La coscienza è il nostro universo

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Supponi di disegnare un cerchio su un piano sconfinato. Ci sono due aree: dentro e fuori del cerchio. Una di queste regioni è la coscienza e l’altra è tutto il resto. 

Quale delle due è la coscienza? 

Se hai stabilito che l’interno è coscienza, sei un pensatore occidentale. Il cerchio è il soggetto. L’esterno è l’oggetto. Il cerchio è piccolo. L’esterno è grande. Il cerchio è finito. L’esterno è infinito. 

Se hai stabilito che l’esterno è coscienza sei un pensatore orientale (uso questi termini in modo approssimativo a scopo di discussione). Il cerchio è l’oggetto. L’esterno è il soggetto. Il mondo è piccolo. La coscienza è grande. Il mondo è finito. La coscienza è infinita. 

Per i pensatori occidentali, il cerchio è una membrana permeabile che circonda una cellula. Gli oggetti nel mondo passano attraverso la membrana e penetrano nella coscienza e lì vengono digeriti. Gli oggetti al di fuori della coscienza sono lì, in attesa di essere scoperti. 

Per i pensatori orientali, il cerchio è un muro intorno a una città, Roma, Baghdad, Gerusalemme o Costantinopoli. La coscienza è fuori, è l’assediante della realtà che vuole entrare. Può provare a indovinare cosa c’è dentro, ma le porte non si aprono mai. Occasionalmente, un testimone oculare sgattaiola fuori e racconta qualcosa di cosa c’è dentro. Tutti dicono che la città non assomiglia a niente che abbiate mai visto, ma possono solo dirvi com’è, confrontandola con qualcos’altro che esiste fuori dalla città.  È come quell’edificio alto o quella fossa profonda. Magari se prendessi quel fiume e quella montagna e li combinassi insieme, avresti un’idea. 

Assedio di Gerusalemme (Wikipedia)

La scienza ci fornisce la visione occidentale. Dalla fisica alla chimica, dalla biologia alle neuroscienze, presuppone che la mente sia un prodotto del cervello, che noi siamo l’universo che cerca di conoscere se stesso. Se siamo l’universo, allora siamo la membrana cellulare. L’universo condivide con noi i suoi segreti attraverso la scienza. 

I filosofi sanno da tempo che questo è falso. 

Non siamo l’universo che cerca di conoscere se stesso.  Siamo la coscienza che cerca di ricostruire come pensiamo che sia l’universo, come gli archeologi che studiano una città sepolta da tempo, vecchia di migliaia di anni. 

Tuttavia, la maggior parte delle persone formate scientificamente pensa che la scienza ci dica ciò che è vero e trova incredibile che ci siano persone che credono che le conclusioni scientifiche siano solo l’opinione partigiana di qualcuno. 

La maggior parte dei miei lettori probabilmente rientra nel primo gruppo, e potreste pensare che rifiutare le conclusioni scientifiche sia stupido, e quelli che lo fanno siano degli idioti anti-intellettuali.  I filosofi, tuttavia, hanno mostrato che c’è un granello (piccolo) di verità nella seconda posizione, in quanto la verità scientifica è in realtà una contraddizione in termini. 

Ora, sappiamo tutti cosa pensano gli scienziati dei filosofi. 

Richard Feynman una volta disse che

“la filosofia della scienza è utile per gli scienziati quanto l’ornitologia lo è per gli uccelli”

il che può essere vero, ma gli ornitologi sono più intelligenti (della maggior parte) degli uccelli e trovano l’ornitologia molto utile. 

La verità scientifica è una contraddizione in termini perché l’obiettivo della scienza non è trovare la verità. E’ quella di migliorare attraverso ipotesi. 

Ai pensatori occidentali piace pensare che la scienza riguardi la ricerca della verità o almeno dei fatti. La mente sta ricercando e ricevendo cose dal mondo esterno. 

Tuttavia, il vero processo della scienza non consiste nel far entrare le cose dal mondo, ma nello studiare il mondo e, attraverso domande e ipotesi basate su ciò che dicono i testimoni oculari e cercando di filtrare le apparenti contraddizioni, migliorare il modo in cui immaginiamo che il mondo sia. 

La verità filosofica è diversa. Non si basa su prove ma su conclusioni logiche da premesse evidenti. Questo perché la filosofia è una meta-disciplina. È una disciplina che studia altre discipline e tenta di analizzare i quadri con cui operano. Studia lo studio. Analizza l’analisi. 

Quindi la scienza non può mai riguardare la verità, a differenza della filosofia o della matematica, perché non può accettare le premesse come ovvie. Piuttosto deve dedurre le premesse dalle misurazioni. Le premesse sono le nostre ipotesi. Le prove che raccogliamo sono le conclusioni. È l’opposto rispetto alla matematica e alla filosofia. 

