T.S.O. Trattamento Sanitario Obbligatorio

Pierop
Il TSO si qualifica come un trattamento di natura sanitaria in forza del quale una persona può essere “presa” e sottoposta a cure mediche anche contro la propria volontà. È regolamentato dalla legge n. 833 del 23.12.1978 in sostituzione della precedente legge n. 180 dello stesso anno, meglio conosciuta come “Legge Basaglia”, e viene attuata sul precario filo di equilibrio con il secondo comma dell’art. 32 della Costituzione Italiana il quale sancisce che: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Dati questi presupposti, credo che chiunque possa immaginare la delicatezza degli argomenti che potrebbero essere sollevati sulla natura morale di una tale disposizione. Perché, a meno di non voler dichiarare pubblicamente la propria superficialità, nessuno dovrebbe ritenersi legittimato a esplicitare la propria opinione senza aver prima esaminato in maniera più che esaustiva il concetto di “sanità mentale” e l’incidenza che questa possa avere in un più ampio contesto sociale. Né potrebbe esimersi dall’aver prima esaminato la differenza tra “interventi di cura della sofferenza” o, invece, “interventi di difesa dell’equilibrio sociale” che si ritiene compromesso.

Irrinunciabile, allora, per accostarsi a questi temi, l’opera del filosofo e sociologo francese Michel Foucault, il primo che si avvicinò a realizzare il progetto auspicato da Friedrich Nietzsche: quello di una vera e propria “storia della follia”. Così, nel suo celeberrimo “Storia della follia nell’età classica”, quello che emerge è il passaggio dello status di folle da figura “accettata”, se non addirittura “riconosciuta” nelle piccole e più equilibrate società del passato, alla figura dell’escluso, del malato più o meno pericoloso da rinchiudere tra quattro mura. In estrema sintesi, si tratta del passaggio dallo status di “matto del villaggio” o, anche, del “toccato dal dito di Dio”, che nei tempi antichi era comunque ben accetto dalle comunità rurali, a quello di “pazzo pericoloso” dal quale occorreva difendersi. Solo che il pazzo pericoloso, molto spesso non era altro se non colui che portava ad espressione esteriore tutta una serie di contraddizioni, falsità, miserie, soprusi e violenze che giacevano nascoste sotto il perbenismo borghese delle nuove e moderne società. Per cui la necessità di occultarlo al proprio sguardo benpensante e nasconderlo dove la buona creanza non potesse più scorgerlo. Prenderne atto sarebbe stato imbarazzante, vergognoso, sconveniente. Meglio rimuoverlo e negarne perfino l’esistenza, per poter continuare a vivere indisturbati con le proprie falsità, ipocrisie e indecenze morali di tutti i tipi.

Ma non occorre limitare alla falsità della coscienza il bisogno di rimuovere il “diverso”, perché anche la genialità, l’estro artistico o religioso, nonché la libertà dello spirito sono pur sempre pericolosi per la stasi della coscienza ordinaria, che preferisce il piattume di uno stagno melmoso al gorgogliare imprevedibile di acque vive e in eterno movimento.

C. G. Jung avrebbe parlato di “Ombra”: la follia come ombra rimossa della rigida razionalità della astratta coscienza ordinaria.

Un altro grande esploratore della così detta “sanità mentale” fu Ronald David Laing che, in controtendenza all’ortodossia psichiatrica del tempo, considerò l’emozionalità espressa dai propri pazienti come una descrizione valida di una qualche esperienza interiore vissuta, più che una sintomatologia di un qualche disordine separato o soggiacente. In altre parole, Laing fu uno dei primi medici a descrivere la malattia mentale come una forma di “esperienza” esistenziale o punto di vista che, in linea di principio, potrebbe essere perfettamente comprensibile agli altri e dotato di senso. Egli non ne negava l’esistenza, ma la vedeva come un episodio trasformativo che, al limite estremo, avrebbe anche potuto paragonarsi a un vero e proprio viaggio sciamanico. In pratica una rottura di livello, una sorta di permeabilità dell’anima attraverso la quale avrebbero potuto giungere intuizioni o visioni di ordine spirituale (ancorché distorte), che non sarebbe stato impossibile, alcune volte, reintegrare nella coscienza ordinaria della persona caduta in crisi psicotica. Ineccepibile il suo meraviglioso saggio: “La politica dell’esperienza”.

