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In “Breve storia del futuro” l’economista e scrittore Jacques Attali predice cosa sarà del mondo nei prossimi cinquant’anni

Jacques Attali è un economista e intellettuale francese che nel 1981 è stato consigliere di François Mitterrand per le questioni economiche e nel 2007 è stato nominato da Nicolas Sarkozy presidente di una Commissione governativa incaricata di indicare le strategie per fare ripartire l’economia. Attali – che è nato nel 1943 in Algeria, figlio di un commerciante ebreo – è anche stato un grande banchiere internazionale, come presidente della Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo, istituzione costituita nel 1990 dai governi occidentali per accompagnare la transizione dei Paesi dell’ex blocco sovietico al libero mercato. Attali ha anche fondato società internazionali di consulenza su ingegneria, finanza, fusioni tra aziende e microcredito.

La sua attività di scrittore è molto ampia. Attali – che si pronuncia Attalì – ha pubblicato una cinquantina di libri su argomenti molto diversi: cannibalismo, musica, labirinti, amore, ebraismo, Gandhi, Marx, economia.
Breve storia del futuro è uno dei suoi libri più famosi.
È stato pubblicato per la prima volta nel 2007, prima che scoppiasse la crisi, ed è appena stato ripubblicato in una nuova edizione aggiornata. In Italia l’editore è Fazi.

Nel libro Attali ripercorre la storia del capitalismo e fa previsioni molto dettagliate, complete di date precise, su quello che attende l’umanità nei prossimi decenni. In particolare, Attali prevede cinque ondate che stanno per iniziare, anzi sarebbero già iniziate.
Cadrà l’Impero americano, il mondo moltiplicherà i suoi centri e svaniranno le istituzioni e gli organismi sovranazionali, subentrerà quello che Attali chiama l’”imperimpero”, il mercato vincerà sulla democrazia, il mondo sarà pieno di vecchi e tutto diventerà privato, scoppierà un “iperconflitto”, una specie di guerra mondiale tutti contro tutti dominata dalle macchine, ma finalmente – quando tutto sembrerà perduto – si entrerà nell’”iperdemocrazia” e il dominio dell’economia sulle persone apparirà barbaro come oggi il cannibalismo. Nonostante il futuro dipenda da mille variabili, Attali è convinto che si possa predire con buona approssimazione, anche temporale.

Nel brano qui sotto – che è una sintesi della prefazione alla nuova edizione – il futuro è raccontato nelle sue linee essenziali.


 

brevestoriadelfuturo

Intendo dunque raccontare qui la storia di questo futuro.

Impresa assurda, si dirà: tanti avvenimenti, tanti individui possono invertirne il corso. Per di più, se il motore della Storia è la conquista della libertà individuale, allora questa stessa finalità la rende imprevedibile perché milioni di capricci individuali possono sviarla.

Qualche esempio è sufficiente per convincersene.
Se nel 1799 il generale Bonaparte non avesse avuto un tale ascendente sui suoi contemporanei, la Rivoluzione francese avrebbe potuto immediatamente dar vita a una repubblica parlamentare, guadagnando così un secolo sulla Storia reale della Francia.
Se a Sarajevo, nel giugno del 1914, un assassino avesse mancato il suo bersaglio, la prima guerra mondiale non sarebbe scoppiata.
Se nel giugno del 1941 Hitler non avesse invaso l’Unione Sovietica, avrebbe potuto, come il generale Franco e Stalin, morire al potere e nel suo letto.
Se il Giappone, quello stesso anno, avesse attaccato l’Unione Sovietica invece degli Stati Uniti, questi forse non sarebbero entrati in guerra e non avrebbero liberato l’Europa, così come in seguito non hanno mai liberato né la Spagna, né la Polonia. Così, forse, la Francia, l’Italia e il resto dell’Europa sarebbero rimasti sotto il giogo hitleriano almeno fino alla fine degli anni Settanta.
Se, nell’ottobre del 1962, Kennedy e Chrušcëv avessero perso il loro sangue freddo, in seguito alla crisi dei missili a Cuba sarebbe avvenuto un olocausto nucleare.
Se, nel febbraio del 1984, il segretario generale del Partito Comunista Sovietico, Jurij Andropov, non fosse morto prematuramente, e se il successore del suo successore fosse stato, come era previsto, Grigorij Romanov invece di Michail Gorbacëv, l’Unione Sovietica probabilmente esisterebbe ancora.
Infine se, a partire dal 2000, le banche americane avessero esercitato una gestione finanziaria più prudente, nel 2007 non si sarebbe scatenata la grande crisi economica e finanziaria nella quale ci troviamo ancora.

