei paesi del mondo, sarà mantenuta e in che modo, o disattesa.
Dunque rispetto per le culture che significa anche delle politiche. Come fossero consapevoli che un’ingerenza non è più possibile. Che non è che colonialismo travestito. Che ogni popolo ha il dovere e diritto di svolgere personalmente il proprio modello di evoluzione, se mai lo volesse perseguire, e come lo volesse attuare.
A questo punto, anche se una promessa orientale è necessariamente più attendibile di una occidentale a causa del differente fattore K dell’avidità mercificante, una giravolta è ontologicamente presente e da tenere in considerazione. Essa è uno dei trucchi umani che si compiono nel momento in cui non lo crediamo possibile.
Eppure, riducendo l’angolo di osservazione da mondiale a nazionale, ne abbiamo due dimostrazioni che dire eclatanti non basta. Quella del Movimento 5 Stelle e quella della Meloni hanno di che essere simili a capolavori, cioè opere fuori dallo spettro del già pensato.
Due delusioni ben superiori rispetto a quella altrettanto inesorabile, ma più diluita nel tempo, della cosiddetta sinistra.
Abbiamo quindi a che fare con una speranza che, almeno per il tempo necessario alla verifica della sua attuazione, permette di calmierare l’anticapitalismo di fondo, presente in coloro che ne attendono lo sviluppo, evidentemente supportati dall’ipotesi che tra i paesi Brics possa configurarsi un capitalismo più umano, che faccia tesoro del gradiente esiziale che ha caratterizzato quello che ci sta addosso e, nonostante le sue promesse, ci nega l’idea di una vita aurea.
Lorenzo Merlo, diplomato ISEF, Guida alpina emerita e maestro di alpinismo, insegnante di diverse attività motorie, co-ideatore e responsabile di “Victory Project Scuolanatura”, proposta operativa di reclutamento delle potenzialità individuali.
Giornalista pubblicista, scrittore e fotografo. Collabora con blog e testate online con articoli che trattano di ambiente, comunicazione, sicurezza, geopolitica, argomenti evolutivi e di critica sociale.