La libertà di potersi ammalare

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La copertina del mensile Le Scienze di giugno 2021, edizione italiana di Scientific American, porta un titolo che vorrebbe apparire rassicurante: Un vaccino per tutti i coronavirus.
L’immagine che accompagna il titolo rappresenta una pioggia cosmica meteorica di questi temibili killer, ognuno provvisto dei suoi spike sporgenti, come armi micidiali, che cadono su un grande ombrello il cui manico è una siringa.

Riporto alcuni estratti dell’articolo che troviamo a pag. 26 a firma Roberta Villa:

“Alcuni laboratori stanno lavorando a un vaccino universale contro ogni tipo di coronavirus per contrastare le varianti e prevenire pandemie future. Il virus pandemica SARS-CoV-2 sta infatti già mostrando quanto i nostri sforzi possano essere ostacolati dall’insorgenza di nuove varianti facilitate da una sua circolazione elevata e da una sua permanenza in soggetti con il sistema immunitario compromesso, non in grado quindi di affrontarlo efficacemente. (…) Per stare più tranquilli servirebbe un vaccino a più ampio spettro, capace di coprire almeno tutte le varianti del virus di COVID-19, il virus della SARS e possibilmente altri affini che circolano tra i pipistrelli. (…) Nella migliore delle ipotesi potremmo arrivare un giorno ad avere un vaccino pancoronavirus  contro tutti i betacoronavirus. E magari così, come effetto collaterale molto desiderato, potremmo anche abbattere il rischio del comune ma fastidioso raffreddore, contrastando alcuni virus che lo provocano.”

Dunque, proprio mentre emerge e si fa strada, seppure a fatica, la verità sulla provenienza del virus, sui laboratori di ricerca che li ingegnerizzano in Cina e negli Stati Uniti, si continua imperterriti ad avallare la versione del pipistrello, del salto di specie, dello spillover. Circa poi il raffreddore da “abbattere”, sembra comicità involontaria. Per le varianti, però, nel corso dell’articolo, viene fuori  una verità, forse involontariamente:

“La preoccupazione degli esperti deriva da diversi elementi. Prima di tutto, paradossalmente, quegli stessi vaccini che per un verso ci portano fuori dal guado, per l’altro potrebbero contribuire all’insorgenza di nuove minacce. Non si può escludere che, un po come accade per i batteri resistenti agli antibiotici, la pressione evolutiva determinata dall’immunizzazione finisca con il favorire eventuali varianti capaci di sfuggire al blocco esercitato dagli anticorpi.” 

All’autrice non viene proprio in mente che le varianti che attualmente circolano possano avere la stessa origine, neppure come ipotesi remota… Dunque, per contrastare le varianti si lavora ad un vaccino che “non si può escludere” finisca col favorirle.

Certo, dopo un anno e mezzo di menzogne e mezze verità, di salti mortali logici e di “paradossi” di varia natura, possiamo stupirci che si sia persa la capacità, almeno nello stesso articolo, di evitare incongruenze?

Nello stesso numero troviamo in un altro articolo interessante, di Kathleen Hall Jamieson, un’altra involontaria ammissione di verità. Il titolo è:“Come combattere disinformazione su Covid-19”. Tra i vari consigli che vengono forniti, il n.2 recita: “Ricordare che la scienza è disordinata e provvisoria”. L’autrice trova evidentemente coerente il disordine e provvisorietà della scienza con una narrazione unica, dogmatica e unilaterale che da un anno e mezzo viene diffusa a reti e testate unificate.

Visualizza immagine di origineDel resto, già un anno fa, a maggio 2020, la stessa rivista scientifica aveva come titolo di copertina “Il prossimo coronavirus”, e veniva menzionato David Quammen, autore di “Spillover”. E un altro articolo dello stesso numero titolava: “Virus in laboratorio, tra rischi e benefici”, di Massimo Sandal. L’incipit era il seguente.

“Un Jurassic Park in provetta. Un ente biologico di un tempo remoto, più piccolo ma più terribile di qualsiasi tirannosauro, ricostituito dalla biotecnologia, da genomi sepolti in resti di autopsie sotto formalina o in cadaveri congelati nel il permafrost dell’Alaska. Non è un film. Nel 2005 i laboratori dei Centers for Disease Control and Protection di Atlanta, negli Stati Uniti, hanno ricreato così il virus della dell’influenza Spagnola, scomparso da un secolo.”

