La Parabola dell’Occidente e i nuovi Potlatch

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di Andrea Zhok

Nel quadro politico internazionale che caratterizza questa fase storica c’è un fattore che trovo estremamente preoccupante. Si tratta della combinazione, nel mondo Occidentale, di 1) un fattore strutturale e 2) un fattore culturale. Provo a tratteggiarne in modo volutamente schematico gli aspetti di fondo.

1) IL RETROTERRA STRUTTURALE

L’Occidente ha notoriamente acquisito una posizione globalmente egemonica negli ultimi tre secoli. Lo ha fatto in grazia di alcune innovazioni (europee) che gli hanno permesso di incrementare in modo decisivo la produzione industriale e la tecnologia militare.

Nel corso dell’800 l’Occidente ha imposto le proprie leggi, o i propri contratti, sostanzialmente a tutto il mondo. Alcune parti del mondo come il Nord-America e l’Oceania hanno cambiato radicalmente configurazione etnica, divenendo insediamenti stabili di popolazioni di origine europea. Imperi asiatici millenari si sono trovati in condizione di protettorato, colonia o comunque di sottomissione. L’Africa è diventata un cespite cui attingere liberamente forza lavoro e materie prime.
Tutto ciò è avvenuto alla luce di un modello economico che aveva strutturalmente bisogno di crescere costantemente per mantenere la propria funzionalità, inclusa la pace interna.
La dinamicità espansiva occidentale è stata spinta in modo decisivo dal fatto che il sistema aveva bisogno di margini costanti di profitto e le imprese estere garantivano cospicui ritorni (rendendole perciò robustamente finanziabili).
Più o meno con la crisi subprime (2007-2008) si segnala una difficoltà rilevante nel mantenere il dominio su un sistema-mondo demograficamente, politicamente, culturalmente troppo vasto. Il sistema di sviluppo occidentale, ampiamente basato sulla libera iniziativa decentrata, nella sua ricerca di margini di profitto ha commesso alcuni errori imperdonabili per un potere imperiale, quale nel frattempo era divenuto (prima come impero britannico, poi come impero americano). Siccome la sfera finanziaria presenta maggiori margini di profitto rispetto alla sfera industriale si è assistito in Occidente ad uno spostamento costante delle manifatture in paesi remoti con salari bassi. Mentre quest’operazione è riuscita in alcuni paesi con un’organizzazione interna fragile, che sono stati e rimangono dei semplici produttori sussidiari, politicamente subordinati a potenze occidentali, questo non è riuscito in alcuni paesi che offrivano per ragioni culturali maggiore resistenza, Cina in testa.
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L’emergere di alcuni contropoteri nel mondo è oramai un dato storico incontrovertibile e inemendabile. Un Occidente che ha giocato per anni tutte le sue carte sul predominio finanziario e tecnologico si ritrova sfidato da contropoteri capaci di opporre efficace resistenza sia sul piano economico che militare.

In questo senso la guerra russo-ucraina, con gli errori fatali commessi dall’Occidente, rappresenta un momento di passaggio storico: aver spinto Russia e Cina ad un’alleanza obbligata ha creato l’unico polo mondiale realmente invincibile anche per l’Occidente unificato. Gli USA erano così preoccupati di interrompere una possibile proficua collaborazione tra Europa (Germania in particolare) e Russia che hanno trascurato una collaborazione molto più potente e decisiva, quella tra Russia e Cina appunto.

 

2) IL RETROTERRA CULTURALE

Ed è qui che subentra il secondo protagonista dello scenario corrente, ovvero il fattore culturale. La cultura elaborata negli ultimi tre secoli in Occidente è qualcosa di assai caratteristico. Si tratta di un approccio culturale universalistico, astorico, naturalistico, che – anche grazie ai successi ottenuti sul piano tecnoscientifico – ha finito per autointerpretarsi come Ultima Verità, sul piano epistemico, politico ed esistenziale. La cultura occidentale, che ha conquistato il mondo non per le capacità persuasive delle proprie virtù morali, ma per quelle dei propri obici, ha però immaginato che una cultura capace di costruire obici così efficienti non poteva che essere intrinsecamente Vera.
L’universalismo naturalistico ci ha disabituato a valutare le differenze storiche e culturali, assumendone il carattere contingente, di mero pregiudizio che verrà superato. Quest’impostazione culturale ha creato un danno devastante, che ha coinciso in Europa con la galoppante americanizzazione delle proprie grandi tradizioni: l’Occidente, divenuto il sistema di vassallaggio del potere americano, appare oggi culturalmente del tutto incapace di comprendere il proprio carattere di determinazione storica, non serenamente universalizzabile. L’Occidente, pensandosi come incarnazione del Vero (la Liberaldemocrazia, i Diritti Umani, la Scienza) non ha dunque gli strumenti culturali per pensare che un altro mondo (e anzi più d’uno) sia possibile.

