Del Recovery Plan e dei ladri di sogni dei bambini

Recov

Come non diffidare di un piano che, in una sosta di depistaggio semantico, ha molteplici nomi? Eccoli: Recovery PlanRecovery FundPiano Nazionale di Ripresa e ResilienzaNext GenerationItalia Domani. Tralasciamo l’uso di “resilienza”, termine fino a poco tempo fa utilizzato solo nei laboratori di Fisica, poi importato dall’estero e oggi esibito dai semicolti come segno di distinzione linguistica.

Quello che possiamo osservare è che attorno al Recovery Plan si è scatenata una ondata gigantesca di piaggeria europoide, uno tsunami di esaltazione per la salvezza graziosamente (“generosamente” è il sobrio avverbio utilizzato da un esponente della sinistra) concessaci dalla Unione Europea.
Piano che è vietato criticare per non rischiare di cadere nello psico-reato di “anti-europeità”, dimentichi che l’Europa, saldamente fondata sulla eredità greco-romana-cristiana, civile e civilizzante, è ben altra cosa della cricca di oscuri banchieri, tecnocrati e burocrati di un’Unione Europea senz’anima né radici dominata dalle peggiori lobby.

Sul Recovery Plan, approvato da un parlamento i cui membri hanno ricevuto il documento di trecento pagine solo poche ore prima della discussione in aula, già sono stati fatti notare i suoi non pochi aspetti critici: graverà su di noi, sui nostri figli e nipoti fino al 2058, sono in gran parte soldi nostri (qualcuno lo ha definito “una partita di giro”) e nasconde severissimi diktat politico-finanziari dell’Unione: nuove tasse, imposta patrimoniale, riduzioni delle pensioni e del welfare, controlli asfissianti, imposizioni di politiche economiche e sociali gradite a Bruxelles, compresi i famigerati “diritti civili” che contrabbandano le ideologie omosessualiste e genderiste.

Ma c’è un aspetto non sufficientemente sottolineato, se non da pochi coraggiosi commentatori: il 31% degli importi che riceveremo dall’Unione dovrà essere obbligatoriamente impiegato nella cosiddetta Rivoluzione verde e transizione ecologica (il secondo capitolo del piano, ma il più consistente in termini di erogato) che però diventa il 38% se si considerano le altre spese “ecologiste” abilmente nascoste negli altri capitoli come il retorico e falsificante Eredità per le generazioni future o quello destinato a una cosiddetta mobilità sostenibile. A imporre questa soglia, più esattamente il 37%, è proprio il “Next Generation EU”, la madre di tutti i Recovery Plan europei. Tutto il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un profluvio di espressioni come “transizione ecologica”, “discriminazioni di genere”, “inclusività”, “economia circolare”, “sostenibilità” e tutti gli altri termini di uno stucchevole vocabolario fatto volutamente di parole ideologiche, generiche, imprecise e indeterminate ma supportato da una martellante propaganda dei media mainstream.

Cos’è questa “Transizione ecologica”? Sappiamo solo che non si sa bene cosa sia, che non è stata votata da nessuno, che ignoriamo a che cosa ci servirà, dove ci porterà e soprattutto quanto ci costerà, ma che ci è stata imposta dall’ONU e dall’Unione Europea. Con la sua abituale verve, così Vittorio Sgarbi alla Camera dei Deputati il 21 marzo scorso:

“Ma cosa vuol dire “transizione ecologica”? E’ un cambiamento di sesso dell’ecologia? E’ un cambiamento di sesso dell’ambiente? E’ una parola insensata, inventata da menti deboli per pensieri che non hanno”.