È perciò assurdo tentare di prevedere il futuro, perché tutte le riflessioni in tal senso generalmente non sono che elucubrazioni sul presente (…)


Ancora oggi, la maggior parte dei racconti sull’avvenire non sono che estrapolazioni di tendenze già in atto. Sono rari quelli che rischiano previsioni discostanti, annunciano biforcazioni, capovolgimenti, cambiamenti di paradigma, soprattutto in materia di costumi, di cultura, di etica, di estetica e di ideologia. Meno ancora quelli che si azzardano ad anticipare le tensioni ideologiche che potrebbero rallentare o anche impedire queste profonde rotture.

E tuttavia, nonostante gli innumerevoli parametri che potranno intervenire nel corso dei prossimi cinquant’anni, tutto cambierà in molteplici direzioni del tutto possibili da delineare. Il futuro non impensabile.

Dopo averle evocate all’inizio di questa prefazione, ecco un breve riassunto di queste cinque ondate.

Tutto avrà inizio con uno sconvolgimento demografico.
Nel 2050, a meno di una catastrofe maggiore, la Terra sarà popolata da 9,2 miliardi di esseri umani, ossia 2 miliardi più di oggi. L’Africa conterà 2 miliardi di abitanti. Nei paesi più ricchi, la speranza di vita si avvicinerà al secolo e la natalità probabilmente stagnerà ancora intorno alla soglia minima di riproduzione. Di conseguenza, l’umanità invecchierà. In Cina si conteranno 1,38 miliardi di abitanti, 1,62 miliardi in India, 440 milioni in Nigeria, 200 in Bangladesh, 400 negli Stati Uniti, 73 in Francia, 72 in Germania e 120 in Russia. Due terzi del pianeta vivranno in città la cui popolazione sarà raddoppiata, così come dovrebbe raddoppiare la quantità di energia e di prodotti agricoli consumati. Anche il numero di persone in età da lavoro sarà raddoppiato e più dei due terzi dei bambini nati in quell’anno vivranno nei venti paesi più poveri.

E avranno luogo ben altri sconvolgimenti, impossibili da prevedere con sufficiente precisione: osservandola sul lungo periodo, la Storia fluisce effettivamente in un’unica direzione, caparbia, molto particolare, che nessuna scossa, per quanto prolungata, malgrado quanto ho detto prima, è riuscita fino a oggi a deviare in modo duraturo: di secolo in secolo, l’umanità ha imposto e imporrà il primato della libertà individuale su qualsiasi altro valore. Passando attraverso il progressivo rifiuto della rassegnazione di fronte a ogni forma di schiavitù, attraverso i progressi tecnici che permettono di ridurre ogni fatica, attraverso la liberalizzazione dei costumi, dei sistemi politici, dell’arte e delle ideologie. In altre parole, la storia umana è quella dell’emergere della persona come soggetto di diritto, autorizzato a pensare e ad avere il controllo del proprio destino, libero da ogni costrizione che non sia il rispetto del diritto dell’altro alle medesime libertà. E la libertà è all’inizio il rifiuto degli obblighi imposti dalla penuria, in particolare la penuria del tempo da vivere. (…)

Altrettanto progressivamente, la libertà commerciale ha contribuito a far nascere la libertà politica, dapprima per una minoranza mercantile, poi per molti, almeno formalmente, su territori sempre più vasti, sostituendo quasi ovunque il potere religioso e militare con quello del cittadino. A conti fatti, la dittatura ha consentito la nascita del mercato, che ha generato una classe media, la quale ha preteso la democrazia. Quindi, a partire dal XII secolo, si sono instaurate le prime “democrazie di mercato”. Sempre progressivamente, si è esteso anche il loro spazio geografico.

