Birmania: colpo di stato tra globalismo ed integralismo islamico

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Colpo di Stato militare in Myanmar, deposti Aung San Suu Kyi ed il Presidente Win Mynt, agli arresti domiciliari con accuse ridicole, da ciò manifestazioni nell’intero paese di un popolo con visione messianica di Daw Suu, elevata al rango di semidivinità. Forse avrebbe addolcito la comunque amara pillola limitarsi a dichiarare i veri motivi, condivisi dalla stragrande maggioranza della popolazione dell’ex Birmania. 

Mi è doverosa una premessa.
La prima volta che misi piede nella Terra delle Pagode Dorate era il 1987, in totale ci sono andato quasi quaranta volte, trascorrendovi in diverse occasioni anche un mese di fila.
A prescindere da razze, etnie e religioni professate, ho amici di comprovata affidabilità, che da sempre mi aggiornano su questioni personali ed eventi sociopolitici. The land of Dhamma è una terra, un popolo, una cultura che mi ha dato molto, con cui sento forte affinità, che ha visto la meditazione Vipassana sopravvivere, nella forma più pura, indenne alle intemperie sociali, alla corrosione-corruzione dell’evoluzione umana. 

Le vere motivazioni nelle due righe, inoltratemi da una fonte con ruolo di rilievo nelle istituzioni: “Daw Suu non era in grado di gestire ICC, ICJ ed ASEAN, che vogliono farci accogliere i bengali”. Il termine bengali, non dispregiativo, privo di connotati religiosi, nel subcontinente indiano da sempre indica popolo e tradizioni bengalesi. Nel Myanmar per bengali si intendono i bangladeshi musulmani che i media internazionali erroneamente definiscono “birmani d’etnia rohingia e di fede musulmana nativi del Rakhine”. Ubicato al confine col Bangladesh, il Rakhine, è la terra dell’etnia arakan (buddisti). 

In entrambe le nazioni vi sono enormi campi profughi che ospitano un numero imprecisato di persone in attesa di collocazione, 600.000 a detta di ONG e di chi è preposto all’assistenza, ma tendono ad eccedere in modo spropositato per impietosire maggiori finanziamenti internazionali. La stessa Aung San Suu Kyi ebbe dure parole verso ONG ed organismi di istituzioni quali UNHCR (Alto Commissariato Nazioni Unite per i Rifugiati) che a Yangoon godono di pessima fama. 

Nella foto Aung San Suu Kyi  con i due Soros, padre e figlio. 

Il Myanmar ne disconosce le origini; seppur nati o cresciuti o braccianti stagionali, per chi non ha acquisito cittadinanza permane lo status di clandestino. Anche il Bangladesh li rifiuta, di fatto per due motivi: la soffocante densità di popolazione, 1106 abitanti per km quadrato, contro i 76 del Myanmar, che ha quasi cinquantacinque milioni d’abitanti, contro gli oltre centosessanta del Bangladesh, oltretutto racchiusi in un territorio che è un terzo del territorio birmano. Inoltre, motivo sottaciuto, fondamentalismo ed aggressività che li caratterizza, dovuti all’indottrinamento in moschee e madrasse finanziate da petrodollari wahabiti. Da ciò la tendenza a considerare buddisti, hindu, cristiani ma anche gli sciiti, kuffar (infedeli) da trattare come tali. Ancor peggio per i coraggiosi liberi pensatori sunniti che perorano quello che all’occhio integralista è un eresia: vivere in armonia rispettando chi professa una fede differente. 

In ogni caso, in seguito al golpe, i due Paesi hanno sospeso i colloqui per i ricollocamenti. L’ASEAN, organizzazione tra Paesi del Sud Est Asiatico equiparabile alla Comunità Europea, minaccia pesantissime sanzioni qualora la Birmania non li accolga. ICC (Corte Criminale Internazionale) e ICJ (Corte di Giustizia Internazionale) massimi organismi giudiziari planetari, hanno aperto fascicoli sull’operato dei vertici di Yangoon. Il sistema giudiziario internazionale è caratterizzato da numerosi magistrati d’ideologia globalista, l’equivalente delle Toghe Arcobaleno che in Italia ed Europa avvallano accoglienza, debordando, con sentenze dai connotati politici. A confonderli, le menzogne dei media, che confondono tutti, partendo dalle Istituzioni internazionali in cui sono attivi, lautamente pagati, funzionari di ideologia globalista ma anche islamisti in sonno, de facto esponenti dei Fratelli Musulmani con sede in Qatar. Quello dei FM (in arabo ihkwan) è movimento politico-religioso attivo in tutto il pianeta, al solito sotto mentite spoglie poiché considerati organizzazione terroristica in molte nazioni, in primis l’Egitto, col Presidente El Sisi loro ferreo nemico.  