Ecco, circa i rischi, ognuno può farsi una precisa idea. Immagino che tra i benefici dovremmo contemplare il pancoronavirus, primo passo per fare piazza pulita di tutti i germi, virus, bacilli, funghi ecc. e restare finalmente in compagnia solo di gradevoli polveri sottili, radiazioni elettromagnetiche, antenne 5G e altro che la tecnologia non mancherà di fornire, sempre per la nostra salute e il nostro benessere.
Tutto green, ben inteso…

Spero allora che, dopo innumerevoli altri di questi “paradossi”, affermare la libertà di potersi ammalare non sia ritenuto paradossale e tanto meno provocatorio, ma l’unica reazione che possa salvaguardare l’umanità da questo scientismo che ormai ha travalicato ogni barriera morale. Ma affinché l’affermazione risulti credibile occorre cercare di dimostrarla, almeno per quanto è possibile in questo spazio. 

Chiediamoci allora: qual’è lo scopo della malattia?
E’ una domanda che farebbe sorridere di compatimento i virologi col sedere incollato nei salotti televisivi. Eppure, dalla risposta che diamo dipende in misura determinante il nostro comportamento di fronte agli eventi attuali e futuri. Se il terrore di ammalarsi di una malattia curabile, malattia con un alto tasso di contagiosità, certo, ma un basso tasso di morbilità e una letalità in linea all’incirca con le influenze stagionali, giunge al punto in cui si corre in massa a farsi iniettare un farmaco genico, sperimentale, che non contiene l’antigene, il virus, ma un programma perché sia l’organismo a produrlo, un farmaco che sta provocando morti e gravi effetti collaterali, derubricati ad accidentali, occultati e al massimo accettati con cinismo e ipocrisia, ebbene allora affermare con forza che lo scopo della malattia è quello di provocare guarigione non dovrebbe risultare provocatorio, semmai liberatorio.

I vecchi medici, quelli della mia infanzia, quelli che non operavano in “vigile attesa” ma visitavano i pazienti a domicilio anche per malattie comuni, e anche più volte, sapevano per esperienza che, ad esempio, una malattia esantematica, curata e seguita, ha una funzione importante per la crescita fisica e psichica del bambino. Sapevano che anche per malattie più serie l’ospedale era l’ultima scelta. Avevano anch’essi protocolli di riferimento ma operavano ancora in scienza e coscienza, sapevano che per la guarigione è essenziale l’aspetto sociale, la fiducia, la presenza, l’affidabilità. Molti medici hanno agito così anche in questa epidemia, quelli che hanno disobbedito, ai quali dobbiamo essere grati.

Quindi l’esatto contrario di quello che si è fatto e proposto ora; lenire paure e ansie in luogo di diffonderle; tutelare gli anziani e coloro con gravi patologie pregresse, certo, anziché chiuderle nei ricoveri; perché quei medici sapevano, e molti ancora lo sanno, che una malattia superata con le proprie forze rende davvero immuni, molto più di un vaccino.
E infine, la paura della morte, che pure esisteva, non raggiungeva allora livelli di isteria collettiva, forse perché tutti avevano vissuto una guerra vera, con le bombe.

In fondo tutti gli approcci alla salute diversi dall’unico dogmatico della medicina ufficiale, della medicina di Stato, seppure da diverse angolature e culture, concepiscono all’incirca in questo modo il rapporto con la malattia. Solo chi considera l’organismo umano una sorta di macchina biologica che brucia calorie può cullarsi nel sogno disperato di sconfiggere tutte le malattie, di invertire l’invecchiamento e vincere la morte giocando con i geni. Costoro sono talmente accecati dalla loro arroganza e presunzione da non vedere come proprio il loro agire aumenta malattie e morti. 

Rudolf Steiner

Fin qui direi che si tratterebbe di puro buon senso. Se invece vogliamo andare oltre, allora dobbiamo rivolgerci ad uno scienziato vero: Rudolf Steiner. E allora la conoscenza dell’uomo si potrà estendere oltre ciò che i nostri sensi ci comunicano.
Nelle conferenze date ai medici, ma anche in molte altre, Rudolf Steiner presenta l’essere umano triarticolato, inteso non come un insieme di organi separati, tessuti, cellule e cromosomi, ma come processi contrapposti che si tengono in equilibrio. In altre parole, ad un polo che produce vita se ne contrappone continuamente un altro che la distrugge, e un polo centrale che permette che il processo si svolga armonicamente. 

Ad una sfera del ricambio, del metabolismo, del movimento, dove regna il calore, si contrappone quella dei sensi e dei nervi, la sfera del freddo, che distruggendo la materia crea la possibilità della coscienza, del pensiero, mentre la terza sfera permette il ritmo scandito dal respiro e dal cuore. Si tratta di tre processi che si compenetrano e si equilibrano ad ogni istante, in ogni organo. 

