Il sonnambulismo europeo va verso l’anarchia

Screenshot 2022 09 26 At 10.29.03

Le sanzioni UE stanno paralizzando la classe operaia dei Paesi che ne fanno parte.

Tutti gli occhi sono puntati sui risultati delle elezioni italiane di questa mattina, ma l’Europa ha per le mani problemi ben più gravi della prospettiva di un governo di destra. L’inverno sta arrivando e le conseguenze catastrofiche della crisi energetica autoimposta dall’Europa si fanno già sentire in tutto il continente.

Mentre i politici continuano a escogitare piani irrealistici per il razionamento dell’energia, la realtà è che l’impennata dei prezzi dell’energia e il calo della domanda hanno già indotto decine di impianti in una vasta gamma di industrie ad alta intensità energetica – vetro, acciaio, alluminio, zinco, fertilizzanti, prodotti chimici – a ridurre la produzione o a chiudere, causando il licenziamento di migliaia di lavoratori. Persino il New York Times, favorevole alla guerra, è stato recentemente costretto a riconoscere l’impatto “paralizzante” che le sanzioni di Bruxelles stanno avendo sull’industria e sulla classe operaia in Europa.

“Gli alti prezzi dell’energia stanno colpendo l’industria europea, costringendo le fabbriche a tagliare rapidamente la produzione e a mettere in cassa integrazione decine di migliaia di dipendenti”,

ha riportato il quotidiano.

I tagli alla produzione di zinco, alluminio e silicio (che ammontano a un impressionante 50% della produzione) hanno già lasciato i consumatori dell’industria siderurgica, automobilistica ed edile europea alle prese con gravi carenze, che vengono compensate dalle spedizioni dalla Cina e da altri paesi. Nel frattempo, le acciaierie in Spagna, Italia, Francia, Germania e altri Paesi – più di due dozzine in totale – stanno iniziando a rallentare o a interrompere del tutto la loro produzione.


L’industria dei fertilizzanti, che dipende fortemente dal gas come materia prima chiave e come fonte di energia, si trova in difficoltà ancora maggiori. Più di due terzi della produzione – circa 30 impianti – sono già stati fermati. L’azienda chimica tedesca BASF ha temporaneamente chiuso 80 impianti in tutto il mondo e sta rallentando la produzione in altri 100, mentre prevede ulteriori tagli alla produzione a seconda dell’andamento dei prezzi del gas. A peggiorare le cose, le sanzioni dell’UE hanno anche limitato le importazioni di fertilizzanti russi.

La diminuzione delle forniture di fertilizzanti sta avendo un drammatico effetto a catena sugli agricoltori europei, che sono costretti a ridurre l’uso del prodotto chiave. Ciò significa prezzi più alti per una produzione inferiore e le conseguenze sono destinate a farsi sentire ben oltre i confini europei, innescando potenzialmente una carenza alimentare globale.

Ma la carenza di fertilizzanti non è l’unico problema che gli agricoltori europei devono affrontare. In tutta l’Europa settentrionale e occidentale, i produttori di ortaggi stanno pensando di sospendere le loro attività a causa dei costi energetici paralizzanti – in alcuni casi dieci volte superiori a quelli del 2021 – necessari per riscaldare le serre durante l’inverno e mantenere i raccolti in frigorifero, oltre ai crescenti costi di trasporto e imballaggio. Il gruppo industriale delle serre Glastuinbouw Nederland afferma che fino al 40% dei suoi 3.000 membri si trova in difficoltà finanziarie. Ciò minaccia ulteriormente le forniture alimentari e porterà sicuramente a un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari che, insieme all’impennata delle bollette energetiche, rischia di portare milioni di europei alla povertà. In altre parole, la crisi energetica e del costo della vita sta per trasformarsi in una vera e propria crisi umanitaria.

Nel Regno Unito, si prevede che 45 milioni di persone si troveranno ad affrontare la povertà energetica entro il gennaio 2023; di conseguenza, “lo sviluppo di milioni di bambini sarà compromesso” con danni ai polmoni, stress tossico e un aumento delle disuguaglianze educative, dato che i bambini lottano per tenere il passo con il lavoro scolastico in case gelate. Gli esperti avvertono che si perderanno delle vite. Nel frattempo, nel distretto tedesco di Rheingau-Taunus, le autorità hanno effettuato una simulazione di cosa significherebbe per loro un simile blackout e i risultati sono scioccanti: più di 400 persone morirebbero nelle prime 96 ore. E questo in un distretto di appena 190.000 abitanti.

Ora, questi numeri potrebbero essere sovrastimati, ma il governo locale non può permettersi di ignorarli. Infatti, Gerd Landsberg, direttore generale dell’Associazione tedesca delle città e dei comuni, ha esortato i residenti a fare scorte di acqua e cibo per 14 giorni. Landsberg afferma che la Germania non è “in alcun modo” preparata ad affrontare un simile scenario.

