Il fantasma della libertà

Donqui
“Un fantasma si aggira per l’Europa: è il fantasma del comunismo”.
E’ il celeberrimo incipit del Manifesto del Partito Comunista di Marx e Engels del 1848. Il comunismo non era uno spettro, ma realtà, una visione del mondo che improntò il secolo XX.
Rischia di essere un fantasma, agli albori del XXI, la libertà.
Ingenui, credevamo di averla conquistata, bene o male, una volta per tutte. La globalizzazione ha interrotto il sogno, la privatizzazione del mondo, la tecnicizzazione della vita, la digitalizzazione dell’uomo, l’incipiente trasformazione post e transumana. Poi è arrivato l’ultimo biennio, la pandemia, l’accelerazione dei processi di centralizzazione autoritaria del potere e della ricchezza, la terribile agenda di Davos il cui compendio – ammesso dai suoi promotori, l’oligarchia tecno finanziaria – è
“non avrai nulla e sarai felice”.
Non avrai nulla e non sarai nulla, antiquato essere umano.
La grande sconfitta è la libertà, il convitato di pietra, la presenza che è un’assenza, incombente, ammonitrice.

 

Alcuni giorni eravamo tra i relatori di un convegno. All’ingresso, il controllo del maledetto salvacondotto verde non era affidato a un essere umano; un lettore ottico a specchio, dopo aver scannerizzato il codice QR, dava il via libera con voce elettronica: “green pass valido, può entrare”.

Non abbiamo potuto trattenerci dal manifestare fastidio e umiliazione: un apparato dà o nega l’autorizzazione per accedere a uno spazio pubblico: un assaggio di post umanità sconcertante.


Perfino entrare in parlamento – luogo simbolo della discussione e della decisione – è subordinato al possesso del certificato. Ed è solo l’inizio dell’esperimento per abituare a meccanismi di controllo digitale volti a conformare gli esseri umani agli interessi e alla volontà di chi comanda.

Attraverso il riconoscimento facciale, il codice digitale è il nostro volto, i nostri parametri biometrici. Una telecamera posta a un ingresso, collegata a un database – statale o più verosimilmente privato – deciderà automaticamente se la porta si aprirà oppure no. La porta della banca, dell’ufficio postale, del supermercato.

Distopia? Solo due anni fa avremmo riso all’idea di dover mostrare un codice a barre per bere un caffè. Nessuna tecnologia deve nuocere all’essere umano, ridurlo in schiavitù, limitare la sua libertà, educarlo a condotte contro la sua volontà.

Ecco perché il tema della libertà deve essere al centro di una visione opposta alla disumanizzazione crescente.

Libertà è un concetto complesso, da declinare al plurale: le libertà. E’ un ideale antico ed universale che ha conosciuto alti e bassi senza mai cessare di appassionare, commuovere, mobilitare le coscienze.

Purtroppo, è un principio aristocratico. Gli uomini preferiscono la sicurezza, la protezione, il comodo conformismo, la sequela del potere. Solo per pochi vale il precetto di Dante: “libertà va cercando ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”. Non si può chiedere ad alcuno di giungere a tanto, come Catone l’Uticense, cui erano rivolte le parole della Commedia. Vi è tuttavia un limite, un confine tra libertà e oppressione che non può essere oltrepassato senza diventare ingiustizia da sconfiggere.

Chi scrive ha un mito esistenziale, Don Chisciotte, il cavaliere errante fuori del tempo, idealista quasi sempre sconfitto, dal ferreo codice morale, pronto, nonostante tutto, a risalire sul suo magro cavallo spelacchiato e riprendere la strada con purezza di cuore: il pazzo più savio della letteratura di ogni tempo. Verso la fine del romanzo, in aperta campagna, lontano dal castello della ricca Altisidora di cui era stato ospite, l’hidalgo prorompe in uno dei dialoghi più famosi con il suo scudiero.

“La libertà, Sancho, è uno dei doni più preziosi dal cielo concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che sono ricoperti dal mare non le si possono uguagliare; e per la libertà, come per l’onore, si può avventurare la vita, quando al contrario la schiavitù è il peggior male che possa arrivare agli uomini. “

Aristocrazia dello spirito incomprensibile al povero scudiero, che contava con gli occhi pieni di gioia le monete regalategli al castello. C’è tutta la superiorità psicologica del potere: solo pochi anelano la libertà, quasi tutti scelgono il benessere/ben-avere. Peraltro, non si deve confondere la libertà con la possibilità di fare tutto ciò che si vuole. Ammonisce Goethe che vivere a proprio gusto è da plebeo; l’animo nobile aspira a un ordine e a una legge. L’uomo volgare confonde libertà e licenza, indifferenza agli altri, possibilità di sottrarsi a doveri e responsabilità. Su questo fa leva il potere.

Gira in questi giorni un apologo in cui si narra di un mulo a cui un uomo fa credere che sia in arrivo un branco di lupi famelici. Gli offre protezione nel suo recinto, in cui potrà avere paglia a volontà e non dovrà neppure chinarsi per mordere l’erbetta, poiché ci sono comode mangiatoie.  Quasi persuaso, un po’ stupito per gli zoccoli sotto le zampe degli altri animali, viene affiancato da un vecchio mulo infangato che gli spiega che lo steccato serve per renderlo prigioniero, le briglie, i finimenti, il basto e la sella per lavorare di più al servizio dell’uomo. Non ci sono lupi, eppure tutti sono convinti che l’uomo sia un benefattore che li protegge dal pericolo. E’ ricoperto di fango per nascondere la sua età.

