Il sole dell’avvenire sorge a Occidente

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Il sole dell’avvenire sorge a Occidente. Strana condizione, opposta alla realtà. Sulla terra il sole sorge a levante – da qui il nome – e tramonta a ponente. Ex Oriente lux, dicevano gli antichi, nell’ accezione naturale, religiosa e culturale. Ex Occidente lex, completavano, ammirando l’ordine e la chiarezza del diritto romano.

 

La modernità ha visto sorgere a Occidente le teorie politiche che l’hanno improntata, ma fu l’Oriente a metterle in pratica. Dalla rivoluzione bolscevica e da quella cinese sino all’ infatuazione hippy per l’India, l’oriente, in varie forme, ha esercitato un’immensa fascinazione sull’immaginario europeo e occidentale. La terra del tramonto guardava con entusiasmo a oriente: lì sorgeva il Sole dell’Avvenire, l’alba della rivoluzione politica e antropologica.

Da trent’anni le cose sono cambiate. L’avvenire ha perso molto del suo fascino, tutto si è concentrato sul presente e la luce dell’Oriente si è spenta. Nulla di sorprendente: la civilizzazione che nega se stessa sino a contestare i fondamenti naturali non poteva che rovesciare i dati della fisica e del senso comune.

Il sole dell’avvenire collettivista sorto a Est tramonta, sfuma nell’Occidente nichilista inventore di un’antropologia rovesciata, che rende paradossalmente normale, addirittura vero, che il sole sorga a occidente, se così vuole l’uomo-Dio, per capriccio, sfida, hybris, o semplicemente per convenienza.

Il sole dell’avvenire lo ha inventato il capitalismo, non il suo antagonista e figlio degenere, il comunismo. Come spiega Jean Paul Michéa, intellettuale francese socialista che rifiuta l’etichetta di sinistra,

“è dalla filosofia dell’illuminismo che l’ideologia liberale ha sempre mutuato la totalità delle idee, Individuo, Ragione, Progresso, Libertà, necessarie alla sua affermazione.”

Lo sapeva Karl Marx, il cui panegirico del ruolo rivoluzionario della borghesia – la classe mercantile nel cui seno sorgeva l’avvenire capitalista – capace di travolgere ogni vestigia del passato e di tutto ciò che è altro da sé, è al centro del Manifesto Comunista.

Nessuna concezione della vita e dell’uomo è più integralmente rivoluzionaria e materialista di quella liberalcapitalista. Per Adam Smith – i cui inizi furono da pensatore “morale” – lo scopo dell’esistenza è lo scambio di beni in un ambiente quasi esoterico, il Mercato, al fine di realizzare l’utile individuale, la cui somma sarebbe il benessere di tutti. Nasceva allora il progetto della modernità i cui contorni anti-umani sono diventati evidenti negli ultimi decenni. Ha vinto per la prima volta, nella civiltà europea- diventata occidentale per l’irruzione dell’America e il divorzio dalla cultura slava- la religione di Mammona.

Non potete servire Dio e Mammona, ammonisce Gesù. Mammona personifica il profitto e la ricchezza materiale, valori indegni della complessità della natura umana. Chi proclama diritti e non doveri, progresso e uguaglianza, promettendo di rendere realtà sogni, desideri e capricci è destinato a vincere nell’animo di generazioni alle quali è stato estirpato il senso comunitario, ogni forma di spiritualità e a cui viene assicurato che la felicità è un diritto e corrisponde al possesso e al consumo di beni, nonché alla possibilità/obbligo di vivere qualunque tipo di esperienza. Il capitalismo promette più di tutti e realizza per alcuni fortunati – i ricchi – ciò che proclama, quindi non può che vincere sul suo omologo collettivista, che aveva tuttavia un’intenzione morale estranea all’immaginario liberale, liberista e libertario.


Il sole dell’avvenire smette di sorgere a Est, diventando – contro natura – simbolo dell’Ovest. Non più un punto cardinale ma il suo contrario: il simbolo di chi non conosce limite e frontiera. Tutti possono essere occidentali: basta volerlo, basta aderire alle parole d’ordine del progresso, del consumo, dei diritti, dell’individualismo. Facili, comode, suadenti, perfino entusiasmanti. Fino a un certo punto, però.

