I numeri del Covid non tornano

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I 100.000 decessi in più del 2020 non sono tutti spiegabili con il virus, sostiene lo studioso Stefano Dumontet in questa intervista a La verità.

Un grande mistero è perché al Nord la letalità sia stata così elevata rispetto al Sud. 

Lo studioso dell’università Parthenope di Napoli:

«Il virus non spiega tutti i 100.526 decessi in più del 2020 E rimane da capire perché nell’anno più duro della pandemia sono morti meno giovani rispetto al 2019. Tra 0 e 44 anni la mortalità è stata addirittura assai più bassa dei periodi precedenti».

Da giorni non si fa che discutere sul numero dei morti per Covid. Si è fatta molta polemica sui dati diffusi dall’Istituto superiore di sanità, che ha dovuto persino pubblicare una strana «smentita-non smentita» ad alcuni articoli di giornale. Ricordate? In un rapporto, l’Iss ha scritto che, sui 130.000 morti circa attribuiti al Covid finora, il 2.9% era deceduto, da positivo, senza avere «altre patologie diagnosticate prima dell’infezione». Tutti gli altri avevano due o più patologie pregresse. In un successivo comunicato, l’Istituto superiore ha specificato che, sulla base dei certificati di morte,

«il Covid-19 è la causa direttamente responsabile della morte nell’89% dei decessi di persone positive al test Sars-CoV-2».

A prescindere dalle polemiche, quel che si può dedurre da questi dati è che sono state falcidiate le persone più fragili: quelle più anziane e con più patologie.

In ogni caso, la sensazione è che i numeri dei decessi vadano esaminati più a fondo, perché restano ancora troppe zone d’ombra. Un serio esame dei dati sta cercando di farlo, assieme ad altri colleghi, Stefano Dumontet, ordinario all’università Parthenope di Napoli. Ha da poco firmato un articolo «divulgativo» sul tema, e sta terminando – assieme a colleghi di altre università italiane – un lavoro scientifico che sarà sottoposto al vaglio di riviste internazionali.

Leggendo quanto il professore ha scritto finora, emergono alcuni particolari interessanti.


Partiamo dalla cifra più impressionante. Nel 2020, si dice sempre, si è registrato il tasso di morti più alto del dopoguerra: 100.526 in più rispetto alla media 2015-2019.
La distribuzione dei decessi, però, non è stata omogenea. Il maggior numero di questi è avvenuto al Nord, in particolare in Lombardia, a marzo e aprile. Al Sud e al Centro non si riscontra un picco analogo. I dati sulla letalità del Covid dicono che in Italia, nel 2020, il virus ha ucciso il 3,5% dei positivi, ma in Lombardia la punta è stata del 5,4%, mentre in Campania appena dell’1,3%.
Perché questa notevole differenza? E perché, nel 2021, il divario tra Nord e Sud non si è visto?
Pur in presenza dei vaccini, a rigor di logica, avrebbe dovuto ripresentarsi.
E invece no. Che cosa può essere accaduto? Sfogliando il lavoro di Dumontet e ragionando sui numeri vengono in mente due riflessioni.

La prima: a marzo e aprile 2020 sono morti tantissimi anziani. La malattia ha agito come una atroce livella. Non a caso, già a maggio i morti erano calati immensamente.

Seconda riflessione: nel 2020, nelle Regioni del Nord, può essere intervenuto un fattore ulteriore che ha prodotto il massacro. La grande incognita sta tutta lì: perché, mettiamo, su 100 contagiati, in Lombardia ne morivano cinque e in Campania solo uno?
In quell’eccesso qualcosa non torna: se si riuscirà a scoprirne la causa, probabilmente riusciremo a capire quanto davvero uccida il Covid (forse meno di quanto qualcuno si pensi oggi). Nell’attesa, abbiamo cercato di chiarire assieme al professor Dumontet altri punti controversi.

Professore, nel 2020 ci sono stati 100.526 decessi in più rispetto alla media 2015-2019. È stato il Covid, dunque?

«L’eccesso di mortalità del 2020 non trova una spiegazione univoca, almeno nella sua totalità. Il 20 gennaio 2021 il Corriere della Sera ha riportato che la mortalità stimata nel 2020 era aumentata di 85.624 unità (dato poi corretto dall’Istat a circa 110.000 unità) rispetto alla media degli ultimi cinque anni (2015-2019). Ma solo 55.576 decessi sarebbero attribuibili al Sars-Cov-2, quindi almeno 30.000 decessi non trovano una spiegazione».

Sostiene che il Covid uccide meno di quanto si dica?

«Una cosa è analizzare l’eccesso di mortalità del 2020 e cosa diversa è attribuire una causa a questo eccesso. Dobbiamo basarci sui dati ufficiali per comprendere nei dettagli le cause della crisi sanitaria che ci ha colpito, senza tentare facili scorciatoie attribuendo a questo o a quel fattore l’eccesso di mortalità. Io non voglio convincere nessuno o imporre una particolare tesi: analizzo i dati ufficiali su serie storiche. Essi mostrano una realtà più complessa di quella che vede nel Covid la causa di tutti i mali».

