Possedere la Verità / Possessing Truth

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di Piero Cammerinesi

Mi sono sempre chiesto da dove nasca questa pervicace, ostinata e apparentemente inarrestabile tendenza a prevalere sull’altro con la propria interpretazione di un fatto, di un avvenimento o di una visione del mondo.
A voler aver ragione, a voler possedere saldamente la verità.
Vi incappano anche i più disincantati, coloro che dovrebbero sapere che, in fondo, ognuno ha la verità che è in grado di accogliere e che, quindi, non ha senso alcuno cercare di convincere chi possiede già una propria convinzione.
Il problema è particolarmente ‘sensibile’ quanto più ci allontaniamo dal ‘sensibile’ – perdonate il gioco di parole – vale a dire che tanto più abbiamo a che fare con concetti non concreti, misurabili, tanto più la tendenza a voler avere ragione, con la propria interpretazione, si fa prepotente.
Se ho davanti a me un albero mi riesce facile capire che l’altro – se lo vede dalla parte opposta o da una maggiore distanza – non potrà vedere la stessa forma che vedo io ma vedrà una parte diversa dello stesso oggetto, mentre, se l’oggetto di discussione è una visione filosofica o politica o spirituale, in quel caso la lezione dell’albero è del tutto dimenticata.
Vogliamo convincere l’altro che la nostra visione dell’oggetto sia quella giusta.

L’unica giusta.

Come se la visione, l’interpretazione di qualcosa non avesse nulla a che fare con noi che la produciamo, fosse qualcosa di oggettivo, fuori di noi.
Dimenticando che è il nostro pensiero che pensa l’oggetto – fosse pure il più eccelso insegnamento spirituale – e che fornisce ad esso la sua particolare colorazione, la sua prospettiva unica.

Migliaia di anni di guerre, di persecuzioni, di violenze, nascono dal non aver compreso questo – apparentemente semplicissimo – principio, secondo il quale una stessa verità necessariamente viene rivestita dal nostro peculiare modo di vedere e di interpretare, in quanto essa non è fuori di noi, ma è costituita, sostanziata e di fatto coincidente con il nostro pensare.

È pensiero.

Nietzsche offre una lettura straordinariamente avvincente di questo fenomeno.
Egli si chiede, in sostanza, cosa rappresenti la volontà di possedere la verità. È la volontà di non lasciarsi ingannare? È la volontà di non ingannare? E perché tale volontà?
Semplice: perché ingannare o ingannarsi è nocivo, è negativo per la propria vita. Dunque non è affatto la cosa-in-sé – ciò che di reale ipotizziamo essere alla base della nostra verità, della nostra interpretazione – a garantirci la verità; il criterio di verità ha una base pratica, non razionale! È un pregiudizio morale quello che ci fa desiderare di non essere ingannati o di non ingannarci, dunque, di…avere ragione!

E da dove deriva questo pregiudizio morale?

Dall’istinto, che vuole premunirsi nei confronti di ciò che non è utile alla nostra vita – al nostro amor proprio, al nostro orgoglio, ad esempio – come il non aver ragione.
Alla base di ogni volontà di possedere la verità – e questo varrebbe finanche per i filosofi – dunque, vi sarebbe un istinto, qualcosa che non avrebbe davvero nulla a che fare con la verità.

* * *

Dieser ging wie ein Held auf Wahrheiten aus und endlich erbeutete er sich eine kleine geputzte Lüge.
(Friedrich Nietzsche, Also sprach Zarathustra)

Un tale mosse come eroe alla conquista della verità, e non s’acquistò alla fine che una piccola graziosa menzogna.
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra)

 


Possessing Truth

by Piero Cammerinesi

I have always wondered where this stubborn, obstinate, and seemingly unstoppable tendency to prevail over the other with one’s interpretation of a fact, event, or worldview comes from.
To want to be right, to firmly possess the truth.
Even the most disenchanted run into it, those who should know that, after all, everyone has the truth that he or she is able to accommodate and that, therefore, there is no point in trying to convince those who already possess their own beliefs.
The problem is particularly ‘sensitive’ the further we move away from the ‘sensitive’-pardon the pun-that is, the more we have to deal with non-concrete, measurable concepts, the more the tendency to want to be right, with one’s own interpretation, becomes overbearing.
If I have a tree in front of me, it is easy for me to understand that the other person – if he sees it from the opposite side or from a greater distance – will not be able to see the same shape that I see but will see a different part of the same object, whereas, if the object of discussion is a philosophical or political or spiritual view, in that case the lesson of the tree is completely forgotten.
We want to convince the other person that our view of the object is the right one.

The only right one.

As if the vision, the interpretation of something had nothing to do with us producing it, was something objective, outside of us.
Forgetting that it is our thinking that thinks the object–even the most lofty spiritual teaching–and provides it with its particular coloring, its unique perspective.

Thousands of years of wars, of persecution, of violence, arise from failing to understand this – seemingly very simple – principle, according to which a truth itself necessarily comes clothed in our peculiar way of seeing and interpreting, in that it is not outside us, but is constituted, substantiated and in fact coincident with our thinking.

It is thinking.

Nietzsche offers an extraordinarily compelling reading of this phenomenon.
He asks, in essence, what the will to possess truth represents. Is it the will not to be deceived? Is it the will not to be deceived? And why such a will?
Simple: because to deceive or deceive oneself is harmful, it is negative for one’s life. So it is not the thing itself at all — what in reality we assume to be the basis of our truth, of our interpretation — that guarantees us truth; the criterion of truth has a practical basis, not a rational one! It is a moral bias that makes us wish not to be deceived or misled, therefore, to…be right!

And where does this moral bias come from?

From instinct, which wants to guard against that which is not useful to our life — to our self-love, our pride, for example — such as not being right.
At the basis of any desire to possess truth – and this would even apply to philosophers – therefore, there would be an instinct, something that would really have nothing to do with truth.

* * *

Dieser ging wie ein Held auf Wahrheiten aus und endlich erbeutete er sich eine kleine geputzte Lüge.
(Friedrich Nietzsche, Also sprach Zarathustra)

Such a one moved as a hero to the conquest of truth, and acquired in the end nothing but a pretty little lie.
(Friedrich Nietzsche, Thus Spoke Zarathustra)

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