Insomma, tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’70, tutta una serie di studi alternativi confluirono in quella che alla fine assunse il nome di Antipsichiatria e numerosi psichiatri come David Cooper, Theodore Lidz, Silvano Arieti e, più in là, Francesco Basaglia, riprendendo molte tesi psicologiche, argomentarono che la malattia mentale può essere compresa non tanto, o non solo, come danno biologico, bensì come un danno all’Io interiore inflitto da genitori “schizofrenogenici”, o da istituzioni sociali psicologicamente invasive.

In linea con questo movimento, il sociologo canadese Erving Goffman con una azzeccatissima espressione sostenne che ciò che consideriamo sintomo di malattia mentale spesso è la violazione delle “regole cerimoniali” della vita quotidiana. Mentre ancora un altro psichiatra, Thomas Szasz, affermò che l’espressione “malattia mentale” sarebbe in realtà una combinazione internamente incoerente di un concetto medico e uno psicologico, ma sarebbe popolare perché legittima l’uso della psichiatria per controllare e limitare la devianza dalle norme sociali.

Come si può dedurre da queste succinte argomentazioni, verso la fine degli anni ’70 si era vicinissimi ad un approccio finalmente umano al disagio mentale… quando in maniera silenziosa e impercettibile l’intera cultura mitteleuropea (e con essa la visione che la medicina aveva dell’uomo) iniziò a regredire e a tornare su posizioni rigidamente materialistiche e repressive.

Oggi, e oramai da qualche decennio, la psichiatria è tornata ad arrogarsi il diritto di definire cosa sia sano o cosa malato ubbidendo, in realtà, ai voleri dell’industria farmaceutica che, in questo modo, può imporre farmaci a qualsivoglia comportamento violi quelle “regole cerimoniali” della società che essa ha decretato essere le uniche corrette.

Tuttavia, fino all’inizio del 2020, questo stato di cose, anche se pericoloso, poteva essere più o meno ironicamente trascurato. In tanti anni di attività psicoterapica, nel segreto del mio studio, non so più quanti “folli” racconti di vita mi sono stati testimoniati… racconti “strani” di uomini e donne assolutamente normali ma che un qualunque psichiatra di sicuro avrebbe considerato meritevoli di trattamenti farmacologici. Rifiuto di allinearsi alle più ovvie aspettative sociali, esperienze occasionali di “uscita dal corpo”, voci che suggerivano soluzioni inconsuete ed eretiche a problemi ingombranti, visioni occasionali di esseri non corporei, sogni premonitori, esperienze ai confini della realtà ordinaria… insomma, finché si rimaneva nel privato, del parere dei parrucconi psichiatri si poteva continuare a sorridere. Con cautela, ma si poteva fare.

All’inizio del 2020, però, siamo entrati in una sorta di dittatura sanitaria o, meglio, di totalitarismo assoluto che sta sfruttando la crisi di una grave pandemia influenzale per imporre un Pensiero e una Visione Unica della realtà. Perciò, la Psichiatria, non poteva che tornare a svolgere il ruolo di giudice supremo su ciò che sia sano e corretto pensare, come già avvenne nella Russia Comunista da Stalin in poi. Chi non ricorda la famosa frase di Nikita Krusciov secondo il quale coloro che criticano il Comunismo non possono essere che dei poveri malati mentali? Di fatto, per moltissimi anni in Russia un’estesa rete di informatori civili — sia volontari che reclutati con la coercizione — veniva usata per raccogliere informazioni per il governo e per riportare i casi di dissenso. Alcuni stati socialisti classificavano i critici interni del sistema come affetti da malattie mentali, quale ad esempio la “schizofrenia a progresso lento” — che veniva riconosciuta solo negli stati socialisti — li imbottiva di psicofarmaci e, in pratica, li incarcerava in ospedali psichiatrici.

Se vi stanno fischiando le orecchie, va tutto bene… non fateci caso. È soltanto la risonanza tra quegli antichi eventi e ciò che sta accadendo oggi, sotto gli occhi di tutti, nel cuore della moderna e democratica Europa. Sta accadendo da noi, in Italia, con il plauso di tutti coloro che non possono proprio sopportare che qualcuno accampi il diritto alla libertà di pensiero e di parola.


