Esercizi spirituali, del loro uso ed abuso

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La Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner e la Via del Pensiero Vivente di Massimo Scaligero rappresentano due tappe della più radicale e rivoluzionaria conquista di pensiero degli ultimi due millenni.

Tuttavia ogni autentica rivelazione, scaturita dalle indicazioni degli Iniziati, è come un fiume che rischia di essere prosciugato non solo dall’incomprensione, ma anche dall’esaltazione.

Quando il mezzo per conseguire il fine diviene esso stesso fine, c’è il pericolo che il fine venga perso di vista a favore del mezzo; il metodo diventa dogma e la rivelazione accademia.

L’unilaterale riferirsi al metodo rischia di mettere in secondo piano l’obiettivo di trasformazione totale di colui che lo pratica, in quanto il soggetto, come tale, non può essere – a differenza del metodo – esaustivamente caratterizzato dialetticamente.

Per questo motivo mi sembra opportuno fare alcune sintetiche considerazioni sul rapporto mezzo-fine degli esercizi della Scienza dello Spirito e, segnatamente, della Via del Pensiero Vivente.

Tali considerazioni sono articolate in sei punti fondamentali da cui discendono quattro corollari ciascuno.

 

1. Gli esercizi dati da Rudolf Steiner sono la base della Scienza dello spirito.

1.1 La Scienza dello spirito è una via attiva verso la conoscenza.

1.2 Essa mira a una nobilitazione totale dell’essere umano, a partire da una trasformazione dell’attività pensante, mediante concentrazione, meditazione e altri esercizi intesi a sviluppare armonicamente pensare, sentire e volere.

1.3 Non ci si può considerare discepoli della Scienza dello spirito se non li si pratica.

1.4 La Scienza dello spirito sarebbe una via sapienziale come tante altre se non facesse del pensiero umano la base fondamentale del proprio procedere.

Quanto ricerchiamo in ogni altra esperienza, nel pensare è divenuto di per sé immediata esperienza (Rudolf Steiner).

 

2. L’esercizio basilare della Scienza dello spirito, la concentrazione, mira al controllo e, successivamente, alla trasformazione del pensiero umano – pensiero puro libero dai sensi – rendendolo atto a superare gli ordinari limiti della conoscenza.

2.1 Noi sperimentiamo solo il riflesso del pensiero, il pensato; il suo movimento, la sua sorgente, che è alla base della nostra individualità, rimangono preclusi al nostro sguardo. La consapevolezza dei reali moventi delle nostre decisioni, così come una genuina autoconoscenza, sono pertanto inesorabilmente preclusi alla coscienza ordinaria.

2.2 Il pensiero è il principale strumento di conoscenza che possediamo e, al tempo stesso, il più sconosciuto. Esso è la scala che ci serve per salire a conoscenze più vaste e profonde di noi stessi e del mondo.

Il pensare da scopo della vita animica terminante in se stesso, deve trasformarsi in strumento, in veicolo dello spirito (Massimo Scaligero)

2.3 Il pensiero, correttamente utilizzato, è in grado di superare i limiti della conoscenza sensibile normalmente ritenuti invalicabili.

2.4 L’attività pensante è l’unica attività che può conoscere se stessa in modo scientifico, oggettivo, in quanto è l’unica ad essere fondata su se stessa.

 

3. Il proprio rapporto con la concentrazione del pensiero ha una valenza assolutamente intima e sacra.

3.1 La scientificità della Via del pensiero ha il suo fondamento nel fatto che la persona che la pratica non ha bisogno di conferme esteriori, ma sperimenta dentro di sé la certezza del proprio conoscere.

3.2 Ogni persona attraversa – in armonia con il proprio gradino evolutivo – esperienze diverse nel lavorare sul proprio pensare.

3.3 Può comprendere le esperienze incontrate da chi pratica la concentrazione del pensiero solo chi, a sua volta, la pratica a un livello almeno equivalente.

3.4 Non essendo, di regola, visibili esteriormente i risultati conseguiti grazie a tale impegno, risulta estremamente facile millantare esperienze non oggettivamente verificabili nonché credere di poter giudicare le esperienze altrui.

 

4. Il livello raggiunto da chi è sul sentiero della conoscenza è qualcosa di intimo e, parimenti, di sacro.

4.1 Il livello raggiunto da ciascuno è intimamente connesso con il proprio karma e con il compito che si è prefissato nell’incarnazione attuale.

4.2 Nessuno dovrebbe esporre pubblicamente esperienze interiori, se non in dialoghi riservati e solo se richiesto da persona in condizione di accogliere e di fare buon uso di tali rivelazioni.

4.3 Nessuno ha il diritto di giudicare il grado di sviluppo di un compagno di percorso, dato che non può conoscerlo. Al tempo stesso, chi fosse in grado di conoscerlo, non giudicherebbe.

4.4 Nessuno ha il diritto di proclamare giuste le proprie esperienze in contrapposizione a quelle di altri (v. punto 4.3).

 

5. Rudolf Steiner ha espressamente ribadito la necessità di praticare cinque esercizi – non solo uno – come base per il percorso evolutivo.

5.1 La pratica dei cinque esercizi costituisce il gradino iniziale del percorso di crescita interiore. A essi, nel corso del cammino evolutivo, se ne aggiungono altri, ma preferibilmente quando già si dominino quelli basilari.

5.2 Concentrazione e meditazione, volontà (azione pura), equanimità, positività, spregiudicatezza – che confluiscono nel cosiddetto equilibrio magico – rappresentano le condizioni fondamentali per la crescita interiore.

5.3 Rudolf Steiner afferma testualmente che nessuno può pensare di progredire se non assolve a queste condizioni.

5.4 Tuttavia aggiunge anche che tutti gli esercizi di meditazione, di concentrazione e altro sono

privi di valore e anche in qualche modo nocivi se la vita non si attiene al senso di queste prescrizioni

vale a dire al senso dei cinque esercizi nella loro completezza.

 

6. Gli esercizi sono il mezzo e non il fine.

6.1 La pratica degli esercizi rappresenta il modo più diretto e più sicuro per superare i limiti della conoscenza del mondo fisico-sensibile e per iniziare a sperimentare conoscenze obiettive dei mondi spirituali.

6.2 Il rapporto tra gli esercizi e il loro obiettivo è analogo a quello tra un allenamento e il risultato di una prova sportiva, con una significativa differenza: nel primo caso solo il soggetto conosce tale risultato.

6.3 Nella disciplina degli esercizi – come nell’attività sportiva – ognuno parte con maggiori o minori handicap ma ciò non può, né deve, essere giudicato se non dal soggetto.

6.4 Chi esalta unilateralmente la concentrazione sembra dimenticare il fatto che essa – unitamente agli altri esercizi – è il mezzo per conseguire un pensiero liberato e una reale crescita interiore, e non il fine. Quasi che sia più discepolo chi fa più concentrazione, piuttosto di chi, da essa, ricava un’autentica trasformazione della propria vita, interiore ed esteriore.

(L’immagine all’inizio dell’articolo è tratta da uno schizzo alla lavagna del 1924 di Rudolf Steiner “pensiero umano e pensiero cosmico”)

Piero Cammerinesi

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