Da alcuni decenni – con moto accelerato negli ultimi anni – il sole dell’avvenire sta tramontando: il naturale destino d’Occidente.  L’assenza di ogni limite, l’assunzione del profitto e del consumo – anche di se stessi – come principio; la negazione dei fondamenti naturali e biologici; l’idea che la vita non sia il valore più alto (eutanasia; aborto “diritto universale” derubricato a zoologica salute riproduttiva; ritorno della guerra); distruzione della famiglia; cesura irrevocabile con ogni tradizione ricevuta; ridicolizzazione di qualunque afflato spirituale e remora morale; intronizzazione del presente come unico criterio di giudizio: non costituiscono un eterno meriggio, ma conducono inevitabilmente alla fine.

Tagliare i ponti con il passato rende difficile il rapporto con il futuro. Viviamo nell’odiernità liquida: ciò che è vero stasera, domattina sarà superato dall’inevitabile progresso e l’asticella sarà posta più in alto, sempre di più. Inutile credere in qualsiasi cosa. Nessun avvenire, nessun sole che sorge, solo una linea retta che avanza, sulla cui punta eternamente mobile è obbligatorio posizionarsi. Un destino faticoso e privo di senso: la corsa come obiettivo, il cammino che si fa orma momentanea di se stesso.  Il liberalismo è più di un’ideologia, e il capitalismo non è una formula per organizzare la produzione, lo scambio e la distribuzione di beni e servizi, bensì una visione totalizzante e articolata dell’uomo, una precisa antropologia.

Che il capitalismo sia molto più di un sistema di organizzazione economica è stato proclamato, quasi un secolo fa, da Walter Lippman, analista del condizionamento dei nascenti mass media sui pregiudizi mentali e teorici. Per Lippman le cosiddette “leggi del mercato” (ex Occidente lex, anche se falsa) esigono un necessario riadattamento nel genere di vita delle masse e un cambiamento di consuetudini, leggi, istituzioni e politiche, fino a trasformare

“l’idea dell’uomo, del suo destino sulla Terra e le sue idee sulla sua anima”.

Oggi possiamo concludere che la trasformazione è compiuta, cambiando il volto della vita umana. Il capitalismo ha esacerbato l’individualismo e l’atomizzazione della società, la disordinata concupiscenza dei beni materiali con la conseguente pletora di bisogni superflui, l’indebolimento della vita spirituale e il decadimento di ogni fede e principio. Ha completamente secolarizzato la vita economica, violando la subordinazione della materia allo spirito. Mammona è diventata la forza determinante delle società umane, che vedono in essa l’accesso alla “liberazione” delle pulsioni e dei desideri. Così è stato sin dalle origini del capitalismo; in questa fase culminante (o terminale) assistiamo alla combinazione di capitalismo e mistica dei diritti, che produce uno stato servile globale senza futuro.  Il capitalismo è un’antropologia che forma l’uomo dai valori invertiti il cui sole sorge ad occidente. Un individuo solitario privo di ancoraggi che cerca solo la felicità soggettiva.

Milton Friedman arrivò a definire la società capitalista come “una collezione di Robinson Crusoe”. Altri, come il cattolico liberale Michael Novak, la descrivono come il passaggio dalla “comunità organica data” all’”associazione volontaria costruita sulle scelte dell’individuo”, in cui “ogni persona deve badare a se stessa”. Un conglomerato di individui sovrani che non sono né dipendenti né soggetti gli uni agli altri (a meno che non si associno volontariamente per interesse) è del tutto contraria alla visione della civiltà europea di una comunità di destino unita per il bene comune, in cui ogni persona viene al mondo con legami innati in un determinato ambiente che gli conferisce un’impronta, dei costumi e anche dei doveri.

Il capitalismo non sostiene una società di eremiti (ne soffrirebbero il consumo e il profitto) ma le associazioni che promuove sono sempre utilitarie. Attraverso il mercato, connette più persone di qualsiasi altro sistema economico e sociale precedente, ma tali forme di connessione sono relazioni di individui slegati, atomi che non devono nulla agli altri né si aspettano nulla dal prossimo. I legami comunitari e naturali si dissolvono: come osservava Chesterton, il capitalismo distrugge le famiglia, incoraggia i divorzi, provoca concorrenza tra i sessi, mette l’una contro l’altra le generazioni, costringe le persone a lavorare lontano da casa, tratta le virtù domestiche con disprezzo, “al punto da provocare la morte di tutto ciò che i nostri padri chiamavano dignità e modestia.” In compenso, fornisce un’illusoria libertà di scelta, fondamento dei “diritti”. Per Friedman, non si tratta solo che il bene comune non esiste, ma che, se esistesse, dovrebbe essere contrastato perché distruttivo della libertà.

