The Donald, tra John Wayne e i Sacrifici rituali

di Piero Cammerinesi

A poche ore dal – fallito o inscenato? – attentato a Donald Trump, in attesa di vederci chiaro, se mai sarà possibile, mi sorgono a caldo due considerazioni.

La prima ha nome Hollywood.

A prescindere dalla evidente stranezza di un cecchino che sarebbe riuscito comodamente a piazzarsi sul tetto di un edificio a poca distanza dal palco del comizio di uno dei personaggi più odiati d’America, circostanza narrata in svariati film di Hollywood – per non parlare del fatto che appare una replica quasi esatta dell’assassinio di JFK – avete visto la foto già simbolo dell’evento?

Una via di mezzo tra la famosa foto di Jwo Jima e la mitografia di John Wayne, simbolo dell’America dei pionieri, del coraggio, del maschio alfa e dell’uomo che non deve chiedere mai…

Insomma, sembra proprio che qualcuno stesse aspettando proprio questo momento per creare un nuovo eroe senza macchia né paura.

In effetti, si sa, la forza delle immagini è molto più pervasiva e manipolatoria del linguaggio, ormai drasticamente ridotto dall’abuso dei mezzi digitali.

È noto, d’altra parte, che l’uso consapevolmente manipolatorio delle immagini è una invenzione tutta angloamericana che ha le sue origini addirittura nel ‘600, allorché gli inglesi compresero perfettamente che le immagini erano molto più efficaci delle parole e le utilizzarono all’epoca per demonizzare gli spagnoli, loro avversari nella conquista del Nuovo Mondo.

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L’uso spregiudicato delle immagini portò, infatti, alla fine dell’800, alla nascita negli USA dei primi giornali scandalistici (Yellow journalism) traboccanti di notizie sensazionali, manipolate, vignette, caratteri cubitali, immagini a tutta pagina, grazie a cui i quotidiani di Rundolph Hearst realizzarono vendite stratosferiche per l’epoca, pubblicando presunte atrocità compiute dagli spagnoli: bambini uccisi, donne stuprate, massacri sanguinosi.  

Con il risultato che lo sdegno dell’opinione pubblica permise agli USA di muovere guerra alla Spagna.  

Chi ha pianificato, nel corso dei decenni, questo metodo di manipolazione ha ben chiaro come la (dis)informazione basata sulle immagini si fondi sulla vulnerabilità cognitiva dei destinatari, sfruttando ansie o convinzioni preesistenti che predispongono ad accettare informazioni false.  

Ecco allora che dopo MAGA – Make America Great Again – claim di indiscussa efficacia, ora abbiamo un ex-presidente candidato ad un secondo mandato, che si alza sanguinante dopo un colpo che gli ha portato via un pezzetto d’orecchio ad un passo dalla morte, urlando Fight, fight – lottare, lottare – altro claim che farà la storia di questo mondo così pieno di immagini e vuoto di contenuti.

La seconda considerazione rimanda ai Sacrifici rituali.

Mi spiego meglio.

Partiamo dal fatto che la più grande democrazia (sic!) del mondo di presidenti ne ha già accoppati quattro  – Abraham Lincoln, James Garfield, William McKinley e J.F.Kennedy – ed altri quattro ne ha feriti: Theodore Roosevelt, Franklin D. Roosevelt, Harry Truman e Ronald Reagan.

Pensando a questo, nel seguire stamane i lanci di agenzia in tutto il mondo che commentavano l’attentato a Trump in Pennsylvania mi è balzato alla mente il gioco rituale della pelota in uso presso i Maya in Centroamerica.

Ebbene, questo gioco aveva caratteristiche molto particolari che lo accostano ai sacrifici rituali, largamente praticati prima della conquista: due squadre si contendevano una palla di caucciù; i giocatori potevano colpirla solo con le anche. La palla andava rilanciata dalle squadre da una parte all’altra del campo fino a che una delle due falliva lasciandola cadere o buttandola fuori. Veniva giocato all’interno di lunghi campi delimitati da muri come quello meglio conservato di Chichen Itzà nello Yucatan.

Perché parlo di legami tra il gioco della pelota e i sacrifici umani?

Perché sembra che alcune partite opportunamente pilotate – c’era il calcioscommesse truccato anche allora? – prevedessero la sconfitta della squadra composta da prigionieri di guerra, che quindi venivano inevitabilmente sacrificati.

Ma quello che è ancora più eclatante – e che si ricollega agli assassinii e attentati presidenziali – è che, dopo le partite rituali, veniva tagliata la testa al capitano di una delle due squadre, probabilmente di quella vincente, in quanto nella cultura Maya il sacrificio rituale era l’inizio del percorso verso la divinità.

Ecco perché è possibile che il premio per la vittoria fosse il sacrificio visto come un modo per avvicinarsi agli dei.

Allora, mettendo insieme le due considerazioni – il mondo di immagini di Hollywood e i sacrifici rituali – ecco che il tentato assassinio di Donald Trump mi appare come la volontà di consegnarlo, non certo alla divinità, ma alla subumanità delle immagini manipolatorie.

Mentre, in contemporanea, da questa parte dell’Atlantico, i sacrifici umani in Palestina proseguono a ritmo incalzante.

Moloch ha sete di sangue per incantare e paralizzare sempre più l’umanità in attesa della venuta dell’Anticristo?

Fantasticherie? Forse, ma i Segni dei Tempi ci dovrebbero insegnare qualcosa a partire dai fatti di cronaca e a noi spetta il compito di cercare di cogliere tali segni.

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