Nel 2021 i dati sulla mortalità sono molti diversi. Dipende dai vaccini?

«I demografi sanno bene che un anno ad alta mortalità, a meno che non si tratti di anni di guerra, viene sempre seguito da un anno con bassa mortalità. Il fenomeno è definito dai demografi, in maniera purtroppo un po’ cinica, “mietitu ra degli anziani” e si riferisce alla scomparsa delle fasce di età più avanzate, che non possono evidentemente morire due volte. Affermare che la mortalità nel 2021 è diminuita grazie ai vaccini, di nuovo, è una affermazione semplicistica che non tiene conto delle complesse dinamiche demografiche».

Sappiamo però che, ora, la maggior parte dei ricoveri è a carico dei non vaccinati.

«Anche questa è un’approssimazione. Bisognerebbe effettuare una valutazione comparativa tra le cartelle cliniche dei vaccinati e dei non vaccinati, studiare l’incidenza delle malattie polmonari nell’intervallo di tempo considerato, l’età dei soggetti, rilevare quanto tempo è intercorso tra la vaccinazione e l’evento patologico, eccetera» .

Torniamo ai dati del 2020. Che cosa ci dicono esattamente?

«Si nota un picco di aumento della mortalità nelle regioni del Nord a marzo-aprile 2020 e praticamente nessun incremento significativo al Centro e al Sud sino ad agosto».

Se si confrontano i tassi di letalità si vede che nel 2020 si muore cinque volte meno nel Sud che nel Nord. Eppure il Covid è lo stesso, no?

«Quello che appare dai dati Istat è che questa malattia non si è mossa come altre malattie infettive. In molte Regioni del Centro e del Sud la mortalità generale tra gennaio e febbraio e tra gennaio e agosto del 2020 è diminuita. L’influenza, per esempio, ha un andamento sincrono in tutte le Regioni italiane. In questo caso, la distribuzione della mortalità sembra non compatibile con una malattia infettiva altamente trasmissibile».

Forse i lockdown hanno consentito di migliorare la situazione in alcune zone?

«Per fare affermazioni sensate dovremmo confrontare i dati sul Covid con quelli dell’influenza e delle polmoniti nello stesso periodo, per dimostrare se davvero il lockdown è servito. In ogni caso, il Covid al Sud è apparso meno letale. Qui sta la differenza».

Lei ha esaminato i dati raccolti dal Centro studi Nebo sulla mortalità generale standardizzata. Di che si tratta?

«Ci sono varie modalità di valutare la mortalità. La mortalità grezza è utile per monitorare, ad esempio, l’andamento dei decessi in una nazione nel corso degli anni. Invece la mortalità standardizzata corregge questo dato tenendo conto delle diverse strutture di età delle popolazioni che si comparano, e consente di fare un paragone più preciso tra le varie Regioni».

Basandosi su questi dati lei paragona Campania e Lombardia. Perché?

«Comparare Lombardia e Campania ha un senso perché la Campania potrebbe essere considerata come “caso peggiore”. In quella Regione, l’aspettativa di vita degli uomini è 79 anni (nella provincia di Bolzano è di 82 anni), mentre la media delle morti Covid è di 80,2 anni e la mediana 82 anni».

Ebbene, cosa emerge dal confronto tra le due Regioni?

«Lo studio della mortalità standardizzata mostra come, nella fascia di età 0-74 anni, in Campania ci sia stata nel 2019 esattamente la stessa mortalità registrata in Lombardia nel 2020 (317 decessi su 100.000 abitanti). Nel 2020 in Lombardia sono morti più anziani, ma nella fascia 0-74 anni sono morte più persone in Campania. Insomma: in Campania si muore di più in più giovane età».

E in Lombardia?

«In Lombardia, nel 2020, nel pieno della crisi Covid, la mortalità della fascia di popolazione più giovane è diminuita rispetto alla media 2015- 2019».

Provo a riassumere: in Lombardia il virus è apparso più letale. Eppure, nel 2020, sono morti meno giovani che nel 2019?

«Sì».

E a livello nazionale? Che ci dice l’esame dalla mortalità nella fascia 0-44 anni?

«Tali fasce di età hanno visto la mortalità diminuire, anche sensibilmente, nel 2020 rispetto alla media 2015/2019».

Nel pieno dell’emergenza Covid sono morti meno giovani che negli anni precedenti?

«Fino a 44 anni la mortalità 2020 è stata più bassa della media 2015-2019. Prendiamo la Lombardia: nella fascia 0-14 anni, la mortalità ha segnato un -15,8%. Nella fascia 15-24 anni abbiamo un +4,1%. Tra i 25 e i 34 anni abbiamo un altro calo: 12,3% in meno. Nella fascia 35-44% anni c’è stato, invece, un piccolo aumento, +1,7%. Se consideriamo, nel complesso, la fascia d’età 0-34 anni notiamo una diminuzione della mortalità di circa il 10%. Nella fascia 0-44 anni, la diminuzione è del 4%. Nel pieno di una crisi, la mortalità generale dovrebbe aumentare, qualsiasi sia la fascia di età considerata. E invece qui diminuisce» .

Francesco Borgonovo

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