Gabriele D’Annunzio era chiamato l’immaginifico per la sua capacità di creare parole nuove. Il vate pescarese, dall’alto della sua genialità, inesauribile fantasia e amore per la lingua italiana, sapeva inventare i termini più pregnanti per definire cose, situazioni, sentimenti. Gli stregoni contemporanei della lingua lo hanno ampiamente superato.
Dopo “genitore gestante” al posto di madre, l’officina neolinguistica ha forgiato un nuovo sintagma: “madre intenzionale”. L’obiettivo è sempre lo stesso: normalizzare ciò che normale non è. Una coppia omosessuale femminile, se vuole figli senza ricorrere all’aborrito sistema antico – l’unione fisica tra un uomo e una donna – deve affidarsi alla fecondazione artificiale. Una delle due diventa quindi “genitore gestante”, prescindendo dalla figura del donatore – o venditore onanista – del seme, che in tempi oscuri ci si ostinava a chiamare padre. E l’altra metà della coppia? Dilemma risolto: è la “madre intenzionale”, in quanto vuole diventare genitrice, sia pure “non gestante”. Ecco fatto. La legge “positiva” (mai termine fu più ossimoro…) non deve fare altro che prendere atto delle intenzioni e riconoscere ad entrambe lo statuto giuridico di genitori, a partire dalla patria (???) potestà.
Attraverso le mutevoli leggi degli uomini, si trasformano desideri, capricci, bizzarrie, talora perversioni o follie, in diritti inalienabili, a partire dalla “salute riproduttiva”, altra novità della neolingua. Nessun interesse per il diritto naturale del bambino/a (i genitori, gestanti e intenzionali, preferiranno crescere piccoli del loro sesso) ad avere un padre e una madre; ovviamente nessun diritto e dovere per il tristo fornitore di seme. Il suo ruolo finisce al momento della firma per quietanza della somma ricevuta per la “prestazione”.
Per equità dovrà essere istituzionalizzata anche la figura del “padre intenzionale”, il soggetto della coppia omosessuale maschile che non fornisce seme per l’utero in affitto – pardon, gestazione per altri – o per altre diavolerie tecno riproduttive capaci di generare un bambino al di fuori delle fastidiose pratiche stabilite dalla natura. Chiunque valuti ancora la realtà non può che constatare un attacco senza precedenti alla natura e alle sue leggi. Alcuni aspetti, se non avessimo disattivato il cervello, dovrebbero muovere a santa indignazione. La Banca d’Inghilterra, l’istituto di emissione monetaria britannico, si è portata avanti, riconoscendo che chiunque può rimanere “incinto”. Non comprendiamo che ci azzecchi tutto questo (Di Pietro dixit) con la creazione monetaria, o forse sì. Il potere ha deciso così e poiché “puote ciò che vuole”, più non dimandare. Di passaggio, Bank of England guadagna punti nella speciale classifica di Stonewall, ricchissima organizzazione internazionale che promuove la causa “omo”.
Non possiamo che prendere atto della riconfigurazione antropologica della specie homo sapiens. Il canale privilegiato dai dottori Frankenstein è quello sessuale. Ovvio: è la pulsione naturale più potente, dopo quella alla conservazione della propria vita. La sessualità viene riorientata; per un verso promuovendo condotte, orientamenti, comportamenti sterili – innanzitutto l’omosessualità – e poi negando in radice il dimorfismo sessuale, ricondotto a scelta individuale revocabile. Si appartiene a un sesso, ribattezzato genere con un numero crescente di “orientamenti”, per scelta, volontà, capriccio provvisorio. Si può addirittura transitare, fare slalom tra i generi fluidi con interventi farmacologici o chirurgici: la transizione verso il postumano, ovvero non più umano.
La volontà prometeica del Cagliostro contemporaneo si rivolge soprattutto alla sfera dell’istinto e delle pulsioni primarie in quanto forze primigenie e infra razionali, la cui decostruzione e riorientamento ribalta il senso della condizione umana. L’obiettivo a medio termine – la tappa ancora umana nel cammino transumano – è di natura metaculturale. Dove c’è società c’è legge, come sapeva Cicerone (ubi societas, ibi ius): l’origine delle leggi, per il grande giurista e pensatore latino, è nel “coniugio”, ossia nella formulazione delle norme sul matrimonio, la paternità legale, l’alleanza tra famiglie sancita dal patto coniugale. Rovesciare millenni di civiltà basata sul riconoscimento della legge naturale, sancita dal principio biblico (“maschio e femmina li creò”) significa ribaltare l’umanità come creatura, ponendo la volontà soggettiva come suprema legge.