Il centro di potere sull’insieme di queste democrazie di mercato in questo spazio mondiale si è a poco a poco spostato verso ovest: nel XII secolo è passato dal Vicino Oriente al Mediterraneo, poi al Mare del Nord, all’oceano Atlantico e, infine, oggigiorno, al Pacifico. Ogni volta al centro di questo spazio mercantile vi era un porto, aperto all’innovazione. Nove “cuori” si sono quindi succeduti: Bruges, Venezia, Anversa, Genova, Amsterdam, Londra, Boston, New York e, oggi, Los Angeles. Il complesso del mondo, a parte la Corea del Nord, è ormai parte attiva di questo Ordine mercantile il cui cuore è da un secolo negli Stati Uniti d’America. Se questa storia più che millenaria continuerà ancora per almeno cinquant’anni, il mercato e la democrazia si estenderanno dovunque sono ancora assenti.

Intorno al 2030, alla fine di una lunga battaglia di cui l’attuale crisi finanziaria ed economica segna l’inizio, e nel mezzo di una grave crisi ecologica, gli Stati Uniti, impero ancora dominante, saranno vinti. Esauriti finanziariamente e politicamente, come gli altri imperi prima di loro, cesseranno allora di governare il mondo.
Sarà la fine della prima ondata del futuro.

Non saranno sostituiti da un altro impero né da un’altra nazione dominante. Il mondo diventerà, provvisoriamente, “policentrico”, governato da una decina di potenze regionali.
Sarà la seconda ondata del futuro.

Intorno al 2040, il mercato, per sua natura senza frontiere, vincerà sulla democrazia, istituzionalmente circoscritta a un territorio. Gli Stati si indeboliranno; nuove tecnologie trasformeranno gli ultimi servizi ancora collettivi (la salute, l’educazione, la sicurezza e la sovranità) in nuovi oggetti di consumo, che definisco “sorveglianti”, che permetteranno di misurare e controllare la conformità alle norme: ciascuno diverrà il proprio medico, professore, controllore, poliziotto. L’autosorveglianza diverrà la forma estrema della libertà e la paura di non essere conforme alle norme ne sarà il limite. La trasparenza diverrà un obbligo: chiunque non vorrà rendere noti le sue appartenenze, i suoi costumi, il suo stato di salute e il suo livello di formazione sarà sospettato a priori. Tutti saranno leali solo con se stessi, le imprese non si riconosceranno più alcuna nazionalità, i poveri costituiranno un mercato tra gli altri, le leggi verranno sostituite con dei contratti, la giustizia con l’arbitrato, le forze di polizia con mercenari.
Emergeranno nuove diversità, ci saranno spettacoli e sport per distrarre i sedentari, mentre immense masse di nomadi miserabili, gli “infranomadi”, premeranno alle frontiere, alla ricerca di qualcosa con cui sopravvivere. Compagnie di assicurazioni, divenute regolatrici del mondo, fisseranno le norme alle quali gli Stati, le imprese e i privati dovranno piegarsi. Organismi amministrativi privati veglieranno, per conto di questi assicuratori, perché queste norme vengano rispettate. Le risorse si faranno più scarse, i robot più numerosi. Il tempo, anche quello più intimo, verrà quasi interamente occupato dall’utilizzo delle merci. Un giorno, addirittura, ciascuno proporrà di auto-curarsi, poi di produrre delle protesi da solo, e infine di essere clonato. L’uomo diventerà allora un artefatto consumatore di artefatti, un cannibale mangiatore di oggetti cannibali, vittima di mali nomadi.

L’incremento della durata della vita porrà il potere nelle mani dei più vecchi. Degli “ipernomadi” dirigeranno un impero “senza terra”, aperto, senza centro: l’“iperimpero”.
Questa sarà la terza ondata del futuro.

Tutto questo non potrà certo accadere senza terribili scosse: ben prima della scomparsa dell’Impero Americano, ben prima che il clima diventi quasi insopportabile, ben prima che il mercato abbia la meglio sulle nazioni, alcune popolazioni si disputeranno dei territori, avranno luogo innumerevoli guerre, e nazioni, pirati, mercenari, mafie, movimenti religiosi si doteranno di armi antiche e nuove, di strumenti di sorveglianza, di dissuasione e di impatto, utilizzando le risorse del bricolage, dell’elettronica, della genetica e delle nanotecnologie. Inoltre, l’avvento dell’iperimpero porterà ciascuno a diventare il rivale di tutti. Ci si batterà per il petrolio, per l’acqua, per conservare un territorio, per lasciarlo, per imporre una fede, per combatterne un’altra, per distruggere l’Occidente, per far prevalere i suoi valori. Prenderanno il potere dittature militari, confondendo eserciti e polizie.
Quarta ondata del futuro.

