Il Cinema, da fabbrica del Sogno a vetrina del Mondialismo

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Se c’è una cosa che mi è mancata in questi tre anni di crisi sanitaria procurata, è non potermi recare in una sala cinematografica per assistere a un buon film. Solo film in tv o in Dvd a casa, naturalmente. La peggiore delle alienazioni ai tempi delle chiusure è farsi portare il cibo a casa, stravaccati sul divano davanti al film in tv.

E’ già diventato un angosciante spot pubblicitario.  E anche quando le misure si sono allentate è sempre una penitenza dover entrare in una sala cinematografica con la mascherina, starmene lì, immobile, per circa due ore a respirare in semi-apnea. Perciò, ho aspettato che venisse l’estate e ho ripreso le mie consuetudini col cinema all’aperto, a riveder le stelle con il grande schermo illuminato. Tuttavia occorre dire che il cinema in questi anni (già ben  prima della crisi pandemica) è sensibilmente peggiorato nella qualità. Un tempo che non è un tempo remoto, si andava al cinema per evadere dalla prosaicità della vita d’ogni giorno e il cinema adempiva alla funzione di  costruzione di un sogno vivido e ininterrotto, specie per i più giovani. Ora invece, sembra che gli orrori da cui fuggiamo, vengano riprodotti ed esasperati nel grande schermo, quasi a conferma che non c’è salvezza.

Qualche marxista della domenica obbietterà che il cinema è nato già come strumento di propaganda (il western doveva celebrare il  grande Mito della Frontiera, i film che trattano gli argomenti legati alla guerra magnificano le gesta dei Vincitori sui vinti, le gangster story si concludono con le forze di polizia che prevalgono sui delinquenti, e via di questo passo).

Certo, anche Mussolini con Cinecittà, Hitler, Lenin e Stalin usavano il cinema (che allora si chiamava cinematografo) per far passare i loro messaggi propagandistici.  Ma si ammetterà che esisteva,  in tempi che non sono biblici, una capacità di  proporre e scrivere soggetti e sceneggiature in grado di catturare lo spettatore,  di mostrare ottime tecniche di recitazione; c’erano attori e interpreti magnifici che sapevano conquistare gli spettatori, stupendi paesaggi che fanno da cornice a sequenze, personaggi con costumi variopinti, scenografie,  suggestive colonne sonore ecc.  Insomma la Decima Musa,  seppur relativamente recente rispetto alle altre arti, deve moltissimo alla letteratura e  alle arti figurative dalle quali trae (o meglio, traeva) costante alimento.

Il cinema come è noto, fu inventato dai fratelli Lumière nel 1895 e  da Georges Méliès  che in termini di importanza, ne fu il secondo padre per  la sperimentazione di numerose novità tecniche cinematografiche e narrative. Méliès viene considerato l’antesignano degli “effetti speciali” ben visibili in “Viaggio nella Luna” (Voyage dans la lune). Qualcuno ricorderà il tenero omaggio di Martin Scorsese a questo “padre nobile” nel film “Hugo Cabret“.

 

 

Come si distingue un prodotto di egregia fattura artistica e artigianale da un mediocre filmetto istantaneo che tratta argomenti di moda?  Io ho un metodo quasi infallibile… Se rivedo un film anche per la decima volta e non mi annoio, ma al contrario ci ritrovo sempre una suggestione, una scena irripetibile, una tensione speciale, capisco che quello è un “classico”, ovvero un bel film che non smette di suggerire qualcosa. Provate a vedere e rivedere “Il Terzo Uomo” e constaterete che non ha una sbavatura e che sa mantenere a tutt’oggi,  tensione narrativa.

Oggi invece si preferisce inseguire comportamenti stereotipati, argomenti legati all’agenda  mondiale, penalizzando l’intrattenimento fine a se stesso.  Il nuovo dogma cinematografico è INDOTTRINARE, manipolare le menti  e non più  far sognare. Non c’è più spazio per la dilatazione dei sogni ad occhi aperti in una sala buia.

Così,  assistiamo a storie di famiglie francesi  dove le figlie sposano arabi, africani, indiani con i genitori che all’inizio fanno i reticenti, ma poi devono capitolare di buon grado di fronte all’ineluttabile realtà “multiculturale”.  O commedie col  figlio mammarolo che non riesce a trovare lavoro e che perciò si piazza a casa da mamma e da papà anche se 40enne, creando lo scompiglio. La commedia francese (quei francesi, un tempo inventori del Cinema e autori di quella che viene definita la sua “età dell’oro” con registi del calibro di Renoir, Carné, Becker, Clouzot) si è buttata a rifare la trama di un Cyrano di Bergerac virtuale con un vecchietto che rimorchia on line scrivendo email ispirate ad  una giovincella che può esserle nipote, facendole credere di  essere suo coetaneo. C’è spazio anche per una Fanny Ardant, settantenne  affetta dal morbo di Parkinson che riesce a far girare la testa a un medico 40 enne, il quale per lei per lei abbandona  la moglie giovane e bella con tanto di figli. A che pro diffondere una storia così poco credibile che per paradosso reca il titolo “I giovani amanti”Per buttare tutto per aria ed esibire un mondo “capovolto”, laddove anche l’assurdo deve diventare credibile.

