In tutto il mondo crescono le proteste: la storia insegna che qualcosa succederà

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“Decadi di politiche neoliberali hanno generato grandi disuguaglianze ed eroso i redditi e il benessere delle classi medie e basse, alimentando sentimenti di ingiustizia, delusione per il cattivo funzionamento delle democrazie e frustrazione per i fallimenti dello sviluppo economico e sociale. E dal 2020, la pandemia di coronavirus ha accentuato i disordini sociali”.

È quanto si legge nel corposo testo “World Protests”, uno studio sui movimenti di protesta tra il 2006 e il 2020 firmato da Isabel Ortiz, Sara Burke, Mohamed Berrda e Hernàn Saenz Cortés.

Nella storia ci sono stati periodi di grandi cambiamenti annunciati proprio dalla intensificazione delle proteste. È successo negli anni tra il 1830 e il 1848, nel 1917-1924, negli anni ’60, e sta succedendo di nuovo oggi.

Almeno 2809 manifestazioni

Dal 2010, il mondo è stato scosso dalle proteste”, scrivono gli autori del book. Si è manifestato per la giustizia economica e le riforme anti-austerità principalmente durante il periodo 2010-2014. Quando le rimostranze sono rimaste inascoltate, la frustrazione è cresciuta a causa della mancanza di posti di lavoro dignitosi e riduzione di protezione sociale, servizi pubblici, giustizia agraria e fiscale. Di conseguenza, le proteste sono diventate più politiche, scatenando una nuova ondata, a partire dal 2016, a favore di democrazie più reali, contro le élite e le oligarchie.

L’analisi è basata su 2809 proteste avvenute dal 2006 in 101 paesi che coprono il 93% della popolazione mondiale. Lo studio identifica anche 250 metodi di protesta.
La ricerca compila i dati di 15 anni di reportage disponibili online, principalmente in sei lingue (arabo, inglese, francese, tedesco, portoghese e spagnolo). Questi rapporti coprono una varietà di proteste, da dimostrazioni e scioperi, a campagne di movimenti sociali e politici, ad azioni di folla non organizzate come le rivolte.

La pandemia: acceleratore del conflitto

Nel 2020, scrivono gli autori, la pandemia di coronavirus ha accentuato i disordini sociali in tutte le regioni del mondo. Ma soprattutto lo studio evidenzia il fatto che la prevalenza di proteste è avvenuta nei paesi a medio reddito (1327 eventi) e nei paesi ad alto reddito (1122 proteste) rispetto ai paesi a basso reddito (121 eventi).


È la classe dei lavoratori (classe media nel linguaggio anglosassone) che protesta universalmente per la perdita di status e per l’impoverimento crescente che la attraversa: perdita di reddito e di lavoro, salari decrescenti, precarietà diffusa, ingiustizia, corruzione, problemi per la casa, le tasse, l’educazione dei figli e servizi pubblici inefficienti.

“Il coinvolgimento di massa della classe media nelle proteste” – spiegano gli autori della ricerca – “indica una nuova dinamica: una preesistente solidarietà della classe media con le élite è stata sostituita in molti paesi da una mancanza di fiducia e dalla consapevolezza che il sistema economico prevalente non sta producendo risultati positivi.”

Si intensifica la repressione degli Stati

Le stime della folla suggeriscono che almeno 52 eventi hanno avuto un milione o più di manifestanti. Il periodo 2006-2020 ha sperimentato alcune delle più grandi proteste nella storia del mondo; in assoluto è stato lo sciopero del 2020 in India contro il piano del governo di liberalizzare l’agricoltura e il lavoro, che ha visto partecipare 250 milioni di persone. Una grande crescita nel mondo è stata registrata nelle manifestazioni per i diritti di genere.

Di converso all’aumento delle proteste cresce anche il tentativo di repressione. Secondo i media, le proteste che hanno generato il maggior numero di arresti nel periodo 2006-2020 sono state a Hong Kong (Cina), Egitto, Francia, Iran, Regno Unito, Russia, Sudan, Cile, Malesia, Messico, Stati Uniti, Canada e Camerun. Le proteste che hanno provocato il maggior numero di feriti segnalati sono state nei territori occupati di Palestina, così come in Egitto, Cile, Thailandia, Ecuador, Libano, Algeria, Ungheria e Indonesia. In termini di morti, i paesi peggiori sono il Kirghizistan, l’Egitto, i territori palestinesi occupati, il Kenya, l’Iran, l’Etiopia e il Sudan.

Da Marx a Tocqueville molti hanno scritto sulle condizioni strutturali dell’ineguaglianza e dell’ingiustizia come fattori cruciali per le proteste e la ribellione.

Ma oggi, secondo questo report “la disuguaglianza è sconcertante, stimata come la più alta della storia. Quattro decenni di politiche neoliberali hanno generato più disuguaglianza e hanno eroso i redditi e il benessere sia per le classi basse che per quelle medie”. Inoltre, a questo, si sommano gli effetti di disordine economico e sociale provocato della pandemia COVID-19.

Antonio Gesualdi

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