La storia parte da lontano: dalla conquista manu militari delle assisi mondiali, come l’ONU, da parte dalla setta gnostico-ecologista, imbevuta di odio per l’uomo quale vertice del Creato, sostenitrice di un neo-malthusianesimo abortista e suicidario, sciaguratamente appoggiata dalla chiesa bergogliana con mistificanti documenti come la Laudato Si’, con i blasfemi “documenti amazzonici” tra i quali lo scandaloso l’Instrumentum Laboris, definito da Matteo D’Amico nel suo libro Apostasia verde “un semenzaio di eresie”, che includono l’adorazione in Vaticano del sanguinario idolo Pachamama. Questa ideologia “verde” è sponsorizzata dalle lobby mondialiste, imposta anche con la minacciosa censura degli scienziati veri, come il premio Nobel Carlo Rubbia che definì il riscaldamento climatico “la bufala del secolo” o Antonino Zichichi che riteneva “divinazioni” le previsioni catastrofiste con cui gli ambientalisti ci molestano da decenni, nessuna delle quali si è mai realizzata, o ancora il documento di 500 scienziati indirizzato all’ONU contro la teoria del riscaldamento climatico di origine antropica.

Nel 2015 l’ONU presentò una obbligante “Agenda ONU 2030”, sottoscritta da 193 paesi membri, che prevedeva il conseguimento di 17 obiettivi, molti dei quali di orientamento ecologista come la “lotta contro il cambiamento climatico”. Furono poi firmati successivi accordi internazionali (come quello di Parigi) volti a limitare il riscaldamento climatico, ovviamente accettando l’indimostrato presupposto della sua esistenza e soprattutto della sua origine antropica. Questa deriva internazionale ecologista ha poi prodotto, in sede di Unione Europea, un Green New Deal, non approvato da nessun parlamento del continente, ma che si può considerare come “sottostante” il Recovery Fund e con questo integrato.

Questo Green New Deal (“Il Green Deal europeo prevede un piano d’azione volto a: promuovere l’uso efficiente delle risorse passando a un’economia pulita e circolare ripristinare la biodiversità e ridurre l’inquinamento” recita la propaganda di Bruxelles), sostanzialmente imposto a tutti i paesi, prevede, tra molte altre cose, un Europa decarbonizzata e a zero emissioni dal 2050, con una riduzione intermedia nel 55% entro il 2030 e, entro la stessa data, addirittura il divieto di vendere auto a combustibile fossile (ma già adesso i parametri che l’UE progettati per i motori Euro7 sono stati definiti dagli esperti “contrari alle leggi della fisica”). Non solo: saranno necessarie pesanti politiche fiscali per scoraggiare la mobilità e i consumi cosiddetti “inquinanti”, come il riscaldamento. Viaggiare, in aereo, in auto, ma non solo, costerà molto di più. Atti che oggi riteniamo un diritto naturale, come il muoversi e il viaggiare, verranno scoraggiati. I proprietari di case saranno gravati di pesanti oneri per rendere gli edifici a emissioni zero. Il Green New Deal, il connesso Recovery Fund e molte altre disposizioni dell’Unione ci imporranno di modificare le nostre abitudini alimentari: nel programma Farm to Fork si impongono azzeramenti al presunto “impatto ambientale” colpendo gli allevamenti, per i quali l’Unione ha già annunciato l’abolizione di ogni sussidio, e i diserbanti. I consumatori saranno disponibili a pagare prezzi ben più elevati degli attuali per carni, verdura e frutta? Potranno permettersi ancora questi prodotti? D’altronde è ben nota l’avversione di ecologisti, vegetarian/vegani per il consumo di carne: le mucche sono messe sotto accusa per la loro sovversiva e antiecologica produzione di peti pericolosissimi per l’ambiente e per la loro disgraziata abitudine di bere acqua e mangiare erba.

Di qui gli hamburger (ma possono chiamarli così?) vegani. Di qui il solito Bill Gates che vuole la produzione di carne sintetica, su cui ha investito 3,9 miliardi di dollari, minacciando: “I paesi ricchi devono passare alla produzione del 100% di carne sintetica”. Di qui le delibere UE sull’auspicato consumo di insetti in sostituzione della carne. A proposito di insetti, consentiteci una breve divagazione: la UE sembra avere una predilezione particolare per questi minuscoli animaletti, spesso assai fastidiosi. La costruzione della Torino-Lione non è solo ostacolata dai violenti no TAV, ma anche da una farfalla protetta dalle disposizioni europee, la Zerynthia polyxena che svolazza nella zona attraversata dalla ferrovia. E i progettisti si sono dovuti ingegnare, con i ben intuibili costi, a predisporre un “corridoio ecologico”, suggerito dai maggiori esperti, per far migrare i poveri lepidotteri in un’altra zona.