Ciò che è importante capire è che non si tratta di una crisi temporanea per la quale è sufficiente stringere i denti durante l’inverno, dopo il quale le cose torneranno alla normalità. La realtà, come ha chiarito di recente l’amministratore delegato di Shell, è che se i governi europei insistono nel disaccoppiare l’Europa dalle forniture russe, il continente dovrà affrontare una carenza di gas “che potrebbe durare diversi inverni”. È un’amara verità, ma semplicemente non esiste un’alternativa a breve termine al gas russo. La Commissione europea prevede infatti che i prezzi del gas e dell’elettricità “rimarranno elevati e volatili almeno fino al 2023”.

Per dirla in parole povere, se continua sulla sua strada, l’Europa si aspetta anni di contrazione economica, inflazione, deindustrializzazione, declino del tenore di vita, impoverimento di massa e scarsità – e questo senza considerare la terrificante prospettiva di un vero e proprio confronto militare con la Russia. Come si può pensare che l’Europa possa sopravvivere a tutto questo senza precipitare nell’anarchia?

La follia della situazione diventa ancora più evidente se consideriamo che, nel tentativo di ridurre la sua dipendenza dal gas russo, l’UE sta aumentando la sua dipendenza dalle forniture di Paesi come la Cina e l’India che, a quanto pare, non fanno altro che rivendere all’Europa il gas proveniente… dalla Russia (a un prezzo più alto, ovviamente). Se non fosse in gioco la vita delle persone, tutto questo sembrerebbe uno scherzo di cattivo gusto.

 

 

È davvero un segno della debolezza dei politici europei il fatto che, nonostante il precipizio che si sta avvicinando, nessuno riesca a dichiarare l’ovvio: le sanzioni devono finire. Non c’è alcuna giustificazione morale per distruggere i mezzi di sostentamento di milioni di europei solo per dare una lezione a Putin, anche se le sanzioni contribuissero a raggiungere questo obiettivo, cosa che chiaramente non è.

E così, in modo piuttosto deprimente, l’unica voce della ragione sembra essere quella del primo ministro ungherese, Victor Orbán. Per settimane lui e altri membri del suo governo hanno lanciato l’allarme sulla calamità economica che l’Europa sta affrontando. “I tentativi di indebolire la Russia non hanno avuto successo”, ha dichiarato di recente. “Al contrario, è l’Europa che potrebbe essere messa in ginocchio da un’inflazione brutale e dalla carenza di energia dovuta alle sanzioni”. Questa è una dichiarazione di fatto, non un’opinione.

Ma nessuno sembra voler ascoltare.

In risposta, i tecnocrati di Bruxelles si stanno dimostrando altrettanto insensati dei leader nazionali. Non solo l’approccio aggressivo dell’UE nei confronti della Russia è una delle cause principali della crisi attuale, ma la sua leadership continua a gettare benzina sul fuoco. Proprio questo mese, Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha dichiarato che “la strategia contro la Russia sta funzionando e deve continuare” – e ha promesso nuove sanzioni.

Ancora peggio, l’UE non sta nemmeno facendo qualcosa per contribuire ad attutire gli effetti della crisi che ha contribuito a creare. Dopo aver abbandonato la ridicola proposta di fissare un tetto solo al prezzo del gas russo – che avrebbe portato al taglio immediato di quest’ultimo – Bruxelles sta ora studiando un tetto a tutte le importazioni di gas, che persino il Ministro di Stato tedesco per l’Europa ha avvertito potrebbe portare a gravi carenze.

La proposta non tiene inoltre conto di un fatto fondamentale: non sono gli esportatori di energia a far lievitare il prezzo del gas; quest’ultimo oggi è legato al prezzo a cui il gas viene scambiato sui mercati virtuali come il TTF di Amsterdam, dove gli speculatori hanno fatto salire i prezzi per mesi, realizzando enormi profitti. Inoltre, nell’attuale mercato liberalizzato, che si basa sui cosiddetti prezzi a costo marginale, il prezzo finale dell’energia elettrica è fissato dal combustibile più costoso necessario per soddisfare tutte le richieste – in questo caso il gas. Ciò significa che, con l’aumento dei prezzi del gas, aumenta anche l’elettricità, anche se fonti pulite e più economiche contribuiscono al mix totale.

Quindi, se l’UE volesse affrontare seriamente il problema dei prezzi dell’energia, dovrebbe sganciare il prezzo del gas dai mercati commerciali speculativi e rivedere il sistema di determinazione del costo marginale. Ma questo andrebbe contro l’ideologia di fondo dei tecnocrati europei: l’idea che i prezzi debbano essere fissati dai mercati. In effetti, l’UE è stata tra i più accaniti sostenitori, contro il parere di Putin, del passaggio da accordi sul gas a lungo termine e a prezzo fisso a un sistema in cui il prezzo è fissato da mercati commerciali virtuali.