Si dice che una volta Giancarlo Pajetta, comunista integralmente votato alla causa, abbia sbottato: tra la verità e la rivoluzione, scelgo la rivoluzione. Diversa è la causa dei padroni globali d’inizio Terzo Millennio, uguale è l’esito, cancellare la verità, abolire la realtà in nome di qualcos’altro, il potere e il dominio. Una lotta di cui l’umanità – come specie e come individui concreti – è la posta in palio, che ha successo per la colossale potenza di fuoco di chi ha preso, in ambulacri riservati, decisioni terribili contro l’intera umanità. Sono cancellate le procedure della democrazia – tanto care all’immaginario occidentale – per entrare a vele spiegate nell’oceano della post libertà, ovvero del totalitarismo, nella sua forma postmoderna, insinuante, in cui le sbarre virtuali hanno sostituito le catene materiali.
Totalitarismo perché, a differenza della dittatura, che si limita a imporre, obbligare e vietare, il totalitarismo ordina che si agisca e pensi come esso vuole, occupando l’immaginario individuale e collettivo. Scriveva Costanzo Preve, pensatore eterodosso dimenticato in fretta dal milieu intellettuale conformista – che l’obiezione più forte contro il principio democratico è che la verità non può essere messa ai voti. Infatti viene distorta, negata, capovolta, affinché non crediamo più ai nostri occhi.
Per quanto riguarda le parole, i concetti che esprimono, non è più questione di “metasemia”, la parola che designa il processo per cui un vocabolo o un’espressione muta significato o ne assume uno nuovo. È una guerra cognitiva che si serve delle parole per cambiarci nel profondo. Madre intenzionale o genitore gestante sono esempi di un processo di decostruzione che ha prima smantellato lo specifico maschile e paterno – guida, legge, protezione – e va ora all’assalto del femminile – cura, trasmissione della vita.
L’umanità è sottoposta a un processo di desimbolizzazione che la rende permeabile alla menzogna, al rifiuto del pensiero critico, in definitiva insensibile alla verità: agisce un potente apparato di programmazione neurolinguistica, psicologica e antropologica. Un esempio molto forte, per chi ancora sa riconoscere il valore dei simboli e la loro connessione con la verità, è l’appropriazione indebita dell’arcobaleno.
In sé, l’arcobaleno è un fenomeno di ottica atmosferica dovuto alla rifrazione e riflessione della luce di una sorgente luminosa attraverso goccioline d’acqua disseminate nell’atmosfera, osservabile soprattutto dopo la pioggia. Gli uomini hanno sempre associato l’arcobaleno e i suoi colori al ritorno della luce, attribuendogli un potente significato simbolico. I colori dell’arcobaleno percepiti dall’occhio umano sotto sette: rosso, arancione, giallo, verde, indaco, blu e viola. Da tempo immemorabile l’equinozio d’ estate segna la fine del freddo e dell’oscurità, il momento ideale per la celebrazione della vita. La luce, il fuoco, il calore, i colori della natura simboli della rinascita dell’uomo e della natura, il riavvio di un ciclo permanente che ogni tradizione celebra a suo modo. Oggi tutto è cambiato e il significato dell’equinozio si è perduto in una celebrazione invertita. È il tempo dell’orgoglio LGBT (una volta solo gay). Prima un giorno, poi una settimana, adesso l’intero mese di giugno è un interminabile festival di oscenità e blasfemia con il patrocinio istituzionale.
L’orgia pansessuale da cui è bandita la normalità ha un simbolo, l’arcobaleno che in ogni civiltà era collegato al divino, al magico, al sacro, segno della presenza di un regno soprannaturale e trascendente. L’inversione non potrebbe essere più totale e niente affatto casuale. La celebrazione dell’orgoglio LGTB + ha poco a che fare con i diritti o le libertà. I baccanali di giugno diventano un carnevale rovesciato, la cancellazione di ogni significato precedente. E’ obliterata anche la vecchia associazione di immagine con il pacifismo. La metasemia è del tutto compiuta. Ognuno collega al circo LGBTQI+ l’immagine dell’arcobaleno, destituita della sua relazione originale con la luce, la rinascita e la circolarità dei ritmi naturali. Il resto lo fa l’ignoranza programmata, che infatti celebra un altro orgoglio, quello della cancellazione, la tabula rasa che interrompe il circuito tra ieri e oggi, padri e figli, passato e futuro.