Molto si è scritto, anche sulla stampa italiana, sul famigerato “Nutri-score”, l’etichetta a semaforo voluta dai grandi produttori del nord Europa che premia gli alimenti piene di sostanze di sintesi ma penalizza cibi come l’olio extra-vergine d’oliva o il Parmigiano. La stessa UE che vuole imporci il vino annacquato o il latte finto fatto con la farina dei piselli e il cibo Frankestein che le aziende Big Food stanno preparando nei loro infernali laboratori. É evidente che l’Unione Europea e le multinazionali vogliono distruggere la nostra civiltà contadina, i nostri territori, i nostri panorami culinari, le nostre tradizioni familiari e locali per renderci omologati, intossicati dal cibo spazzatura, dal fake-meat di Bill Gates, dai prodotti industriali a basso costo, uguali ovunque in tutti i paesi. E’ quello che conviene alle multinazionali, alle lobby tecnocratiche, mondialiste e liberal.

L’idea di Europa che hanno in mente i nostri padroni di Bruxelles è ben rappresentata da una foto pubblicata su Istagram con la didascalia “Think Future, Next Generation EU” che raffigura un uomo di colore con un bambino in braccio e una bandierina dell’EU. Scrive Libero in un articolo di Gianluca Veneziani:

“Il post ha suscitato lo sdegno di tanti cittadini che per ovvie ragioni non si sentono rappresentati dalla foto. Ma la commissione, anziché accettare le critiche, ha polemizzato con loro, ricordando che “non tolleriamo commenti razzisti.”

In realtà i tecnocrati eco-socialisti di Bruxelles sanno benissimo che il diktat della “transizione ecologica” comporterà lacrime e sangue per i popoli europei, distruzione di interi settori industriali, di milioni di posti di lavoro, un peggioramento degli stili di vita in nome di una impossibile e mistificante “decrescita felice”, un impoverimento generalizzato. Hanno già iniziato con la distruzione della filiera della plastica, anche di quella biodegradabile, un risultato dell’eccellenza della ricerca e della produzione italiana. Nonostante le proteste dei nostri industriali, nuovi feroci divieti della UE contro gli oggetti in plastica entreranno presto in vigore. Poi a gennaio ci sarà l’introduzione della famigerata, rovinosa plastic tax che graverà soprattutto sui consumatori finali. Sarà un immenso atto sacrificale sull’altare insanguinato di Gaia, la Pachamama posta sugli altari in Vaticano. Un tecnocrate assai ben informato e introdotto, il capoeconomista del settore ricerche di Deutsche Bank, Eric Heymann, ha dichiarato che per far decollare il Green New Deal occorrerà una massiccia dose di “eco-dittatura”.

L’ipotesi di una vasta ribellione di europei impoveriti e inferociti non è poi così peregrina, anche se le lobby di Bruxelles possono contare, oltre che su una potente struttura di repressione (l’abbiamo visto in Francia con i gilets jaunes), anche su un efficacissimo apparato mediatico, culturale e propagandistico di deformazione e occultamento delle notizie. A proposito di dittatura eco-socialista, è interessante sapere che la von der Leyen ha chiesto al parlamento europeo una legge che impedisca ai parlamenti nazionali di votare provvedimenti in difformità al Green New Deal.

