di Fabio Antonio Calò
Un tempo la scienza cercava solo il “perché” delle cose e non guardava al “come”.
Credeva che il vivente fosse il “sistema dell’intenzionalità”, il regno delle cose create con uno scopo e che questo fosse la loro vera essenza: non vedeva il loro Concetto vivente ma presupponeva che un creatore le avesse create con un fine utilitaristico, perciò si poneva null’altro scopo che conoscere lo scopo, il perché, delle cose.
Non si occupava di ciò che una cosa È ma solo di ciò che HA, non delle sue “qualità” ma solo delle “proprietà”; senza accorgersi che il “come” contiene anche il “perché”, mentre il “perché” non contiene il “come”.
Un tempo ancor più remoto si credeva che il vivente fosse il risultato di quella “forza vitale”, di quella Luce che fa crescere le piante così come un pensiero puro, una composizione musicale, una poesia.
Non si indagava la Luce ma la si assumeva soltanto, senza entrare nella vita e nei processi creativi-eterici della natura organica. Si credeva che Dio crei le cose per uno scopo, che nell’ordine universale ogni cosa abbia un suo scopo predeterminato: io posso solo conoscere quello. La vita non va indagata; non devo e non posso entrare nella vita e conoscere le cause naturali, i processi creativi-eterici della natura organica
Processi che si pensavano prodotti di una forza vitale che disattende le leggi di natura, ritenendo di poter giungere a conoscere quella forza creativa ma non d’arrivare a crearla, a produrla in sé: quel che intuirà Goethe è invece che si può conoscere solo quella parte di natura organica che si è in grado di creare mediante il pensiero.
Perché quella forza vitale-eterica, quella che fa crescere la natura organica, è la stessa Luce che io utilizzo nel pensare puro: io posso conoscere il vivente solo se divento io stesso quella potenza creativa, vivificante. Solo la mia luce eterica può incontrare e riconoscere la luce eterica nel mondo. Perciò io la devo sviluppare, creare in me, perché la luce eterica nell’uomo è quella parte di natura organica che ha coscienza di sé.
Se per la scienza antica, le cose erano il prodotto di quell’etere aristotelico, la quinta essentia o quinto elemento, “conservatore del ricordo delle forme”, Anima del Mondo, Fuoco purissimo e Motore di tutte le cose, azoto alchemico e sintesi di mercurio e zolfo; se Cartesio ancora credeva nella forza di gravità come risultante dei vortici di etere, Bernoulli riteneva che la durezza di un corpo dipendesse dalla sua pressione eterica, Newton vedeva l’etere come un modello statico di fluidi alla base della legge di gravitazione universale nell’interazione dei moti planetari; se, all’inizio dell’Ottocento, ancora Young e Fresnel basavano la loro teoria “ondulatoria” della luce, in contrapposizione a quella “corpuscolare” di Newton, sull’etere come mezzo di propagazione della luce al pari dell’aria come mezzo di propagazione del suono (come il suono sarebbe l’oscillazione dell’aria, la luce sarebbe la vibrazione dell’etere); con Kant le cose prendono una svolta decisiva: la caduta dell’intelligenza cosmica acquista velocità e diventa “libera”!
Col pensiero di Kant, la scienza disconosce l’etere e smette d’intravedere la Vita, l’etere stesso, che pur intuisce, perciò commette un errore fatale: sovrapporre il sistema della natura inorganica sulla natura organica, considerando “vivente” un organismo soltanto per le sue funzioni (apparato digerente, locomotore, ecc). E allora utilizzare il metodo di conoscenza della natura inorganica per conoscere quella organica, cercando le leggi di natura inorganica nell’organico mediante processi indotti da fuori, senza scorgere che nel vivente è l’Essere della vita, il tipo, che si manifesta da dentro.