Ma la cosa più sconcertante, almeno per me, dopo cinquant’anni di osservazione attenta dell’anima umana, è l’estrema facilità con cui molti psichiatri presumono di poter prendere posizione nei confronti della così detta sanità mentale di uomini o donne la cui unica colpa è quella di non poter proprio aderire al Pensiero Unico voluto dal potere dominante.

E darei chissà cosa per poter incontrare personaggi siffatti e chiedere loro: “Ma su quali parametri vi basate per diagnosticare in una qualunque persona un disturbo tale da esigere un TSO? Quali alterazioni delle funzioni cognitive ed affettive avete riscontrato da giustificare l’uso di un qualsivoglia psicofarmaco, foss’anche una semplice benzodiazepina? E se anche avete registrato stati confusionali o idee deliranti — e sempre ammesso che voi possediate le chiavi per distinguere i deliri da una “diversa lucidità” — come avete potuto mettere da parte l’ascolto empatico o la risonanza interiore come uniche armi in grado di dipanare un tormento interiore e di riportare la sua formulazione su un piano di logica condivisibile?”

Alcuni decenni or sono alcuni ricercatori vollero fare un esperimento: contattarono due psichiatri, separatamente l’uno dall’altro, e a ognuno dei due chiesero di aiutarli a diagnosticare la grave forma di pazzia di un paziente appena ricoverato il quale era convinto di essere… uno psichiatra. Poi li fecero incontrare… e accadde il finimondo.

Sul libro dello psichiatra Luigi Cancrini: “Verso una teoria (multidisciplinare) della schizofrenia” ci sono decine di racconti di questo tipo, tutti assolutamente autentici, a dimostrazione dell’estrema cautela con la quale bisognerebbe predisporsi per fare chiarezza nei meandri dell’anima.

Ma la verità è che dei dubbi dell’anima, oggi, non frega un gran che a nessuno. La maggior parte dei professionisti della salute mentale è guidata da una sorta di pensiero disciplinato, remissivo e consenziente a quelle che possono essere ritenute le linee guida del Pensiero Medico Unico che ha determinato una volta per tutte, e per tutti noi, cosa è sano e cosa è malato, qual è la Verità e quale la Menzogna. L’eroismo conoscitivo, l’entusiasmo e l’amore profondo di uomini e medici come Cooper, Laing, Szasz, Arieti e Basaglia, sembra oggi un ricordo di tempi preistorici.

Io ho avuto la fortuna di respirarne gli ultimi ardori, in un’epoca che già mostrava i segni di quel pensiero reazionario che oggi sembra essere l’unico ad avere diritto di parola. E, forse, sarà per questo, che inorridisco di fronte al fatto che un ragazzino di diciotto anni possa essere stato preso e sottoposto ad un TSO per il semplice fatto di non voler indossare in classe una mascherina chirurgica la cui efficacia non è mai stata scientificamente dimostrata. Quello che mi fa orrore è la sproporzione tra la supposta disobbedienza civica del ragazzo e l’inaudita violenza delle misure di coercizione intraprese contro di lui.

Ho paura, tuttavia, che mi dovrò abituare. Non tanto nel senso di accettare che accadono fenomeni del genere, quanto piuttosto di abituarmi a vederli cresce in maniera esponenziale. La coscienza collettiva dell’Uomo contemporaneo dorme profondissimamente e le migliaia e migliaia di persone che stanno iniziando a manifestare il loro dissenso, e tutti gli avvocati, i medici e i giornalisti indipendenti che portano avanti le nostre battaglie, per quanto siano un segnale che scalda il cuore, sono pur sempre poveri numeri di fronte ad una massa inerme che sembra incapace di reagire. Povera cosa di fronte al Potere Assoluto di quei pochi che stringono nelle proprie mani bramose le leve finanziarie, economiche, politiche, giuridiche e militari del mondo.

David ucciderà Golia?

Di questo non ho dubbio alcuno… ma sui tempi che saranno necessari per una simile gloriosa impresa non mi faccio troppe illusioni.

Piero Priorini

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