Molti filosofi della scienza si fermano qui, ma possiamo andare oltre e mettere in discussione non solo la verità delle teorie scientifiche, ma la verità dei fatti scientifici e questo è ciò che hanno fatto molti filosofi, a cominciare da Kant. 

Tutti i fatti devono essere espressi in un qualche tipo di linguaggio, che si tratti di parole, notazioni matematiche o qualche simbologia astratta. Le misure non possono essere espresse come semplici numeri. Queste misure devono essere definite. Le modalità per ottenere tali misurazioni devono essere espresse. Tuttavia, queste definizioni con cui vengono raccolti i dati sono in un certo senso prese come ovvie, come premesse filosofiche. 

I filosofi capiscono bene, tuttavia, che tutte le premesse sono soggette a discussione. Le definizioni che descrivono fatti e dati sono concetti mentali che vivono all’interno della coscienza, non là fuori da qualche parte. 

Anche un concetto così elementare come una “cosa” è una premessa. Il mondo non capisce le cose. Il nostro cervello essenzialmente ci costringe a credere nelle cose proprio come ci costringe a credere nei colori e nelle note musicali. Non si può negare che esistano, ma sono pur sempre concetti. 

Ciò significa che quello che consideriamo l’universo, è in realtà fatto di concetti mentali inseriti in una struttura mentale che il nostro cervello trova utile. Tutti i fatti e i dati su cui si basa la scienza sono essi stessi costruiti, non sul “mondo reale”, ma su questi concetti mentali. Ciò non significa che non siano affatto legati al mondo reale, naturalmente, ma fanno ancora parte di noi, non del mondo. 

Tuttavia, ci prenderemmo in giro se credessimo che degli alieni scomporrebbero l’universo in qualcosa di simile alla stessa struttura mentale. Che considererebbero nello stesso modo i dati e i fatti che noi diamo per scontati come auto evidenti. 

Gli alieni nel romanzo Contact diCarl Sagan comunicavano usando numeri primi che Sagan presentava come parte del linguaggio “universale” della matematica e della scienza. Ma è davvero così? 

Sagan presumeva che gli alieni avrebbero avuto un concetto di numeri e avrebbero usato regole e definizioni matematiche simili alle nostre, che avrebbero avuto il concetto di numeri primi (essendo addirittura in grado di codificarli in una modulazione di forma d’onda radio riconoscibile). Ma perché deve essere vero?  Non è forse arroganza umana credere che il nostro modo di vedere anche qualcosa di così elementare sia universale? 

Il punto di vista occidentale di Sagan presumeva che l’universo contenga concetti universali che esistono “là fuori” in senso platonico, dove ogni essere senziente può accedervi. Siamo tutti come bolle di coscienza, che galleggiano in un mare di matematica. Penso che Sagan non sia riuscito a capire quanto gli alieni potessero essere diversi da noi. Se avesse assunto come premessa la visione orientale che tutti quei concetti esistono “qui”, nella mente, la mente umana, avrebbe visto che anche qualcosa di così elementare come i numeri primi non può essere dato per scontato. Mi chiedo se una colonia di funghi senzienti, per esempio, utilizzerebbe i numeri. 

Gli esseri umani e altri animali superiori hanno evoluto concetti in un linguaggio comune di livello elementare, che è stato utile, in particolare per i predatori, per identificare le prede e lavorare insieme per ottenere cibo. È stata la necessità di comunicare concetti come numero e posizione di prede, frutta e noci, nonché dimensioni di cose come le fonti d’acqua che ha dato origine alle basi della matematica, non un accesso alla verità universale. 


Per avere numeri devi avere un concetto di oggetti separati l’uno dall’altro. Il numero implica anche una nozione di possesso o almeno di posizione. Ho 2 mele. Ci sono altre 2 mele sull’albero. Le raccolgo e così guadagno 2 mele. Ora ho 4 mele. Tutto ciò è estremamente utile, ma è universale? Sostengo che i quantitativi, i numeri, siano così utili per le creature con un cervello, che si muovono, cacciano e raccolgono, che li diamo per scontati, eppure non sono affatto l’unico modo per analizzare il mondo. 

Tuttavia, potreste obiettare che la teoria quantistica dimostra che l’universo è costruito secondo la nostra comprensione della matematica. Dopotutto, il mondo non è “separato” e “quantistico”?  Gli atomi e le particelle subatomiche non sono divisi l’uno dall’altro ed esistono in luoghi distinti? Sì e no. La teoria quantistica ha scoperto il contrario. Il mondo è fatto di campi sovrapposti che sembrano continui.  Mentre possiamo rilevare singole particelle che hanno proprietà distinte per quanto possiamo osservare quando le misuriamo, la teoria quantistica implica che, quando non osservate e isolate, le particelle non hanno tale esistenza singola, distinta. Esistono in ogni possibile stato [funzione d’onda, NDT] come onde sovrapposte senza un’esistenza definita. Ciò significa che dire che l’universo è quantistico non significa che sia conforme alla matematica degli interi. Lo è e allo stesso tempo non lo è. 