Ma quale libertà? Una libertà negativa non associata a un oggetto o obiettivo specifico. Non una libertà con un fine (libertà di), ma una pura pulsione, una pretesa bulimica e insaziabile (libertà da). Solo questa libertà negativa consente il funzionamento della mano invisibile del mercato; se fosse associata al raggiungimento di un bene comune, crollerebbe l’impalcatura. Scriveva l’arci-liberale Von Hayek che la libertà individuale non può essere conciliata con qualsiasi scopo collettivo della società. Il rifiuto di ogni obiettivo condiviso e di una nozione di bene comune unificante la società si acuiscono quando il capitalismo afferma – come Adam Smith – che la forza dominante nella vita è lo sforzo uniforme, costante e ininterrotto di ogni individuo per migliorare la propria condizione. L’uomo, secondo l’antropologia capitalista, è solo un massimizzatore di interessi e di desideri, che non possono e non devono, pena l’immobilità, essere mai del tutto soddisfatti. L’uomo ideale del capitalismo deve organizzare l’economia dell’illimitato per fare fronte a desideri altrettanto illimitati: non ci può essere vita felice senza la soddisfazione del desiderio. Per questa antropologia stiamo meglio quanto più consumiamo prodotti ed esperienze, anche estreme, e la “crescita” è l’unità di misura del benessere/ben-avere.

Si è giunti a considerare un diritto soggettivo qualsiasi opinione, capriccio o bizzarria. Se affermassi di sentirmi donna, il prossimo dovrebbe trattarmi come tale contro logica, evidenza, senso comune. L’opinione, individuale, momentanea, revocabile, prevale sulla realtà. La volontà diviene legge e diritto, esautorando la dimensione pubblica e la logica. L’ispiratore è il famoso brano dell’Emilio di Jean Jacques Rousseau noto come professione di fede del Vicario Savoiardo, una sorta di antireligione universale basta sul soggettivismo più estremo.

“Tutto ciò che sento essere il bene è il bene, e tutto ciò che sento essere il male è il male.”

L’esaltazione di una falsa coscienza ipersoggettiva – legge di se stessa – ha la conseguenza di invertire l’ordine naturale, se così piace all’homo deus, orientato h.24 dalla comunicazione e dalla psicologia sociale. Non era davvero questo il sole dell’avvenire. Le masse popolari avevano creduto al socialismo in nome dell’uguaglianza (e dell’invidia sociale) ma nella cornice di una dimensione collettiva e comunitaria. L’ internazionalismo – lo rivela la parola stessa – non proponeva la fine delle identità e delle appartenenze, come il globalismo liberalcapitalista, ma la volontà di farle convivere senza la smania di possesso e di potere, ovvero, in definitiva, degli “spiriti animali” del capitalismo (Schumpeter).  Il sole dell’avvenire non conosceva l’anomia – ossia, per Emile Durkheim – il drammatico salto tra aspettative e realtà, come nel continuo mutamento delle società moderne.

L’epoca in cui è derisa l’esperienza di ieri – residuo dell’oscurità – e unico Dio è il progresso unito alla volontà soggettiva (eterodiretta), ha capovolto ogni valore e credenza consolidata per erigere un edificio in perenne costruzione privo di fondamenta. Di revoca in revoca, di inversione in inversione, tutto ciò che è stato sempre vero e ovvio diventa il male da abbattere spietatamente.

Il sole dell’avvenire ha bruciato i suoi banditori sino a trasformarsi in luce che abbaglia e acceca.

Ex Occidente lex, ma legge è quello che noi decidiamo sia tale. Se questo tempo afferma che la neve è nera e il sole sorge ad occidente, così sia. La natura non cambia le sue regole, come immutabile è la biologia. Il sole dell’avvenire diventa il buio dell’arroganza dell’uomo d’occidente, che dà credito a menzogne mascherate da straordinarie scoperte sfuggite agli uomini di tutti i tempi e di tutte le civiltà.

Scriveva il poeta Juan Ramòn Jiménez.

“E’ verità, adesso.
Ma è stata talmente menzogna,
che continua ad essere impossibile, sempre.”

Il sole d’Occidente è il tramonto di una civiltà con un grande avvenire dietro le spalle.

Roberto Pecchioli

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