L’organismo umano viene visto non come separato in tre parti ma come tripartito nella sua unità. In ogni organo questo movimento ritmico è scandito e agisce in modo appropriato, sia in senso quantitativo che qualitativo. Nei nervi e negli organi di senso prevale la distruzione di materia vivente, per creare lo “spazio”, per così dire, per il sentire e il pensare; nei muscoli, nel processo digestivo, nel ricambio prevale la costruzione di materia. La sfera ritmica è fondamentale per garantire la comunicazione tra le altre due e mantenerle nel giusto equilibrio. 

Se ci immergiamo col pensiero in questi continui scambi e processi può sorgere l’immagine di questo incessante movimento, in cui ad ogni istante avvengono processi incipienti di malattia subito sanati da processi di guarigione. E come forse si può intuire, anche da queste poche e imperfette spiegazioni, ci viene incontro l’immagine della vita in tutto il suo splendore, una immagine che poco ha a che fare con la concezione darwinista della medicina e della scienza odierne, il cui obiettivo è sempre e solo distruggere aggressori esterni.


La visione triarticolata dell’uomo supera il confine in cui la scienza e la medicina materialista si imbattono senza riuscire a procedere oltre. La coscienza, la moralità, il pensiero umano non possono essere spiegati in termini materiali. L’illusione di creare un cervello computerizzato che riproduca le attività dell’anima e dello spirito creativo umani dovrà naufragare nel nulla.

La medicina attuale conosce solo l’inanimato, il senza vita, e credendo di poter creare l’uomo immortale nella materia, crea continua morte e distruzione. L’organismo umano ha sempre la possibilità di equilibrare processi costruttivi e distruttivi, se posto nelle condizioni adatte, e la pretesa di fargli modificare queste funzioni, questi processi secondo il capriccio di questi apprendisti stregoni non può che produrre disastri, quelli che sono sotto i nostri occhi.

Solo l’inanimato, solo la macchina non si ammala, e in effetti, a ben vedere, è proprio in questa direzione che lavora la scienza attuale. L’unione dell’uomo con la macchina, oggi rappresentata dalla intelligenza artificiale, procede a ritmi serrati, sempre più dentro l’organismo umano. Il farmaco genico, impropriamente definito vaccino, che sempre più prenderà posto nelle terapie, è parte di questo progetto.

Senza la possibilità di ammalarsi non può esserci evoluzione della coscienza umana. La salute non è l’opposto della malattia ma la ricerca sempre fluttuante dell’equilibrio tra processi di malattia e processi di guarigione. Il pensiero che l’uomo diventa sano quando tutti i germi sono stati distrutti è, esso sì, un pensiero malato, gravemente malato. Per la concezione dualistica della scienza attuale l’uomo è un meccanismo, come un’auto, la quale funziona oppure è guasta. Analogamente, la medicina vede l’uomo o sano o malato, e poiché nessuno è completamente sano, la società medicalizzata è la soluzione che ne deriva. 

Ma l’uomo è sano quando è sempre in grado di guarire lo squilibrio tra i due poli contrapposti con l’aiuto del terzo. Questa è una concezione trinitaria. A questo dovrebbe tendere una medicina per l’uomo, a conservare e favorire questo e gli innumerevoli altri ritmi che caratterizzano la vita. 

Malattia e guarigione sono facce della stessa medaglia e la salute è la risultante della continua interazione tra essi. Non si può abolire un polo e conservare l’altro; è come immaginare di abolire l’espirazione, la diastole, ma anche la stanchezza, la notte, l’inverno…  

Nel neonato i processi vitali sono quasi totali e decrescono negli anni man mano che coscienza e pensiero crescono; poi, raggiunto il culmine, l’equilibrio, avviene l’inversione e i processi distruttivi prendono il sopravvento. Sino alla morte “naturale”, se è ancora possibile usare questo termine.
Credo che, accanto alla libertà di scelta terapeutica, alla libertà di potersi ammalare, dovremo pretendere anche quella di poter morire. Anche vita e morte rappresenta un ritmo, il più importante dell’esistenza.

E qui si aprirebbe un tema complesso e interessante, che si può ora solo accennare come titolo. Infatti, come la malattia crea possibilità di evoluzione e di guarigione, la morte crea possibilità di nuova vita, di nuove incarnazioni nella materia, nuove possibilità di evoluzione dell’individuo di vita in vita. 

Sergio Motolese   


Sergio Motolese, musicista.
L’incontro con l’antroposofia di Rudolf Steiner gli ha consentito di integrare le esperienze musicali con quelle acquisite in vari ambiti concernenti la salute.
Negli ultimi anni si è occupato in particolar modo degli effetti del suono elettronico e dell’informatica digitalizzata sull’essere umano.
E’ diplomato  presso la LUINA (Libera Università di Naturopatia Applicata). Tiene laboratori musicali, conferenze, incontri, seminari, gruppi di studio.

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