Nei virus, ad esempio, la scienza non sa riconoscere la vita, la forza vitale, poiché il virus non ha molti degli apparati propri del vivente, perciò non sa se ritenere il virus un organismo vivente, poiché, pur non scorgendovi una vita, è costretto ad ammettere gli effetti di ciò che solo il vivente può determinare. Nega la vita che percepisce ma ne ammette gli effetti innegabili: intendendo fermarsi ai soli concreti fenomeni/effetti fisici che percepisce, nega la possibilità di arrivare ai noumeni che non percepisce ma poi finisce a formulare teorie astratte su di essi, finendo dal realismo ingenuo delle cose alla metafisica.
Kant pone le basi della scienza “moderna”, assumendo che possano essere conosciute solo le cose in cui il particolare sia privo di Concetto e quindi riassumibile in un concetto astratto, etero-indotto.
Solo l’intelletto e il pensiero dialettico-discorsivo possono, per Kant, osservare il particolare e risalire all’universale, dedurne le leggi generali astratte, fisse, ripetibili, non viventi, non creative. Kant quindi, da un lato riconosce giustamente che negli organismi viva il Concetto, perciò che essi non siano penetrabili dall’intelletto morto, che non siano riassumibili in un concetto astratto: li vede incompiuti, tendenti a compiersi verso una finalità, a conformarsi alla propria essenza e a realizzare ciò che ritiene sia il loro Concetto, cioè la loro “tendenza allo scopo per cui sono stati creati“: lo scopo sarebbe in effetti proprio il riconoscimento da parte dell’umana coscienza e quindi la propria liberazione dalla necessità.
Dall’altro lato, l’errore, la contraddizione di Kant è presupporre che negli organismi non si possa affatto penetrare con la conoscenza, ovvero che l’uomo non abbia in sé una coscienza vitale, gli strumenti eterici per riconoscervi la vita.
Per Kant la conoscenza è possibile solo quando l’oggetto particolare ed il suo concetto universale-vivente siano separati, ovvero si può solo conoscere l’inorganico, laddove il concetto è completamente staccato, fuori dal suo oggetto. Nell’organico, il concetto è invece dentro l’oggetto. Per Kant, più un oggetto è dotato di sensi, di organi, più è organizzato, complesso e autocosciente, più è particolare, separato dal proprio universale. L’ente organico, secondo Kant, sarebbe “non pensabile”, non in grado di fornire il suo Concetto (requisito fondante per la conoscenza-esperienza pura, secondo Steiner), indi non conoscibile; così, Kant pone un grave limite alla conoscenza della natura organica, trattando gli organismi come un “sistema di intenzionalità”, cioè in cui ritiene si debba rivolgere l’interesse scientifico unicamente allo scopo per cui la natura li abbia creati.
Ritiene quindi che tale scopo impresso dal divino sia la loro essenza, e che il mondo organico sia un “sistema” di enti che hanno in comune quella loro essenza.
Da allora, un mondo occupato a scoprire solo l’utilità delle cose e perciò a creare solo cose “utili”, non poteva che riempirsi di cose inutili ed eliminare quelle che ritiene “inutili”, non “funzionali” a divenire buoni “funzionari”.
Così, via via il mondo si è persa la “funzione” superiore di quelle cose oggi ritenute inutili come l’arte, l’idea, la Bellezza, il pensiero, lo Spirito, la vita stessa. Ed i popoli più creativi ed intelligenti del pianeta, l’italiano ed il greco, diventano sempre più “utili” funzionari dei popoli anglofoni.
Così, anziché “l’arte come esperienza diretta di uno Spirituale che già È“, anziché “il Bello come l’apparizione del Vero”, la musica diviene solo il sottofondo di un pasto “stellato”, la pittura è un’operazione finanziaria, la poesia è una metafora senza profetica follia.
Un mondo che non si occupa del divenire non si accorge di ciò che diviene; rimane passivo ed inerte nell’osservare la propria decomposizione, al massimo impegnandosi a descriverne analiticamente i passaggi storici e attuali, ma completamente privo di alternative, di visione futura: non avendo coltivato l’intuizione, non avendo creato in sé la verità, sa tutto e non conosce niente.