3) IL VICOLO CIECO DELLA STORIA OCCIDENTALE

Ecco, se ora uniamo i due fattori, strutturale e culturale, che abbiamo menzionato ci ritroviamo con il seguente quadro: l’Occidente a guida americana non può mantenere il proprio statuto di potere, garantito dalla prospettiva dell’espansione illimitata, e d’altro canto non può neppure immaginare alcun modello alternativo, in quanto si concepisce come l’Ultima Verità.

 

Quest’aporia produce uno scenario epocale tragico.

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L’Occidente a guida americana non è in grado di riconoscere alcun “Piano B”, e d’altro canto comprende che il “Piano A” è reso fisicamente impercorribile dall’esistenza di contropoteri innegabili. Questa situazione produce un’unica pervicace tendenza, quella a lavorare affinché quei contropoteri internazionali vengano meno.

 

Detto in termini semplificati: gli USA non hanno alcuna prospettiva diversa in campo da quella di ricondurre in una condizione subordinata – come fu in passato – i contropoteri euroasiatici (Russia, Cina, Iran-Persia; l’India è già sostanzialmente sotto controllo). Ma questa sottomissione oggi non può che passare attraverso un conflitto, o una guerra aperta o una sommatoria di guerre ibride volte a destabilizzare il “nemico”.

 

Ma, a questo punto, la situazione è resa particolarmente drammatica da un altro fattore strutturale. Per quanto gli USA sappiano di non poter affrontare una guerra aperta senza esclusione di colpi (nucleare), hanno un fortissimo incentivo a che la guerra non si mantenga sul piano ibrido “a basso voltaggio”. Questo per la ragione strutturale vista in precedenza: c’è bisogno di una prospettiva di incremento produttivo.

 

Ma come si può garantire una prospettiva di incremento produttivo in una condizione in cui l’espansione fisica non è più possibile (o è troppo incerta)? La riposta purtroppo è semplice: una prospettiva di incremento produttivo sotto queste condizioni può essere garantita solo se simultaneamente vengono create delle fornaci dove poter bruciare costantemente quanto prodotto. C’è la necessità sistemica di inventarsi dei colossali, e sanguinosi, Potlatch, che diversamente dai Potlatch dei nativi americani, non devono distruggere solo oggetti materiali, ma anche esseri umani.

In altri termini, l’Occidente a guida americana ha un interesse, inconfessabile ma imperativo, a creare in modo crescente ferite sistemiche da cui far defluire il sangue, in modo che le forze produttive siano chiamate a lavorare a pieno ritmo e i margini di profitto si vitalizzino.
E quali forme possono prendere queste ferite che distruggono ciclicamente, e in modo poderoso, le risorse?
Di primo acchito direi che ne vengono in mente due: guerre e pandemie.
Solo un nuovo orizzonte di sacrifici umani può consentire alla Verità Ultima dell’Occidente di rimanere in piedi, di continuare ad essere creduta e venerata.
E se nulla cambia nella consapevolezza diffusa delle popolazioni europee – i principali perdenti di questo gioco – credo che queste due carte distruttive saranno giocate senza scrupoli, reiteratamente.

Da un post su Facebook del 24 maggio 2024

 


Andrea Zhok, nato a Trieste nel 1967, ha studiato presso le Università di Trieste, Milano, Vienna ed Essex. È dottore di ricerca dell’Università di Milano e Master of Philosophy dell’Università di Essex. Oltre a saggi ed articoli apparsi in Italia e all’estero, ha curato scritti di Simmel (Il segreto e la società segreta, 1992) e Scheler (Amore ed odio, 1993). È autore di Intersoggettività e fondamento in Max Scheler (La Nuova Italia, Firenze 1997), Fenomenologia e genealogia della verità (Jaca Book, Milano 1998), Introduzione alla “Filosofia della psicologia di L. Wittgenstein (1946-1951) (Unicopli, Milano 2000) e L’etica del metodo. Saggio su Ludwig Wittgenstein. (Mimesis, Milano 2001). Attualmente collabora all’attività didattica e di ricerca presso le cattedre di Filosofia della Storia e Filosofia Teoretica II dell’Università degli Studi di Milano.

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