A meno che altri conflitti assurdi tra potenze nucleari non se ne siano fatti carico prima, scoppierà forse una guerra più micidiale delle altre, un iperconflitto che cristallizzerà tutti gli altri, annientando l’umanità.

Intorno al 2050, al più presto – a meno che l’umanità non sia scomparsa prima sotto un diluvio di bombe –, nuove forze, altruiste e positive, già attive oggi sotto forma di ONG e di imprese sociali, al servizio delle generazioni future, prenderanno il potere a livello locale e mondiale, sotto l’imperio di una necessità ecologica, etica, economica, culturale e politica. Queste forze si ribelleranno alle esigenze della sorveglianza, del narcisismo e delle norme. E condurranno progressivamente a un nuovo equilibrio etico tra il mercato e la democrazia, sia a livello locale che mondiale: l’“iperdemocrazia”. Istituzioni locali, mondiali e continentali, organizzeranno allora, grazie a nuove tecnologie e a nuove procedure, la vita collettiva. Porranno dei limiti all’artefatto commerciale, alla modifica della vita e alla valorizzazione della natura; favoriranno l’altruismo, la gratuità, la responsabilità, l’accesso al sapere. Renderanno possibile la nascita di un’“intelligenza universale”, mettendo in comune le capacità creatrici di tutti gli esseri umani, per superarle e non per nuocere loro. Una nuova economia, detta “positiva”, che produrrà servizi senza cercare di trarne profitti, nell’interesse delle generazioni future, si svilupperà in concorrenza con il mercato, prima di porvi fine, così come fece il mercato, alcuni secoli fa, con il feudalesimo.

“Iperdemocrazia”: quinta ondata del futuro.

A quell’epoca, meno lontana di quanto si creda, il mercato e la democrazia, nel senso in cui li intendiamo oggi, saranno diventati concetti sorpassati, vaghi ricordi, difficili da comprendere come oggi lo sono il cannibalismo e i sacrifici umani.

Così riassunto, ciò che precede potrebbe apparire caricaturale, perentorio e arbitrario. Ma lo scopo di questo libro è di mostrare che questa è tuttavia l’immagine più verosimile del futuro. Non certo quella che auspico: mi piacerebbe che si arrivasse all’iperdemocrazia senza passare attraverso le altre ondate. Scrivo questo libro proprio perché il futuro non assomigli a quello che temo sarà e per dare un aiuto al dispiegamento delle formidabili potenzialità oggi in atto, per il bene.

I miei lettori assidui vi troveranno l’approfondimento di tesi sviluppate nel corso dei saggi e dei romanzi precedenti, nei quali annunciavo – ben prima che se ne parlasse correntemente – il ribaltamento geopolitico del mondo verso il Pacifico, l’instabilità finanziaria del capitalismo, la posta in gioco del clima, l’emergere delle bolle finanziarie, la fragilità del comunismo, le minacce del terrorismo, il ritorno del nomadismo, l’avvento del telefono cellulare, del personal computer, di Internet e di altri “oggetti nomadi”, tra cui le protesi elettroniche e genomiche, la comparsa del gratuito e del “su misura”, dell’improvvisazione e della composizione, il ruolo fondamentale dell’arte praticata da tutti, e in particolare della musica, nella diversità del mondo. I più attenti tra questi lettori vi vedranno anche alcuni cambiamenti nel mio pensiero: che non è, fortunatamente, disceso così dal cielo.

Infine, così come ogni predizione è per prima cosa un discorso sul presente, questo saggio è anche un libro politico, di cui ognuno potrà fare, spero, il miglior uso possibile, in un momento in cui si annunciano tante scadenze importanti, perché non avvenga il peggio. Perché il meglio è possibile.

© 2016 Fazi Editore 2016
© Libraire Artère Fayard

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