Non capiamo ancora bene come le particelle perdano la loro natura sovrapposta e si caratterizzino in un particolare stato.  Il processo attraverso il quale ciò avviene si chiama “decoerenza quantistiaca” ed è un processo irreversibile per cui un campo quantistico continuo, interagendo con il suo ambiente, si separa e si caratterizza. Un atomo spalmato, per esempio, diventa un atomo localizzato. 

Pertanto, la nostra migliore scienza, la teoria dei quanti, a volte può contraddire la struttura logica dell’affermazione “Ho 1 mela”. Può contraddire la nozione di luogo implicita in “ho”, spalmandola nel tempo e nello spazio. Può anche contraddire quante cose ci siano e cosa sia implicato quando diciamo “1 mela”. Potrebbe essere 1 mela o 2 arance o niente. Una volta che lo misuro, ha un’esistenza definita che posso capire, ma è qualcosa che dipende dalla osservazione della mia coscienza umana o è “là fuori”? 

Oh oh, direte voi! Ma non ha senso! La matematica è chiaramente incorporata nel nostro universo e lo dimostrerò attraverso le api. 

No, non tu. I tuoi parenti non antropomorfi con gli occhi da insetto. 

Le api comunicano concetti di distanza e direzione strettamente legati al concetto matematico di vettore. Potremmo quindi concludere che, anche se le api sono decisamente aliene rispetto a noi, capiscono la matematica. Ecco la danza delle api: 

Credit immagine: Emmanuel Boutet

 

Proprio come i nostri concetti di numeri, distanza, direzione e qualsiasi numero di idee matematiche che si sono evolute per comunicare le posizioni di cibo, acqua e prede, le api hanno evoluto un meccanismo per mostrare al loro alveare dove si può trovare un buon nettare. 

Da ciò possiamo forse concludere che le api, come noi, si sono evolute per comprendere le idee matematiche che sono insite nella natura del cosmo. 

Uno dei problemi con questo ragionamento è che, come il nostro amico più sopra, stiamo antropomorfizzando le api.  Sì, hanno sviluppato questa danza per risolvere questo problema. Ma ciò non significa che le api abbiano una comprensione condivisa del concetto matematico.  Non sappiamo neanche se le api siano coscienti.  Inoltre, anche se capiscono quello che stanno comunicando, non sappiamo se lo capiscono come noi. 

Prendiamo questo esempio.  Gli esseri umani sono in grado di comunicare reciprocamente l’esperienza personale, ma solo nella misura in cui hanno un quadro di riferimento comune. Quando si tratta di concetti matematici, tutti hanno quella base comune. Ma come spiegare l’innamoramento a qualcuno che non si è mai innamorato? Allo stesso modo, le api non possono spiegarci com’è comunicare la posizione del nettare perché non siamo api.  Stiamo deducendo il linguaggio matematico che stanno usando mediante il nostro linguaggio.  Non è la stessa cosa che condividere un linguaggio universale. 

Il mondo dello sconfinato piano di coscienza che circonda il mondo “reale” non è universale.  È la mia coscienza.  Con un trucco dell’evoluzione, gli esseri umani possono condividere la coscienza attraverso il linguaggio e basi di riferimento comuni.  Questo è il modo in cui sono in grado di scrivere questo mio pensiero e spero che voi possiate capirlo. 

Proiettare i nostri concetti scientifici “là fuori” nel mondo è un’utile finzione. Ha portato al metodo scientifico attraverso il quale crediamo di poter capire il mondo. Se credessimo che il mondo fosse intrinsecamente inconoscibile e che la scienza fosse un costrutto della nostra coscienza condivisa, potremmo essere molto meno motivati ​​a scoprire cose nuove. 

Non ci stiamo solo prendendo in giro? 

Prendendo quel sentiero ci si imbatte in un pendio scivoloso che è esemplificato nell’incomprensione contemporanea del postmodernismo. 

Per prima cosa mi si permetta di definire il postmodernismo. La premessa di base è che le narrazioni sulla storia e sugli eventi storici non sono universali. Sì, ha a che fare con il modo in cui comprendiamo la storia. Abbiate pazienza. 