Chi tenta di pensare, di conoscere, chi nutre il dubbio, è un bug, un glitch di un sistema in cui ogni cosa vale fintantoché funziona e funziona nella misura in cui si conforma.
Ciò che non si conforma, si deforma e va smaltito e sostituito velocemente; non c’è tempo per chiedersi come si sia deformato né tantomeno “difformato”, e certamente non per ripararlo, recuperarlo, ricrearlo.
Ma il rischio è che anche chi oggi si distacchi dal sistema, chi senta di dover cercare la Verità altrove, sia stato talmente “stampato in serie” che, nella sua struttura interiore, possa essersi talmente insinuata e radicata la “funzionalità” da non accorgersi di concentrarsi unicamente sulla “funzione” di un’ascesi e sull’efficacia nominale dei suoi dettami, sulle indicazioni immutabili di una Via che non dovrebbe mai ridursi in soluzioni meccaniche, azioni automatiche, “utili” attrezzi tecnici e svuotati di plasticità, di vivente amore creativo, di Presenza: senza avvedersi che la Verità che si cerca là fuori può soltanto essere CREATA DA DENTRO, come coscienza di realtà, mediante la coltivazione artistica di tutte quelle qualità animiche ormai sopite in quanto “improduttive”.
Ma allora c’è ancora una speranza? La speranza è un Essere che va nutrito.
La speranza è riscoprire Goethe.
Nei suoi primi lavori scientifici, Rudolf Steiner ci mostra come Goethe abbia scoperto l’essenza del vivente, il “tipo”, l’Essere che da dentro la natura organica tende a manifestarsi al di fuori. Goethe si oppone con forza al presupposto che il pensare umano non debba chiedersi donde provenga e come un essere vivente divenga, anziché soltanto il perché, la finalità esteriore, l’utilità di quell’essere. Rifiuta di vedere le cose come in sé conchiuse, si oppone all’imporre le leggi del mondo inorganico su quello organico, anziché studiare la vita secondo la natura della vita, mediante le forze vitali-eteriche stesse. Goethe capisce che il modello di osservazione è intrinseco alle cose osservate, è dentro le cose, perciò comprende che il pensiero debba adattarsi ad esse anziché adattare le cose a se stesso, imponendosi su di esse.
Per Goethe, lo scienziato deve essere artista! E l’artista deve essere scienziato: solo “chi ha scienza ed arte, ha anche la religione”, lo Spirituale: la Conoscenza. “Chi non ha né scienza né arte, abbia almeno la religione“.
Succederà. Non vi è dubbio che gli scienziati del futuro riscopriranno quel che Goethe scoprì, quell’Essere che, attraverso l’arte, tenta ovunque di manifestarsi all’uomo dall’interiorità del vivente.
Perché l’uomo che conosce le cose CREANDOLE, le libera dalla necessità, porta la Libertà nel cosmo: “compie l’atto più perfetto nell’universo”. Poiché non c’è alcuna evoluzione, alcuna libertà, senza conoscenza.
A noi sta la scelta se spegnerci lentamente osservando come sempre più l’orrido verrà considerato bello ed il bello visto come orrido. Oppure partecipare alla Risalita, alla riscoperta del Bello nell’informe, del sublime nell’orrido.
Scorgiamo la Luce ovunque: il Bello nell’immondo, il Giusto dietro l’azione indegna, il Bene superno dietro al Male del mondo.
“Il Bello è negli occhi di chi guarda”: “la Bellezza salverà il mondo!”.
Fabio Antonio Calò è un musicista compositore, progettista e produttore di componenti elettronici atti a registrare e riprodurre la musica secondo i principi ed i fini della Scienza dello Spirito. Manager del settore trasporto aereo e pilota professionista.