Ripensare il passato per dar forma al futuro

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Non è ora di cominciare a pensare in modo diverso a ciò che è umanamente possibile?

Un nuovo libro sta mettendo in crisi il nostro modo di pensare alla storia antica, sfidando l’idea stessa di civiltà.

Per generazioni, ci è stato insegnato che la chiave della civiltà è la convivenza delle persone in un unico spazio dove una società stratificata impone struttura e regole.

Ora, l’antropologo David Graeber e l’archeologo David Wenbow hanno scritto un nuovo libro, L’alba di ogni cosa: una nuova storia dell’umanità, il quale propone che gli umani abbiano prosperato senza un requisito fondamentale per la “civiltà”, vale a dire stabilirsi in un luogo fisso.

Gli autori descrivono gli uomini alla fine dell’era glaciale che viaggiavano stagionalmente e si riunivano in grandi gruppi durante i periodi di abbondanza per banchettare e costruire elaborati monoliti con intagli di animali e serpenti.


Prendiamo ad esempio gli scavi di Gobekli Tepe in Turchia costruita intorno al 9.000 AC. Gli abitanti non sembravano praticare l’agricoltura; sarebbero infatti trascorsi mille anni prima che l’agricoltura prendesse piede. Piuttosto che diventare agricoltori sedentari, si radunavano nel sito durante i periodi di abbondanza dove lavoravano enormi quantità di noci ed erbe di cereali selvatici, preparando cibi festivi per sostentarsi durante il lavoro di costruzione. Gli autori citano prove che suggeriscono che gli edifici a forma di torre venivano riempiti di rifiuti al termine del dei festeggiamenti, per poi essere abbandonati.

Questo modello umano non è isolato. Gli autori descrivono le cosiddette case mammut nella Russia odierna, anche più antiche di quelle in Turchia, che risalgono a 12.000-25.000 anni fa. Gli autori scrivono che queste strutture attentamente pianificate furono edificate al termine di una grande caccia al mammut, utilizzando qualsiasi parte rimasta una volta che le carcasse erano state lavorate per le loro carni e pelli. Con abbastanza carne di mammut per sfamare centinaia di persone per circa tre mesi, queste case di mammut erano luoghi centrali i cui gli abitanti si scambiavano ambra, conchiglie marine e pelli di animali a distanze impressionanti. Quando la carne era finita, gli abitanti se ne andavano. 

Una casa di mammut ricostruita in mostra al Museo Dolní Věstonice nella Repubblica Ceca.

Questo schema di aggregazione stagionale si ripete in altri siti, anche tra i popoli neolitici che costruirono Stonehenge e altri monoliti nell’odierna Gran Bretagna.

“Le prove archeologiche si stanno accumulando per suggerire che negli ambienti altamente stagionali dell’ultima era glaciale, i nostri remoti antenati … mostravano un movimento pendolare tra accordi sociali alternativi, costruendo monumenti e poi chiudendoli di nuovo, permettendo l’ascesa di strutture autoritarie durante certi periodi dell’anno e poi smantellandole.
Lo stesso individuo poteva sperimentare la vita in ciò che ci appare a volte come una banda, a volte come una tribù, e a volte come qualcosa con almeno alcune delle caratteristiche che oggi identifichiamo con gli stati”.. (Graeber e Wenbow)

In parole povere, le interazioni sociali umane erano flessibili, qualche volta si svolgevano in grandi gruppi in cui i rituali e l’arte giocavano un ruolo importante e in altre circostanze in un mondo meno strutturato e non gerarchico. Le persone non erano costrette a vivere in un ambiente sedentario e gerarchico controllato da un sovrano forte.

Questa scultura, nota come la Venere di Williendorf, fu creata nel 20,00-25.000 AC. Gli storici hanno a lungo descritto questo periodo come quello dei piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori, ma la loro arte suggerisce molto di più.

 

Il libro di Graeber e Wenbow sta accendendo un dibattito, sfidandoci a considerare come possiamo muoverci nel futuro senza i paraocchi.

“E se”, scrivono, “invece di raccontare la storia di come la nostra società sia caduta da uno stato idilliaco di uguaglianza, ci chiedessimo come siamo finiti intrappolati in catene concettuali così strette che non possiamo nemmeno immaginare la possibilità di reinventare noi stessi?” (Graeber e Wenbow)

Le loro parole colpiscono nel segno.
L’isolamento della pandemia ci sta costringendo a riconsiderare il modo in cui interagiamo gli uni con gli altri, come lavoriamo e viviamo, e se esaminiamo la storia sotto una nuova luce, potremmo scoprire possibilità inedite per il nostro futuro.

Nancy Peckenham

In alto: Foto di Teomancimit presa da Wikimedia Commons

Tradotto dall’inglese da Riccardo Gezzi per LiberoPensare

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