“Vedi altri muli vecchi nel recinto? Il padrone se ne libera quando non gli servono più. Fuggi dal recinto e guardati da chi dice di agire per il tuo bene”.

Bisogna restare vecchi muli testardi, capaci di dire no alla stalla. La storia del mulo impaurito è la nostra, de te fabula narratur. Lorsignori alimentano la divisione per meglio dominare, rappresentano il teatro della democrazia, ma quando si spengono le luci e cala il sipario torna la cruda realtà. In Canada, di fronte alla ribellione della popolazione, il governo liberalissimo proclama la legge di emergenza che permette arresti di massa e il blocco dei conti correnti, già operativo a carico di duecento manifestanti. Chissà se qualcuno rifletterà sulla digitalizzazione del denaro come mezzo per renderci schiavi, alla mercé di chi controlla la tecnologia. In Italia, il ministro Brunetta, colui che definì geniale il green pass, dispone un bonus per chi consulta gli psicoterapeuti, sfibrato dalle restrizioni. Lo ammettono: ci hanno privato della libertà e molti si sono ammalati per questo.  Non sarebbe più efficace abolire le museruole, i divieti che distruggono corpo e anima e mettono in ginocchio l’economia?

No, perché è esattamente quello l’obiettivo perseguito.

La tecnologia QR del certificato vaccinale è in parte superata: la applicano perché dobbiamo abituarci poco a poco. La rana va bollita a fuoco moderato. Nel 2016 Klaus Schwab, il Gran Visir di Davos, fu assai esplicito: metteremo microchip negli indumenti, poi arriveranno i dispositivi sottocutanei, quindi li inseriremo nel cervello, per comunicare direttamente con il mondo digitale. Ovvero, saremo cifre prive di libertà sotto il controllo centralizzato di chi possiede le tecnologie. Ciò che noi vogliamo, ripeté, è la completa fusione del mondo digitale fisico e biologico. Noi chi, di grazia? Gli umani? I governi esautorati? In nome di chi parla, il pifferaio della montagna incantata? Perché dovremmo mangiare insetti, carne artificiale, vivere con carte elettroniche e chip? Saremo felici, annientati nell’essere e nell’avere?

La greppia a ore stabilite con il cibo del padrone significa che il transito a una specie nuova è già avvenuto o siamo ancora esseri umani? Comprendiamo ancora l’esortazione “uomini siate, e non pecore matte”? Tante domande, troppe, confusi dal baccano, dalla ripetizione ossessiva di comandi, slogan, direttive, tutto rigorosamente per il nostro bene, la cura benevola di un potere materno. L’uomo avvolto nella placenta non esce dal ventre, non è più attratto dall’alto mare aperto.

Il mulo del racconto convince il suo interlocutore, ma gli altri, i prigionieri soddisfatti?  La manipolazione delle menti prosegue senza soste e nelle scuole si terranno lezioni sulle vaccinazioni. Distingueranno tra i preparati che hanno debellato morbi ed infezioni e le pozioni geniche sperimentali? Soprattutto, continua l’opera di divisione della popolazione, diffusione di bibbie pseudoscientifiche, attribuzione di patenti di buona o cattiva condotta a seconda dell’adesione o meno alle direttive. Il sistema alimenta il sentimento di chiusura alle opinioni divergenti sino al compiacimento per le disgrazie altrui detto Schadenfreude, gioia del male. Si tratta di una forma sottile di abbassamento di sé, parallelo alla volontà di abbassare gli altri per compensare i propri limiti, funzionale al potere. Gli italiani sembrano insensibili alla libertà. Basta che il peggio tocchi al vicino, che scoprano, con l’astuzia di cui pensano di essere dotati, una scappatoia individuale, un piccolo o grande imbroglio, una strizzata d’occhio a chi comanda, la furbizia del servo accompagnata dal ghigno malevolo verso il prossimo.

Si disprezza il giusto, impedendo il dibattito sui fini, il bene e il male. Si impone una visione neo autoritaria delle “regole”, indiscutibili in quanto esistono, causa di se stesse, alle quali si deve obbedire senza fiatare, ammantate dell’aura di verità scientifica. In tutto ciò la politica appare come esecutrice di ordini calati dall’alto, presentati come senza alternativa. Nel liberalismo classico l’obiezione era immediata: chi meglio di me può valutare ciò che è bene e ciò che è male per la mia vita? Non è più così, il paradigma è capovolto nella menzogna creduta per ripetizione. Lo sapeva bene Goebbels, ben poco interessato alla libertà.

Il rischio, per chi resiste, è l’isolamento, o piuttosto la dispersione, giacché non sono pochi a pensarla come lui. Poi lo scoramento per la mancanza di mezzi, la sensazione alienante di parlare nel deserto una lingua incomprensibile.

Vaclav Havel, lo scrittore ceco anticomunista, richiama alla speranza in un testo memorabile, Il potere dei senza potere.

“Tutti coloro che vivono nella menzogna possono essere folgorati dalla forza della verità; nessuno sa quando una qualsiasi palla di neve può provocare una valanga”.

Qualcuno, tuttavia, deve raccogliere per primo la neve, farne una palla nel gelo e lanciarla.

C’è bisogno di uomini buoni perché liberi e liberi perché buoni, della tenacia di dire no, a costo di essere chiamati lunatici o bastian contrari.

Nel gioco infantile c’è un luogo in cui ci si rifugia per salvarsi quando si è rincorsi o scoperti. Tana! esclama chi lo raggiunge. Tana libera tutti è il grido dell’ultimo arrivato che salva i compagni di gioco.

E’ l’urlo della libertà.

Ne basta uno per provocare la valanga, e il fantasma della libertà riprende carne ed ossa.

Roberto Pecchioli

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