I primi riferimenti all’arcobaleno come elemento simbolico, comunicazione tra dimensioni diverse, risalgono ai Sumeri. Nell’epopea di Gilgamesh l’arcobaleno è la collana della grande madre Ishtar, che la innalza verso il paradiso, la promessa che non dimenticherà il grande diluvio che ha distrutto i suoi figli. Per gli antichi Greci, l’arcobaleno era un attributo della messaggera degli dei Iris, ricordata da Omero nell’Iliade. A Roma, Iris annunciava il patto tra l’Olimpo e la Terra alla fine della tempesta. Nell’iconografia era coperta da un velo trasparente che poteva essere visto solo quando attraversava il cielo, lasciando una scia multicolore. Il velo è il legame fra due universi, il ponte sacro che unisce il mondo degli uomini con quello degli dei.
Per i popoli nordici, l’arcobaleno è la magica passerella, Bifrost, che unisce Asgard, la casa degli dei, con Midgard, la terra dei uomini. Durante il Ragnarok, la battaglia finale tra la luce e l’oscurità, il Bifrost viene distrutto segnando la fine del mondo. Indù, Celti, Aztechi, Incas, hanno narrato il legame con il arcobaleno dai sette colori, un simbolo sacro che non possiamo abbandonare all’inversione di significato.
Per ebrei e cristiani l’arcobaleno simboleggia l’alleanza di Dio con Noè il giusto, la promessa che non distruggerà la Terra con un altro diluvio. Nella Genesi (9, 12-17) Dio dice “ecco il segno del patto che io faccio tra me e voi e tutti gli esseri viventi che sono con voi, per tutte le generazioni future. Io pongo il mio arco nella nuvola e servirà di segno del patto fra me e la terra. Avverrà che quando avrò raccolto delle nuvole al di sopra della terra, l’arco apparirà nelle nuvole; io mi ricorderò del mio patto fra me e voi e ogni essere vivente di ogni specie, e le acque non diventeranno più un diluvio per distruggere ogni essere vivente. L’arco dunque sarà nelle nuvole e io lo guarderò per ricordarmi del patto perpetuo fra Dio e ogni essere vivente, di qualunque specie che è sulla terra. (…) Questo è il segno del patto che io ho stabilito fra me e ogni essere vivente che è sulla terra.”
Vi è un ulteriore, sinistro segnale, non più colto dalla maggioranza immemore: l’arcobaleno LGBT, inventato dall’attivista omosessuale Gilbert Baker nel 1978, ha soltanto sei colori. Manca il blu o azzurro, nella tradizione cristiana associato a Maria. Una precisa negazione anti cristiana, ostentata platealmente nelle rappresentazioni oscene e blasfeme di Maria e di Gesù che accompagnano le parate LGBT. Un capolavoro di inversione rispetto a un simbolo di luce, un arcobaleno manomesso che non può non ricordare la figura dell’angelo caduto, Lucifero, (“portatore di luce”). Crediamo ancora che l’arcobaleno sia stato scelto a caso?
Un perfetto capovolgimento, il sigillo della cancellazione, la tabula rasa della Babilonia d’ Occidente che investe anche il termine orgoglio associato alle manifestazioni LGBT. Orgoglio non significa più sentimento di soddisfazione per i risultati conseguiti o i meriti acquisiti, ma esibizione di arroganza, presunzione, sopravvalutazione, sentimento di superiorità entro una scala di valori rovesciata.
Ci hanno rubato un simbolo ancestrale, il segno della luce, il canale visibile della trascendenza; hanno distorto il significato della parola che definiva il sentimento di amore per se stessi e per un’identità condivisa. Tra maternità intenzionale, genitore gestante, arcobaleno senza il blu, spaventa l’attacco alla verità e alla realtà di una minoranza troppo malvagia per essere soltanto un drammatico segno dei tempi. Sgomenta ancor più che tutto questo accada senza vere reazioni.
La tenebra si fa chiamare arcobaleno, la menzogna diventa verità tra gli applausi del pubblico.
Roberto Pecchioli