Curiosamente i media non raccontano del gas presente nei mari del Rakhine: poter controllare la terra degli arakan significa poter controllare il mare, ergo un giacimento di primaria importanza che fa gola a tutti, col Qatar terzo Paese produttore di gas. 

Nella lista dei cattivi Amnesty International: nel 2016 il direttivo inglese affidò la gestione di media e comunicazione ad Osama Saeed Bhutta, proveniente dalla rete televisiva internazionale Al Jazeera megafono wahabita, fondata in Qatar nel 1996 per volontà dell’Emiro. Lo stesso Bhutta, nato in Scozia, già membro del SIF (Scottish Islamic Foundation) espresse apprezzamento per Youssef Qaradawi, leader dei FM. Nel direttivo anche Jasmine Hussein, donna velata, moglie di Wael Musabbeh, attivista Hamas e direttore dell’ONG  “Human Relief Foundation”. Come evidenziato da eccellenti servizi a firma Andrew Norfolk, usciti nel 2015 su The Times, ma ignorati dai restanti media. 

Al contempo Amnesty è finita sotto indagine per finanziamenti da parte di George Soros. 

Molteplici analogie con gli eventi del Vecchio Continente evidenziano una pianificata strategia globale: infatti, come da accuse del parlamentare FDI Andrea Delmastro, membro della Commissione Esteri, di recente Laura Boldrini, per 13 anni portavoce UNHCR, indicava CEDU (Corte Europea Diritti Umani) Corte Penale Internazionale in una proposta di legge con postille trappola, finalizzata a far approvare normative che favoriscono l’arrivo di migranti. A conferma del trend, Matteo Salvini è sotto processo per aver difeso, da Ministro, i confini nazionali, analogo rischio incombe su Aung San Suu Kyi e vertici del Myanmar. E’ opinione diffusa tra buddisti, hindu, cristiani e sciiti che l’accoglienza incrementerebbe i già pesanti conflitti con la comunità sunnita, mentre tra gli sciiti cresce la preoccupazione di finire tra incudine e martello. Accogliere  equivarrebbe all’inizio della fine della Birmania buddista, al primo passo del percorso verso l’Islamic Republic of Birmanistan perché fungerebbe da apripista a milioni di altri bengali, come auspicato dalle organizzazioni islamiste.

ETNIA ROHINGIA, CONCEPITA SULLA CARTA GEOGRAFICA PER SOTTOMETTERE LA BIRMANIA BUDDISTA

L’ex Birmania occupa posizione di primaria importanza sullo scacchiere geopolitico internazionale, in quanto racchiusa tra India e Cina. Si aggiungono due fattori: il gas del Rakhine ed in parallelo, forse ancor più importante, nell’oniria islamista è terra da conquistare, l’anello che congiunge Bangladesh e Malesia.
L’etnia rohingia non è mai esistita, mai menzionata in documenti e libri del periodo coloniale, infatti non è indicata nel registro delle etnie (che prescinde dal credo religioso) in totale 135, a margine indiani, pakistani e bengali, registro inclusivo di musulmani quali i kamen, poche migliaia di tradizione sciita, ubicati soprattutto nel Rakhine, ed i panthey, origine cinese, qualche migliaio sparsi ovunque sia possibile far business. Il neologismo risale a circa cinquant’anni addietro, banale l’etimo, in lingua Rakhine: rohang + dza (villaggio + persona) grossomodo “persona di villaggio” coniato o comunque diffuso da un accademico birmano, musulmano originario del Bengala indiano, trasferitosi in Arabia Saudita in quanto nominato membro OIC (Organization Islamic Countries) che fornisce assistenza economica al mondo sunnita, in un contesto che prevedeva l’islamizzazione planetaria sfruttando l’arma demografica, nel caso l’elevatissimo tasso di natalità dei bengali. 