Torniamo all’Italia. Torniamo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, quello grazie al quale l’Unione Europea ci riempirà di soldi (in realtà nostri). Leggerlo con attenzione è un esercizio di autoflagellazione: è scritto male, sciatto, involuto, confuso, ripetitivo, zeppo di affermazioni apodittiche, ideologiche e indimostrate (“L’Italia è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici” oppure: “Scienza e modelli analitici dimostrano inequivocabilmente come il cambiamento climatico sia in corso”). Giulio Tremonti si è divertito ad enumerare le espressioni in inglese, decine e decine, da claud-first a flagship, da learning communities a track-record e molte, molte altre. Un profluvio di espressioni orwellian-ecologiste che non significano niente: “economia circolare”, “resilienza” “sostenibile”, (tutto deve essere sostenibile: l’agricoltura, l’edilizia, la mobilità, la filiera agroalimentare, il turismo, ovviamente lo sviluppo). Doveva essere la “generosa risposta dell’Europa” ai problemi generati dalla pandemia: in realtà, solo l’8% dei fondi potrà essere spesa per la salute (in sostanza è già stata spesa), meno di un capitolo dall’inquietante e infido titolo “Inclusione e coesione”, che ottiene il 10%. Quando costoro predicano “l’inclusione”, c’è da chiudere in casa i bambini e serrare a chiave l’argenteria.

Il capitolo più corposo, come fondi, è quello dalla “Rivoluzione verde e transizione ecologica” E’ una fiera delle velleità e dei luoghi comuni, una lista dei desideri pretenziosa, con la concretezza dell’aria fritta, inzuppata di banalità (tipo “dal produttore al consumatore”) ma senza una cifra o una descrizione precisa di un singolo progetto. Molto ci viene presentato velato da espressioni ambigue. Ad esempio di eolico, se ne parla solo incidentalmente in un sottocapitolo dedicato alle green communities (sono banalmente le comunità rurali e montane). Questa inaffidabile fonte di energia (il vento spira quando vuole) viene probabilmente nascosta e ricompresa sotto l’oscura denominazione di “impianti innovativi on-shore e off-shore.” Ma è chiaro l’intento del legislatore: sussidiare, con i nostri soldi, gli orripilanti impianti eolici, impestare il panorama italiano con migliaia di torri, inquinanti sotti il profilo visivo, paesaggistico e acustico, che sottraggono spazio all’agricoltura e al verde.

Tuttavia gli estensori del Piano sanno benissimo che non solo Vittorio Sgarbi, ma anche la stragrande maggioranzadegli italiani, soprattutto gli abitanti delle “green communities”, purtroppo rozzi bifolchi insensibili alla mission di salvare il pianeta, ma sensibilissimi alla bellezza delle nostre valli, dei nostri crinali e dei nostri paesaggi, sono fortemente contrari all’orrore delle pale eoliche. Per questo nel piano scompaiono sottotraccia.

Un intero sottocapitolo viene dedicato alla “Cultura e consapevolezza”: in sostanza, alla “rieducazione” ecologica degli italiani:

“cultura e consapevolezza dei temi e delle sfide ambientali diffuse in modo ampio nella cittadinanza…”; “educare in merito alle opzioni a disposizione per l’adozione di stili di vita e consumi più sostenibili…”; “coinvolgere influencer e leader di pensiero per massimizzare la diffusione dei messaggi…”.

Per i verdi, la “rieducazione” dei cittadini, l’imposizione con ogni mezzo della dittatura del pensiero ecologista, la cancel culture ambientalista devono arrivare fino a intensità inaudite e francamente terrificanti. A Poitiers, città che conobbe ben altri fasti molti secoli fa, la signora Léonore Moncond’huy, esponente di rilievo dei Verdi francesi e sindaco della sfortunata città, ha deciso di sospendere i fondi pubblici ai due aeroclub cittadini, dichiarando che: “I soldi pubblici non devono più finanziare le attività basate sul consumo di risorse non rinnovabili”.
Fin qui siamo al consueto cretinismo verde, nemico della nostra società e del nostro benessere. Ma la sventurata è andata ben oltre e ha perentoriamente affermato:

“l’aviazione non deve più far parte dei sogni dei bambini”.

Non solo costoro, con i loro Green New Deal, rubano i nostri soldi per le loro sciagurate distopie.
Sono giunti al punto di rubare anche i sogni ai bambini.

Antonio de Felip

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