L'(anti)fascismo dei banchieri

Italian Prime Minister, Mario Draghi (R), is welcomed by the General Secretary of the national trade union Italian General Confederation of Labour (CGIL - Confederazione Generale Italiana del Lavoro) Maurizio Landini (L), upon his arrival at the union headquarters, in Rome, on October 11, 2021 as a gesture of solidarity towards the CGIL following the assault on their headquarters two days ago. - Hundreds of people gathered to demonstrate against anti-coronavirus measures in central Rome, on October 9, 2021, clashing with police and wrecking premises including the headquarters of the CGIL trade union federation. "The people behind the assault on CGIL's headquarters were quickly arrested. They had been stoking tension and violence for too long," said MP Federico Fornaro. (Photo by Filippo MONTEFORTE / AFP)

Anche nell’epoca del controllo digitale, per il potere rimangono in uso i comprovati metodi di condizionamento e manipolazione ideologica, potendosi esso servire, in Italia, del discredito del fascismo applicato a ogni situazione che mette in difficoltà le Istituzioni nel legittimarle e definire la loro posizione rispetto alle dinamiche sociali.

In pratica il progresso è concesso sì, ma fino a un certo punto: il potere rimane arcaicamente violento nei suoi meccanismi fondamentali. La raffinata tirannia della digitalizazzione si porta dietro la tirannia della propaganda mediatica opportunatamente anti-fascista, e con questa anche la tirannia delle manganellate della polizia contro i manifestanti pacifici e inoffensivi.

La mega manifestazione, svoltasi nella capitale sabato il 9 di Ottobre, ha dimostrato per l’ennesima volta che in Italia, come in nessun altro paese, vige la maledizione della colpevolizzazione del fascismo, installata nei decenni ad opera della sinistra che si è presa i meriti dell’antifascismo, dimostrando al contempo che forse all’occorrenza non sarebbe stata tanto antifascista, visto il suo conformismo e ostentata connivenza con l’imposizione di un mezzo come il Green pass, che urta pesantemente proprio con l’articolo 1 della Costituzione, il principio cardine del nostro ordinamento giuridico.
In questo modo ogni manifestazione con elementi di sovversione e coercizione potrebbe essere facilmente vanificata e discreditata, arrivando al paradosso secondo cui i promotori di metodi discriminatori simil-nazisti trovano l’appiglio dell’accusa di fascismo verso chi invece difende la Costituzione.

Nella rappresentazione dell’incursione nella sede romana della CGIL da parte di elementi ultras, i media principali hanno richiamato l’analogia con le azioni dello squadrismo fascista del 1921, che comportarono la distruzione di centinaia di Camere del Lavoro. Il paragone però è stato a dir poco ingannevole (almeno in prima lettura), in quanto nel 1921 lo squadrismo fascista si avvaleva della connivenza o della diretta collaborazione dell’establishment statale e industriale. E infatti (ma questa è la seconda lettura), anche sabato scorso il Ministero degli Interni non solo ha lasciato fare ai teppisti, ma ha anche dato buona visibilità mediatica a personaggi le cui storiche protezioni da parte di servizi segreti italiani e stranieri sono note e documentate.

L’assalto alla sede romana del più grande sindacato del lavoro ha reso possibile che Enrico Letta e giornalisti di punta potessero avallare il falso storico e ideologico secondo cui il neofascismo sarebbe l’effetto di torbide passioni popolari, quindi populiste, contro l’establishment, facendo finta che Forza Nuova non sia una squadra di agenti provocatori agli ordini dei servizi segreti, ma una forza autonoma che vanta un suo proprio “feeling” con le masse.

In realtà, UN FASCISMO ANTI-ESTABLISHMENT NON ESISTE E NON E MAI ESISTITO, e de facto recentemente le maggiori sfide ideologiche alla Costituzione anti-fascista sono pervenute da banche come JP Morgan con un suo documento del 2013. Come mai le nostalgie fasciste di JP Morgan sono state rimosse dal circo mediatico? Il predicatore del politicamente corretto Massimo Giannini sarà credibile quando farà gli esami di antifascismo non solo alla Meloni ma anche ai banchieri.