I rohingia vennero concepiti per conferire artato radicamento alla terra buddista, per poterla conquistare raggirando il Corano che consente guerra e combattimento solo per legittima difesa, mai per ledere diritti altrui, tantomeno per appropriarsi della terra altrui.
Facendola apparire terra musulmana può essere difesa ingannando musulmani ignari della realtà
.
Tutto studiato incredibilmente bene, al pari della storiella di naufragi in acque italiane e migranti sfuggiti ai torturatori libici, da accogliere in rispetto all’orientamento giuridico internazionale.    

PETROLDOLLARI E SOROS DIETRO A MENZOGNE ED IMBARAZZANTI OMISSIONI DEI MEDIA 

Aung San Suu Kyi, da indomita pacifista che si batteva per i diritti del proprio popolo, come ritratta durante i quindici anni trascorsi ai domiciliari, divenne persona crudele, senza cuore, poiché non offriva accoglienza ai rohingia, ma ora è stata riposizionata sul piedistallo, tornata vittima dell’esercito, con le presstitutes tornate a lucidarne la statua per evidenziare le proteste di piazza dopo il golpe.

Il popolo, abbagliato dallo splendore della sua figura, non ha recepito l’evolversi degli eventi, ovvero che è finita nel tranello teso da globalisti, Soros ed islamisti. Popolo accecato anche da risentimento verso i militari, in cui nessuno ha la minima fiducia: a decorrere da quando nel 1962 presero potere, inseguendo la via birmana al socialismo, commisero errori su errori, oltre ad usurpazioni, violenze e costante arricchirsi alle spalle di chi viveva di stenti. 

I media internazionali non hanno narrato i motivi che hanno indotto il Tatmadaw, l’esercito, a destituirla per evitare di far affiorare la vergognosa e strumentale disinformazione attuata da quasi vent’anni circa gli eventi del Rakhine. Il ruolo dei media è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi da parte di chi, con perfida estrema intelligenza ha pianificato strategie globali imperniate su spostamento di masse umane ed inganno. Tutto davvero difficile da credere, certo, ma chi avrebbe mai immaginato che le presstitutes sarebbero arrivate ad ignorare l’incredibile frode elettorale che in America ha portato alla Casa Bianca Joe Biden? Nauseante ipocrisia il suo commento:

“Inaccettabile che sia ribaltata la volontà del popolo birmano, espressa nel corso delle elezioni del 20 Novembre”.

Ma è vero che l’NLD ha stravinto le elezioni. 

A Chittagong, Bangladesh, sono attivi “Rohingia Media Center” e canale televisivo “Rohingia News” supportati da Al Jaazera ed ONG islamiste e globaliste che asseriscono di battersi per i “Diritti Umani”, un indotto che, assieme alla gestione dei “rohingia” occupa migliaia e migliaia di persone. Da ciò un fiume di falsità, divulgate  anche tramite Social, anche immettendone su Wikipedia: a prova una grossolana contraffazione Buthidaung – Wikipedia con altre rilevabili solo dagli addetti ai lavori.

Sintesi: il Qatar, terzo paese mondiale per produzione di gas, controlla Al Jazeera e media collegati, ospita e finanzia i Fratelli Musulmani, finanzia e controlla le moschee di Bangladesh e Myanmar nonché le ONG che gestiscono i profughi. Non bastasse, vi sono attivisti (in sonno) dei FM nel direttivo di Amnesty International e negli organismi istituzionali internazionali. 

ONG sporche di petrodollari tramite i media divulgano relazioni menzognere che ingannano tutti. E tutto finisce al vaglio di Giudici, spesso d’ideologia globalista, che valutano relazioni depositate da organizzazioni internazionali con funzionari di ideologia globalista a loro volta confusi da menzogne e mezze verità dei media globalisti, le presstitutes. 

Dunque Myanmar doppio obiettivo, facendo leva sui “Human rights”: farvi affluire masse di bengali e poter gestire l’immensa bolla di gas che c’ è nei mari del Rakhine, 

Ed ecco spiegata la sublime maestria con cui sono propinate frottole e mendaci ricostruzioni storiche, in cui cascano i giornalisti di passaggio, qualcuno in buonafede, altri meno, ammaliati dallo sventolio della bandiera dell’Human Rights, in parallelo cavallo di battaglia di ONG finanziate da George Soros, come la stessa Amnesty, incriminata in Irlanda. 

Brutto dirlo, ma parlano i fatti, da soluzione del problema le ONG sono diventate perno del problema.


