Conoscenza e Bellezza

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di Fabio Antonio Calò
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La vicenda del pugile algerino e gli scontri sui social scaturiti dal suo partecipare alle olimpiadi fa pensare.
Il problema non è tanto che ognuno abbia la sua rappresentazione di cosa sia una donna o di quale debba essere la definizione di “donna”, perciò che abbia una visione al contempo materialista e astratta di un essere umano.
Il problema è non cogliere che ognuno abbia la propria rappresentazione soggettiva della realtà e delle parole che la descrivono, e pertanto che ognuno dia alle parole e alle cose significati diversi in base alla propria coscienza della realtà.
Ma il problema ancora più in alto è che non cogliamo di non essere in grado di comprenderci l’un l’altro a meno di fare tutti un passo indietro, silenziarci, morire a noi stessi, alle nostre credenze, al nostro mondo rappresentativo.
In questo passo indietro consiste l’epistemologia dell’esperienza.

Cosa vuol dire, infatti, “esperire”?

Significa “ex perire”, morire a se stessi, alle proprie convinzioni, ai propri pensieri astratti sulle cose: non credere a nulla, nemmeno alle parole dei Maestri.
Svuotare, silenziare, ricominciare da capo, dal fenomeno nudo, per credere solo alla continua esperienza, al continuo morire a se stessi e ogni volta ricominciare ad osservare il mondo con amore e attenzione creativa.
Per decidere in autonomia cosa è giusto o sbagliato, bene o male, per sé.
Sapendo di essere completamente soli nella propria “esperienza”, nel proprio “morire per rinascere”, perciò sapendo che nessuno può comprenderci in quanto non fa quella nostra stessa esperienza.

A meno che non ci ami.

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Quando ci amiamo, moriamo l’uno nell’altro, sperimentiamo l’uno l’esperienza dell’altro, parliamo da cuore a cuore e conosciamo il significato delle cose che fa o che dice l’altro.
Se non amiamo, non siamo dentro l’altro, non siamo l’altro, lo giudichiamo utilizzando noi stessi come metro di misura, valutiamo come corretti i suoi schemi mentali nella misura in cui coincidano con i nostri.
Se sono differenti, li vediamo come sbagliati e pericolosi in quanto percepiamo sia lo stimolo interiore a sperimentarli eliminando i nostri schemi e sia lo stimolo opposto ad estinguerli, correggerli, omologarli ai nostri schemi.

La conoscenza consiste nell’esperienza e l’esperienza consiste nell’auto-silenziamento, nel morire alle proprie rappresentazioni, alle proprie credenze per formarne continuamente di nuove.
E solo nel silenzio si può osservare l’altro, fornirgli una base amorevole su cui poggiare il suo processo di pensiero e al contempo cercare le note giuste, quelle con cui poter suonare insieme, poter comunicare.
Se voglio comunicare con lui, devo prima capire se l’altro può sentire la mia musica, percepire il tono del mio pensiero, altrimenti sarà sempre uno scontro anziché un confronto, in cui entrambi perderemo tempo, energia, bellezza.

L’arte è la massima comunicazione, perché utilizza il linguaggio simbolico universale e arriva diretta al cuore, all’organo di senso intuitivo.
Attraverso le parole, invece, ci scontriamo perché ognuno dà ad esse significati diversi: ma il problema è che solo attraverso la relazione si possono dare significati oggettivi alle parole. Perciò più ci scontriamo, più imponiamo agli altri le nostre visioni delle cose e meno ci avviciniamo ai loro significati essenziali.
Se invece silenziamo i nostri modelli rappresentativi, se accogliamo i significati e le visioni altrui, se apriamo il cuore al modo di pensare e di esperire dell’altro, allora potremo comprenderlo e, facendolo, accorgerci che c’è un linguaggio universale che è a fondamento di tutte le cose, una forza che ha creato il mondo e noi stessi e che è il contenuto oggettivo, l’essenza dell’universo.
Una forza che ognuno di noi ha latente nel cuore ed è la chiave della conoscenza oggettiva: il Cristo.

Immagine di copertina: particolare di L’eterno femminino, Paul Cézanne, 1877 

 


  Fabio Antonio Calò è un musicista e ricercatore spirituale indipendente

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