Natale a casa? Sì, anzi no, chissà…

Natale

Ancora caos, ancora scaricabarile, ancora incertezza per gli italiani. Siamo ormai alla mattina del 12 dicembre e tuttora non è chiaro come si potranno trascorrere le giornate di Natale, Santo Stefano e Capodanno.

Pressato per correggere almeno i dettagli più assurdi della normativa varata dal suo governo, Giuseppe Conte, da Bruxelles, è rimasto nella solita cronica vaghezza: “Spostamenti tra comuni? Se il Parlamento, assumendosene tutta la responsabilità, vuole introdurre eccezioni sui comuni più piccoli, in un raggio chilometrico contenuto, torneremo su questo punto. Ovviamente il Parlamento è sovrano. Ma serve grande cautela in qualsiasi eccezione”. Il premier, bontà sua, ammette che il divieto di spostamenti tra comuni “crea un problema oggettivo, perché è chiaro che chi è in un grande comune e ha anche la fortuna di avere parenti ha la possibilità di muoversi e pranzare insieme, mentre chi vive in paesini più piccoli può avere difficoltà”. Dopo di che, però, come al solito, sembra solo avere voglia di passare ad altri la patata bollente: “C’è grande sensibilità parlamentare su questo, non siamo contenti di introdurre misure… Non possiamo consentire in quei giorni che ci siano occasioni di convivialità, dobbiamo mantenere queste restrizioni. Se poi il Parlamento vuole introdurre qualche eccezione per i comuni più piccoli ci confronteremo e torneremo su questo punto. Certo, non c’è molto tempo e posso dire che anche per qualsiasi misura che possa fornire un’eccezione raccomando grande cautela e attenzione. Non può saltare il piano complessivo: se salta l’equilibrio rischiamo di far scatenare una terza ondata del contagio e non possiamo permettercelo”.

E qui, oltre al caos, scatta una poco accettabile alterazione delle cose e dei rischi. La seconda ondata è stata causata dall’impreparazione su scuola e trasporti, cioè dall’incapacità del governo, non certo da colpe dei cittadini. E, se c’è un rischio futuro di terza ondata, è legato proprio alla riapertura delle scuole a gennaio, con la ripetizione del meccanismo di sovraccarico nel trasporto pubblico che già si è manifestato da metà settembre. Ma l’operazione di colpevolizzazione degli italiani da parte del governo non conosce soste.

Conte, in ogni caso, segue la linea già tracciata il giorno prima da Roberto Speranza, che era parso addirittura più rigido (“Non possiamo abbassare la guardia: resti il limite del confine tra comuni”). Di analogo tenore anche le dichiarazioni di Francesco Boccia, altro alfiere della posizione pro chiusura: “No agli allentamenti perché sarebbe da irresponsabili” e “sì a piccoli chiarimenti per i comuni piccoli e di confine: se serve modificare, si farà”. Anche qui, palla buttata in Parlamento: “Il Parlamento è sovrano. Se si vuole chiarire meglio il passaggio sui comuni confinanti, non ci sono problemi. Ma un dibattito politico per aprire i confini dei comuni e province è da irresponsabili. Chi vuole aprire tutto se ne assuma la responsabilità”.

Torna a farsi sentire anche il governatore campano Vincenzo De Luca, pure lui apocalittico: “Dobbiamo avere il coraggio di dire che quest’anno Natale e Capodanno non esistono, devono essere giorni di raccoglimento religioso, familiare, ma non possono essere i giorni delle feste normali altrimenti andremo al disastro”. E ancora: “La Campania chiede provvedimenti più rigorosi, è contraria al rilassamento, all’apertura della mobilità, a tutte le manfrine a cui stiamo assistendo: comuni piccoli, comuni grandi, cosa dobbiamo fare a Natale”. Conclusione: “Non bisogna cedere alle spinte demagogiche o possiamo anche decidere di impiccarci con le nostre mani”. Come se l’impreparazione della macchina pubblica fosse colpa dei cittadini che vogliono andare a trovare il papà, la mamma o i nonni.

Intanto, il presidente del Veneto Luca Zaia torna a chiedere al ministero della Salute che nell’incidenza dei positivi si prenda in considerazione il totale dei test molecolari e di quelli rapidi. “Oggi (ndr: ieri per chi legge) è stata inviata al ministero una lettera nella quale si sottolinea che il Veneto fa tanti test: oggi 56.430 tamponi, di cui 16.300 molecolari e 40.130 rapidi. E’ ovvio che troviamo 3.883 positivi, che valgono il 6,8%. Questo è un dato statistico. Noi vorremmo avere in mano un quadro generale standardizzato dei numeri di tutte le regioni. Perché i numeri assoluti non vogliono dire nulla”. Secondo Zaia “il fatto che si ragioni con numeri assoluti non ci aiuta, e soprattutto vogliamo evidenziare l’aspetto di virtuosità del Veneto: noi facciamo i test di conferma di tutti i test rapidi, facciamo i test a tutti i contatti stretti dei positivi, aspetti che, magari, in altre regioni, sono interpretati in maniera diversa. Quindi il tema della valutazione che l’Istituto Superiore della Sanita deve fare, a nostro avviso, è quello di una valutazione con dati omogenei. Noi facciamo un numero di tamponi quotidiano che alcune regioni riescono a fare in una settimana”.

Intanto, si attende il cambio di colore in diverse regioni. Dovrebbero diventare “gialle” la Lombardia, come anticipato dal governatore Attilio Fontana, il Piemonte, la Basilicata e la Calabria. Attesa anche per Campania e Toscana. Fiducioso Eugenio Giani: “La Toscana si trova nelle condizioni oggettive per passare da arancione a zona gialla. Siamo molto migliorati”. Invece il Tar dell’Aquila ha accolto la richiesta di sospensiva avanzata dal governo dell’ordinanza del presidente della regione Marco Marsilio, che aveva anticipato il passaggio dal rosso all’arancione.

Daniele Capezzone

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