Chi sa quale ‘gentile’ pressione o visita riservata abbia convinto il segretario della CGIL a dichiararsi senza riserve nel fronte di pro Green pass, passando come uno sterminatore sopra i diritti inviolabili di migliaia di centinaia di lavoratori. Maurizio Landini avrebbe potuto domandare alle autorità preposte all’ordine pubblico come mai abbiano lasciato per decenni certi soggetti impuniti e protetti, ma non se l’è sentita di passare da complottista e no-vax, perciò si è preso arrendevolmente le carezze e gli abbracci di Mario Draghi, accorso a “confortarlo”, cioè a metterlo in soggezione, tanto che nelle foto Draghi, la cui altezza è di 173 cm, sembra di mezza testa più alto di Landini. Sulla foto, lo sguardo di Landini è di uno che abbia subito contemporaneamente sia una gravissima minaccia che la pacca sulle spalle.

La campagna di falso antifascismo è benvenuta per la pantomima dei partiti: il PD può operare la “reductio ad fascismum” di chiunque dubita della santità dell’Europa e di Draghi, mentre le destre possono recitare la parte delle vittime e rinfacciare la violenza dei centri sociali, o rivangare i crimini del comunismo. Per Landini invece è un disastro, perché viene costretto a giocare fuori ruolo, anzi, un ruolo pericolosamente dissonante, dove, suo malgrado, grazie all’affettiva vicinanza di Draghi, diventa connivente con la Confindustria.

Il successo dello sciopero dei sindacati di base di lunedì scorso, due giorni dopo la Manifestazione, dimostra che la propaganda mediatica era fasulla, e che non era vero che il Green pass riscuote il consenso o la rassegnazione della maggioranza dei lavoratori in quanto “vaccinata”. I sindacati confederali avevano i margini per reagire all’umiliazione inflitta loro da Draghi, quando erano stati convocati dal governo solo per comunicazioni e non per trattare. Ma per Landini e per la “sinistra” ora all’ordine del giorno, come in tante altre occasioni a partire dagli anni 70, invece della difesa del lavoro c’è la proposta di scioglimento delle organizzazioni fasciste. Anche se sembra che, oggi come allora, in tale lista manca proprio l’organizzazione più sospetta: il Ministero degli Interni. Le destre se la prendono con la ministra Lamorgese, che probabilmente in questa storia è l’unica che non c’entra niente: come se non si sapesse che agli Interni il ministro conta oramai meno di un usciere. In effetti chi sia il vero capo del Ministero non si sa, ma si riconoscono gli schemi usuali di provocazione e destabilizzazione sui quali esso si muove, sempre gli stessi da più di mezzo secolo. Qualcuno si è domandato il motivo per il quale nell’allestire la provocazione non si sia fatto ricorso a personaggi meno compromessi di Roberto Fiore e Giuliano Castellino?

Paradossalmente è proprio la spudoratezza dell’operazione il suo vero messaggio intimidatorio a Landini, attraverso cui è come se gli venisse detto: possiamo fare quello che ci pare, possiamo inscenare quello che ci conviene, nessuno è al sicuro. Il che non può non richiamare il processo contro il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, con la sentenza che accusa l’imputato di non aver agito con la motivazione di migliorare l’accoglienza degli immigrati, ma per procurarsi voti. Insomma, non conta se le cose che aveva fatto fossero giuste o meno, conta l’intenzione, e quelle di Lucano non erano abbastanza pure. Tredici anni di carcere ben meritati, così quelli come lui imparano a cercare la benevolenza degli elettori. In fondo, Draghi è uno che degli elettori se ne frega, visto che non l’ha votato nessuno, e può fare tutto il male che vuole perché le sue intenzioni sono pure, almeno così ci raccontano tutte le voci autorevoli. Anche nel caso di Lucano il messaggio è abbastanza chiaro: possiamo incensarvi mediaticamente e il giorno dopo distruggervi, e possono piombarvi addosso le condanne più dure senza che vi siano non solo prove, ma neppure vere accuse.

L’espressione esterrefatta e il terrore sul volto di Landini hanno quindi motivi più che fondati. Chi sa chi sarà il prossimo sacrificato all’inesorabile caterpillar del nuovo regime?

14 ottobre 2021

Zory Petzova

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Zory Petzova, studiosa dei paradossi sociali nella loro molteplicità e interferenza con la natura umana.

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