Parlano di “Diritti dei Rohingia” ma nessuno menziona il diritto di arakan, di buddisti ed hindu, di vivere in pace nel Rakhine. Ecco il parallelo intreccio sorosiano, business ed ideologia, sfruttare le risorse naturali parlando di diritti umani promuovendo un mondo “no borders”, senza confini, ergo senza razze ed etnie, senza religioni (pur di famiglia ebrea si definisce ateo) senza radicamento culturale alla propria terra, senza la bellezza delle differenze culturali, etniche e razziali che rendono unica la Birmania. La triste prospettiva per l’umanità sono società prive di identità culturale, dunque deboli, pertanto facilmente assoggettabile al più becero potere finanziario, incarnato da Soros e simili. 

Poi diritti LGBT propinati da ONG e media che divulgano una pseudocultura, un modo di vita mai esistita nella storia dell’umanità, con sputi in faccia a chi chiede la tutela del modello di famiglia tradizionale, basato sulla “Legge della Natura”. Tutto ben diverso dal doveroso rispetto per le diversità di genere. 

E’ un serpente che si morde la coda: le ONG stanno in piedi grazie a donazioni di privati e finanziamenti governativi, ma ai bisognosi, manovrati ed aizzati un contro l’altro finiscono solo le briciole, visto che il grosso dei fondi è per mantenere struttura e stipendi degli impropriamente definiti volontari, per molti dei quali la fine di un conflitto equivale alla perdita del posto di lavoro. Divulgare falsità, oltre che agli obiettivi di islamisti e chi fa business ai massimi livelli è funzionale alla sussistenza delle stesse ONG. 

ATTACCO JIHADISTA, CRIMINI DI GUERRA ED ERRORI DELL’ESERCITO BIRMANO 

L’esercito si macchiò di efferatezze dopo che nel settembre 2017 gli affiliati ISIS dell’ARSA (Arakan Rohingya Salvation Army) con base in Bangladesh con cellule nel Rakhine, sfondarono i posti di confine massacrando le pattuglie. Poi venne il turno di villaggi buddisti e hindu, rasi al suolo, con inermi contadini, colpevoli di essere hindu e buddisti, massacrati con machete e kalashnikov. 

Spudoratamente, Amnesy e media corrosi da petrodollari accennarono a pochi morti buddisti durante uno scontro a fuoco con i rohingia. L’attacco, coordinato con bengali del Rakhine, si respirava nell’aria: da tempo gli scagnozzi di alcuni Imam aggredivano i sunniti che collaboravano con il governo o semplicemente non mandavano i propri figli nelle madrasse ma nelle scuole statali.   

Nei giorni antecedenti, in alcune moschee furono istituiti “Tribunali Islamici” che a scopo intimidatorio, per indurre la locale ummah (la comunità musulmana) a collaborare con i jihadisti,  condannarono a morte sunniti accusati di essere nemici dell’Islam, con esecuzioni immediate, in stile ISIS. Altri furono presi a legnate e le loro proprietà distrutte, con abitazioni date alle fiamme. Tutto nel pieno disinteresse delle istituzioni birmane che li considerava problemi tra bengali.

Media ed ONG che puzzano di petrodollari e finanziamenti sorosiani arrivarono a divulgare fotografie di persone decedute in roghi avvenuti in Africa, accusando di ogni nefandezza buddisti ed esercito birmano. 

Il Tatmadaw in separati teatri di guerra, ai confini con Cina e Tailandia, commise analoghi crimini verso minoranze etniche, ma ci fu scarsa attenzione, forse perché le vittime erano buddisti e cristiani. I soldati che pattugliavano i confini col Bangladesh per decenni accettarono mancette per chiudere un occhio sull’entrata di clandestini bengali, spronati (e finanziati) da alcuni Imam a recarsi in Birmania. Talvolta ufficiali (buddisti) del Tatmadaw si accordarono sottobanco coi responsabili delle organizzazioni islamiste, attive dietro il paravento degli “Human Rights” per trasportarli su camion militari nelle città, ad attenderli moschee e centri culturali sunniti. Per ogni viaggio migliaia di dollari agli Ufficiali coinvolti ed un paio di centoni all’autista. In sintesi la versione terrestre degli scafisti che fanno spola sulle sponde del Mediterraneo.    