Sul cinema italiano non entro nemmeno in argomento, perché, a parte qualche rara eccezione, è  diventato nel tempo, sempre più sciatto, scritto male, con attori incapaci di avere una buona dizione. Inoltre è sempre stato lo zoccolo duro dei comunisti (oggi, sinistri). Curioso che invece i nostri bravi attori di teatro,  prestino la propria voce ad attori stranieri, nel doppiaggio, venendo addirittura apprezzati dagli attori che doppiano.  Questo, quando i primi che dovrebbero  essere “doppiati” sono proprio quegli attorucci nostrani che non nascondono sgradevoli influenze dialettali e regionali nei loro filmetti di cassetta.

Non va meglio col cinema americano made in Hollywood, un tempo “fabbrica del Sogno” che di fatto è all’avanguardia nello sdoganare omosessualità, cambiamenti di sesso e transgenderismo, pornografia, perfino pedofilia e incesto. Siamo passati in men che non si dica dal Sogno all’Incubo, anche grazie alle major di produzione cinematografica. Qualche esempio?

Boys don’t cry” dramma di un transgender della provincia americana,  “The Danish Girl“, altro drammone sul cambiamento di sesso e di identità, “Monster” con Cristina Ricci e Charlize Theron (una lesbica e l’altra prostituta, entrambe serial killer, tratto da un fattaccio di cronaca nera).  “Rumba Therapy” dove un padre separato ritrova la figlia in una scuola di ballo e tra i due sembra quasi nascere un idillio. “Birth – Io sono Sean“, dove Nicole Kidman sembra accettare la corte di un bambino  che si fa passare per suo marito. E potrei fare tanti altri esempi che in questi ultimi anni vengono esibiti con toni  volutamente esasperati. Così come provocatoria al limite dello splatter, è la violenza ripugnante dei film di Quentin Tarantino, che gli esegeti di sinistra trattano da “genio”.

Alla fine, non si sfugge alla famigerata Agenda e la ricerca di un’evasione creativa e ricreativa, si riduce a un nuovo martellamento ideologico fatto di varie finestre di Overton che man mano si spalancano sempre più, rendendoci prigionieri del solito discorso.

Così si salva ben poco in materia filmica, se non qualche docufilm dove non si può manipolare più di tanto la realtà (segnalo “Ennio” di Tornatore, nel quale si ripercorre la carriera musicale e artistica del nostro Ennio Morricone,  grande compositore per musiche da film –  docufilm, fatto di interviste, ispirazioni e suggestioni musicali del Maestro). Inoltre c’è quel nuovo genere chiamato biopic (parola composta da biography + picture), sulle vite delle  rockstar e artisti vari. Il film “Elvis” di Baz Luhrmann, caleidoscopico, abbagliante a tratti volutamente baracconesco, ha riportato in auge il mito, il personaggio e la musica di Elvis Presley. Vita, musica rock, canzoni, amori e leggenda di colui che venne soprannominato “the King”, con costumi disegnati da Prada, sullo sfondo di un’America che cambiava velocemente,  anche in modo traumatico.

In aggiunta a ciò, va detto che  si producono sempre più  film con trame esili, ma con spettacolari effetti speciali fatti al computer, i quali servono proprio a  far dimenticare quel racconto vero che non c’è, come “Avatar”  & sequel-  film ideati solamente per la gioia dei botteghini.

 

Nel cinema attuale manca la tensione verso l’assoluto che solo la capacità di fare “arte per arte” può generare.  Sarebbe ora di riprendere in mano il filo di un’arte fatta di sinergie di tanti  altri veri artigiani  grandi, medi e  piccoli (sarti, costumisti, musicisti, scrittori e sceneggiatori, cameramen e addetti al montaggio). Un tempo l’educazione sentimentale dei giovani, passava anche (ma non solo) attraverso il cinema. Le mode per le donne riprendevano i cappelli a larga falda di Audrey Hepburn, e i  suoi memorabili tubini neri.  O gli impermeabili alla Humphrey Bogart, per gli uomini. Oggi, meglio sarebbe tenere giovani e non,  al riparo da certi film che arrivano a sdoganare perfino il cannibalismo.

A riveder le stelle dello schermo, e naturalmente quelle del Cielo!

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