Il postmodernismo ha una cattiva reputazione nella nostra società perché è stato confuso con la negazione dell’esistenza della verità o dei fatti. Non è vero. Si tratta di come il linguaggio non può contenere la verità sul mondo reale. Piuttosto le parole (che possono includere anche notazioni matematiche) formano una varietà di narrazioni che possono contraddirsi l’una con l’altra, ma tutte si possono dire valide. Il motivo è che il postmodernismo suggerisce che il linguaggio è in definitiva autoreferenziale: le parole non corrispondono a cose reali ma solo ad altre parole. Non puoi fornire una definizione chiara e univoca di qualsiasi cosa nel mondo reale.  Si può usare altre parole – ecco perché la matematica è così precisa – ma non nel mondo all’interno delle mura della città. 

In definitiva, il nostro cervello contiene circuiti neurali responsabili della traduzione dell’esperienza sensoriale in parole. Quel meccanismo di traduzione è in parte appreso, ma in gran parte evoluto. Una volta in parole, tuttavia, è esente da traduzioni arbitrarie e può seguire regole meccanicistiche che consentono la definizione di concetti veri e falsi. Se condividiamo tutti queste regole, possiamo essere tutti d’accordo su vero e falso. 

Tuttavia, è del tutto possibile elaborare più formulazioni contrastanti di matematica e scienza semplicemente usando diversi insiemi di parole con regole diverse.  Tutti possono riguardare lo stesso processo fisico. Decidiamo quale sia il “migliore” usando regole pratiche come il rasoio di Ockham, il consenso scientifico e un vocabolario condiviso. 

I filosofi lo chiamano il paradosso della gru. 

Il paradosso della gru deriva da due ipotesi equivalenti: 

Tutti gli smeraldi sono verdi. 

Tutti gli smeraldi sono gru. 

Verde significa semplicemente tutto ciò che consideriamo verde.  Gru significa verde fino al 2100, diciamo, e blu dopo. Dal momento che il 2100 non è ancora arrivato (a meno che tu non stia leggendo questo tra circa 80 anni), non puoi negare l’affermazione. 

Questo è ovviamente un esempio scherzoso e nessuno, tranne un filosofo, troverebbe utile il concetto di “Gru”. Ma è vero che, specialmente nella teoria quantistica, ci sono numerose narrazioni in lizza su come spiegare ciò che osserviamo quando effettuiamo misurazioni. Tutte sono conformi al mondo reale e si tratta quindi di una convenzione, cosa gli scienziati “preferiscono” credere di ciò che è vero. 

 Ora, questo non significa che gli scienziati o chiunque altro possano credere ciò che vogliono. Ad esempio, non si può dire che il cambiamento climatico non stia avvenendo perché è solo una conclusione che gli scienziati “preferiscono” credere. Una volta che hai accettato una struttura particolare per interpretare le informazioni traducendole in linguaggio, non sei libero di giungere a conclusioni che contraddicono i fatti. Nella maggior parte dei casi, siamo già tutti entrati in una struttura particolare, che ci è stata inculcata fin dalla nascita, e solo le tribù isolate senza una lingua scritta hanno un modo davvero diverso di vedere il mondo, e nonostante ciò anche loro sono umani. 

No, queste strutture non sono ovvie nelle scienze esatte (hard science) e pochi di noi si sentirebbero a proprio agio nel rifiutare la logica astratta che abbiamo imparato a conoscere e ad amare. Diventano molto più pronunciati, tuttavia, nelle scienze “morbide” (soft science) come la sociologia, la psicologia, l’economia e soprattutto le scienze umane, compresa l’antropologia e la storia, che sono aperte all’interpretazione e le definizioni non sono concordate. È qui che il postmodernismo prospera davvero. 

Può essere vero che la matematica esiste da qualche parte all’interno di quella città fortificata, ma non abbiamo accesso ad essa. Possiamo accedere solo alla matematica che esiste fuori in pianura, nel mondo della coscienza. Possiamo condividere questo insieme a causa della nostra evoluzione e cultura condivisa, ma non possiamo davvero sapere cosa vuol dire non essere noi, quindi non possiamo essere sicuri che una specie veramente aliena, anche una sul nostro pianeta, condivida il nostro modo di vedere l’universo. Non abbiamo la capacità di deviare dalle strutture che abbiamo appreso ad accettare, ma abbiamo la capacità di mettere in discussione le definizioni e le strutture che ci sono state imposte. Questo è il dono del pensiero postmoderno. 

In questo modo, si può dire che la coscienza è il nostro universo, il nostro tutto. 

Tutto ciò di cui non siamo consapevoli non esiste per noi. 

Le nostre menti ci hanno fornito gli strumenti per navigare e comprendere il mondo sotto forma di concetti utili: numeri, direzione, dimensione e così via. Nel corso dei secoli abbiamo strutturato questo in un possente edificio del pensiero, ma non possiamo confondere i mattoni e la malta del pensiero con la realtà stessa. 

Non siamo nel mondo. Il mondo è in noi. 

Tim Andersen, Ph.D. 

Tradotto dall’inglese da Diana Ambanelli per LiberoPensare

 

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