Paradosso dei paradossi, nel 2010 in previsione delle prime elezioni libere, i geni della Giunta Militare avevano offerto cittadinanza a clandestini bengali che non ne avevano diritto, nella convinzione che votassero il loro partito, l’USDP, nella speranza di battere Daw Suu nelle urne. 

MYANMAR, CARTINA AL TORNASOLE DELLE DINAMICHE INTERRELIGIOSE

Il popolo birmano è notoriamente cordiale ed accogliente ma non “accoglione“, altresì ha senso di tutela di proprie tradizioni e cultura. Ancor prima del periodo coloniale, la Birmania hindu-buddista accolse cristiani cattolici e protestanti, cinesi, musulmani sunniti e sciiti, infatti vi sono templi e pagode, chiese e moschee. Nel cuore di Yangoon ci sono persino una sinagoga ed una Sala del Regno dei Testimoni di Geova.

Il melting pot ha sempre funzionato, talvolta dando vita a curiosi mix, come la famiglia di un mioamico d’etnia anglo-birmano-tamil ma cattolico praticante ed un pochino anche hindu, comunque rigorosamente vegetariano, morto di crepacuore a causa di conflitti con moglie e soprattutto suocero sunnita, per l’educazione della figlia, battezzata ed indirizzata al cattolicesimo. La convivenza tra buddhisti, hindu, cristiani e sciiti non ha mai evidenziato problemi di rilievo, che invece sussistono con i sunniti e che deflagrano nei matrimoni misti, stante il pretendere di assoggettare alle loro convinzioni religiose chi sposa un uomo od una donna appartenente alla loro comunità.

A margine chi prende in sposa, davanti all’Imam di turno, la seconda, anche la terza moglie, al solito con l’inganno, senza registrazione civile, essendo la poligamia reato. Così ingenue ragazze buddiste provenienti da famiglie disagiate cadono in trappola, attuata in svariate modalità, e contraggono nikah (matrimonio islamico) magari convinte di sposare un vedovo o uomo divorziato. La trappola scatta al concepimento del primo figlio, quando è tardi per tornarsene nella casa paterna.

Seconde e terze mogli vengono fatte passare agli occhi delle Istituzioni come poverette a cui all’insegna dell’humanity è stata offerta accoglienza. Al contempo tramite gli Imam vi sono sussidi destinati alle famiglie numerose, ma se la prole non frequenta la moschea, sussidi tagliati. Da ciò un crescente numero di uomini con lunghe barbe ed abbigliamento arabo, donne con chador e burka. Superfluo osservare che se la passano male, molto male, i liberi pensatori sunniti, emarginati, talvolta aggrediti da correligionari.

Se ne evince l’inaffidabilità delle statistiche sulle percentuali religiose giustappunto poiché in alcune zone i sunniti, a prescindere da origini (Bangladesh, Pakistan, India) fino a pochi anni addietro nei censimenti tendevano a non registrare donne e neonati. Comunque i musulmani corrispondono a circa il 15% dell’intera popolazione, di cui circa il 90% sunniti ed il resto sciiti ed ahmadi. Tornando al Rakhine, nel 1962 la città di Maungdaw aveva tra i 20.000 ed i 30.000 abitanti, di cui il 70-80% arakan, con i restanti di altre etnie. In seguito, stante l’afflusso di bengali, la popolazione ha raggiunto i 400.000 ed ora i musulmani corrispondono a circa il 90%. La presenza buddista è ridotta a militari e dipendenti governativi, poiché i civili buddisti, hindu, cristiani ed animisti abbandonarono il suolo nativo, messi alle strette da arrivo ed incremento numerico dei bengali.

Oltre all’avvelenamento religioso causato dal verbo safowahabita, i crudi numeri spiegano perché il Myanmar non può accogliere i bengali.

Mauro Mauri

* * *

Sento il dovere di ringraziare i miei preziosissimi ed insostituibili insegnanti di storia della Birmania: lo scomparso Oo Tha Za Maung e Haji Akber Hussein, il primo buddista ed il secondo musulmano. Entrambi di profonda cultura, persone rette capaci di ragionare con il cuore e la propria testa, senza farsi confondere da nessuno. Coetanei, pur non conoscendosi tra loro mi hanno presentato analisi identiche su passato e prospettive future di Rakhine e Birmania, rimarcando l’importanza di un educazione religiosa imperniata su tolleranza e reciproco rispetto, come indicato dal Sacro Corano e Scritture Sacre al Buddismo.
MM

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