Interrogativi minoranti

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Andare o non andare alla marcia per la pace del prossimo 5 novembre  a Roma promossa da una composita galassia di associazioni sotto la sigla di Europe for peace, che chiedono cessazione immediata delle ostilità in Ucraina, avvio dei negoziati  e stop all’invio di armi al regime di Zelenski?  

Per quanto numerosi si potrà essere, la manifestazione verrà ignorata o trasformata nello scenario di qualche spiacevole episodio di violenza provocato ad arte?

Quale delle due ipotesi è la peggiore?

È meglio (come direbbe qualcuno) che loro, i media main stream, ne parlino male piuttosto che non ne parlino affatto?

E, comunque, le richieste della piazza a chi dovrebbero essere rivolte?

Ai nostri governanti?

Ma loro, dal Presidente in giù, hanno il reale potere e la effettiva volontà di poter fare qualcosa di diverso da quello che fin qui è stato fatto, cioè indebitarsi per spese militari crescenti e astenersi dal contraddire gli alleati più forti?

Non risponde, infatti, la nostra classe politica ai dettami provenienti dai vertici del sistema economico di cui è espressione?

Come potrebbero i suoi componenti  ascoltarci?

Il loro compito non è quello di blandirci con le promesse, irretirci con la loquela, renderci docili e ubbidienti, rinforzarci nella capacità di affrontare i sacrifici?

Non sono lì apposta (dietro lauto compenso) a fare da parafulmine alla nostra ira sacrosanta, a sacrificarsi nel ruolo di cattivi contro cui prendersela, pur di mantenere invariato il cadenzato avanzamento dei piani di ordine superiore?

Potremo forse sperare, a essere in tanti, di riuscire in qualche modo a far recedere dai suoi intenti mortiferi chi tira le fila del gioco?

 

Gridare così forte che una qualche eco delle nostre richieste arrivi anche nelle più appartate stanze del Palazzo?

Siamo così uniti e numerosi da poter pensare di riuscirci?

O non siamo piuttosto una delle tante componenti di una società atomizzata, che il Potere, dal sessantotto in poi, attraverso una strategia mirata, ha progressivamente reso incapace di coagularsi intorno a ideali comuni di ampio respiro, assoggettandoci tutti al vizio della cupidigia consumistica (esisto solo io e me ne frego degli altri…)?

Siamo o non siamo per lo più anziani, nostalgici di tempi in cui la tensione sociale si riversava nelle piazze e si manifestava nell’illusione di avere una chance per togliere il marcio dal mondo?

Siamo inguaribili ottimisti, spinti dalla necessità di provarci sempre e comunque, o temerari ignari dei meccanismi di funzionamento del potere? 

Abbiamo davvero fatti nostri i seguenti assunti, cioè che:

  • la perdita della sovranità monetaria equivale allo svuotamento di potere del parlamento eletto, in pratica relegato a decidere solo su questioni che non comportino maggiori spese di quelle consentite da organismi finanziari sovranazionali? 
  • il teatrino delle elezioni è solo fumo negli occhi per farci credere che ancora una qualche forma di democrazia rappresentativa sussista? 
  • i concetti di destra e di sinistra sono solo vuoti simulacri a ricordo di un passato che non c’è più, nell’attuale intercambiabilità dei ruoli all’interno di un copione già dato? 
  • chi non batte moneta contrae debito e diventa ricattabile? 
  • il ricatto sul debito porterà all’esproprio della ricchezza economica nazionale (risparmi privati, beni industriali e patrimonio artistico)? 
  • lo scenario di guerra attuale è uno degli strumenti messi in campo per causare il nostro tracollo, dopo il blocco pandemico e lo stop alla fornitura dei microchips? 
  • le crisi servono al sistema per impedire una distribuzione della ricchezza più equa tra capitale e lavoro, comprimendo ancor più i salari? 
  • il processo di accumulazione capitalistica procede inesorabile asservendo i sempre più ai sempre meno, secondo la logica del profitto, vale a dire la tua perdita è il mio guadagno (siamo gli uni contro gli altri armati)? 
  • la guerra è ineliminabile dal sistema capitalistico perché il capitalismo è guerra e distruzione? 
  • in particolare ora, il capitalismo si caratterizza per la sorveglianza digitale delle masse, a fini di controllo, manipolazione e repressione? 
  • gli strumenti di comunicazione che il capitalismo ci fornisce e che noi usiamo per contrastare la guerra sono gli stessi che vengono adoperati contro di noi per ostacolare la nostra opposizione?…

 

Andare a manifestare senza una analisi disincantata della situazione non si riduce, allora, a un gesto emotivo fine a se stesso, al romantico appagamento del proprio (giustissimo) sentire profondo, al dare in qualche modo una risposta all’urgente necessità di «fare comunque qualcosa» per la pace e contro la guerra?

Un tentativo disperato di uscire dall’angolo di impotenza in cui siamo stati sospinti e rinchiusi fino a nuovo ordine?

Che fare dunque?

Restare in attesa del fungo atomico nascosti in un bunker sotterraneo?

Vivere fatalisticamente alla giornata, sperando che tutto si risolva per il meglio?

Mantenersi aggiornati sulla situazione geopolitica e acquisire una competenza di base in macroeconomia oppure disinteressarsi della materia perché troppo astrusa e, in fin dei conti, lontana dal risolvere il problema di far quadrare i bilanci domestici?


Inserire questa, come tutte le crisi precedenti, all’interno di un percorso esperienziale che porti l’umanità (o parte di essa) a un risveglio cosciente, una consapevolezza matura, un «salto quantico» a livello spirituale?

Confidare nell’esistenza di una vita oltre la vita, in una dimensione di beatitudine luminosa dopo la morte fisica, che soppianti le brutture e le miserie del mondo, come ci testimoniano tutti i racconti delle persone che hanno vissuto la così detta near death experience (NDE)?

Acquisire di conseguenza una capacità di resistere nuova, ancorata nel profondo della propria anima, attingendo a risorse interiori che nessun demoniaco servo del capitalismo potrà conculcare?

E, quindi, concludere sulla sostanziale equivalenza tra l’andare e il non andare alla marcia per la pace, perché l’importante è il risveglio del cuore, a partire da una radicata ricerca di senso, cioè di una risposta che metta a tacere le nostre (sacrosante) paure e riporti la dualità del dubbio all’unicità dell’amore?

In hoc signo vinces.

Potremmo confrontarci su questo, no?

Il narratore minorante

In alto: la famosissima foto di Marc Riboud scattata alla marcia della pace di Washington nel 1967

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