Data l’improbabilità di una riforma radicale, cosa farà Bruxelles? Con ogni probabilità, si accontenterà di soluzioni poco credibili – come un tetto ai ricavi in eccesso delle centrali elettriche non a gas e una tassa sui profitti in eccesso – e di ciò che sa fare meglio: l’austerità. Nel frattempo, la BCE, invece di annunciare un nuovo ciclo di acquisti di obbligazioni per fornire ai governi la liquidità necessaria ad ammortizzare i cittadini e le imprese dall’impennata dei prezzi del gas e dell’energia, ha iniziato a ridurre i suoi programmi di quantitative easing e ha aumentato i tassi di interesse, facendo sì che lo spread tra i titoli di Stato decennali emessi dall’Italia e dalla Germania salisse ai livelli più alti dall’inizio della pandemia. Questo potrebbe facilmente far precipitare una nuova crisi del debito, che è l’ultima cosa di cui l’Europa ha bisogno.

Senza il sostegno delle banche centrali, i governi dell’UE sono stati sostanzialmente abbandonati a se stessi. Ancora una volta ci viene ricordato cosa significa per i Paesi dell’euro aver rinunciato al potere di emettere la propria moneta; non è un caso che il Regno Unito da solo abbia stanziato più del 50% di quanto accantonato dall’UE nel suo complesso.

Questo sta già portando a politiche di “beggar-thy-neighbour”[Scaricare sui vicini le proprie difficoltà NdT] : i Paesi, come la Germania, che possono fare affidamento sui mercati finanziari per raccogliere il denaro necessario ad aiutare i cittadini e le imprese, e a nazionalizzare o salvare le aziende energetiche in difficoltà, inevitabilmente supereranno i Paesi più deboli che stanno già affrontando lo stress dei mercati obbligazionari, come l’Italia. In realtà, questo sta già iniziando ad accadere, dato che sempre più Paesi si impegnano in quello che può essere descritto solo come protezionismo energetico.

In teoria, la sicurezza del gas in Europa ubbidisce ad un regolamento adottato nel 2017, che rende obbligatoria la solidarietà tra i Paesi europei. Ma i Paesi dell’UE non sempre osservano queste regole quando si trovano di fronte a una crisi di approvvigionamento. Così, ad esempio, il quotidiano italiano la Repubblica ha recentemente riportato che l’Italia ha ricevuto una notifica scritta da parte della società di servizi francese EDF, controllata dallo Stato, in merito a un potenziale blocco di due anni delle esportazioni di energia elettrica nell’ambito dei piani di risparmio energetico della Francia. Un portavoce del Ministero della Transizione Ecologica italiano ha poi confermato la notizia del quotidiano, sebbene sia stata smentita da EDF. Analogamente, Croazia e Ungheria hanno entrambe annunciato l’intenzione di attuare misure per limitare le esportazioni di gas naturale verso i Paesi limitrofi. Mentre la Norvegia, che ha soppiantato la Russia come principale fonte di gas dell’UE, realizzando profitti giganteschi grazie all’aumento dei prezzi del gas, si è rifiutata di sostenere un tetto ai prezzi delle sue esportazioni di gas.

Tuttavia, se lamentarsi di questa “mancanza di solidarietà” tra gli Stati europei è facile, è anche ingenuo. Dopotutto, è semplicemente così che funziona il capitalismo. Per quanto si parli di “capitalismo globale”, le singole nazioni – o meglio, le rispettive élite capitalistiche – sono ancora in competizione tra loro. Mentre le classi dirigenti dei singoli Paesi sono più che felici di collaborare per perseguire gli interessi del capitale in generale a spese dei lavoratori – basti pensare all’Unione Europea – i loro interessi concorrenti riemergono inevitabilmente in tempi di crisi.

L’UE, infatti, lungi dall’incoraggiare la solidarietà tra i Paesi, rende la competizione intercapitalistica ancora più feroce, privando i Paesi degli strumenti economici di base necessari per affrontare gli shock esterni.

Non importa se il continente stia vivendo un crollo finanziario, una pandemia globale o una carenza energetica. In Europa, le politiche di accattonaggio non sono un’eccezione alla regola, ma la regola.

Thomas Fazi

Tradotto dall’inglese da Piero Cammerinesi per LiberoPensare

Fonte

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo!

Facebook
Pinterest
Twitter
Email
Telegram
WhatsApp

Ti potrebbero interessare:

en_US

LOGIN

You are just logged in