Dalla cancel culture alla russofobia, tra censura e propaganda: la vigilia del “Grande Reset” della cultura umanistica
Per capire cosa sta succedendo al livello di opinione pubblica occidentale e italiana in questo periodo di guerra per procura degli Stati Uniti alla Russia, per capire quanto sia difficile ragionare sulle origini storiche e geo-politiche di questo “conflitto di transizione” e quindi cercare una soluzione diplomatica che disinneschi l’escalation anziché alimentarla, occorre prima di tutto ricordare che la storia umana conosce la “cultura della cancellazione o cultura del boicottaggio” da molto tempo e a tutte le latitudini: il cosiddetto “ostracismo” è una parola greca che indica un’istituzione giuridica della democrazia ateniese preposta all’esilio di quanti fossero stati giudicati pericolosi per la città; la cosiddetta “damnatio memoriae” è una pena del diritto romano che consiste nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante l’esistenza di una determinata persona, inflitta ai traditori e ai nemici del Senato.
Ostracismo e cancellazione del ricordo di una persona o di un gruppo o di un’etnia invisi al potere sono pertanto caratteristiche dell’azione di governo di regimi democratici come autoritari, ma si possono ritrovare anche nella vita di tutti giorni, quando per esempio si pratica il cosiddetto “ghosting”, ossia lo sparire senza spiegazioni in rapporto a qualcuno che non si vuole più frequentare, o quando si “banna” un contatto o un’amicizia sui social. Se però si guarda al rapporto di forze in campo, è del tutto evidente che la violenza psicologica di un singolo non è nulla in confronto a quello che può fare un’ideologia che abbia un apparato statale, giuridico, mediatico, finanziario, militare, a sostegno della sua azione di repulisti.
La Grande Biblioteca di Sardanapalo, sovrano dell’antica Assiria, conteneva oltre mezzo milione di tavolette scritte in caratteri cuneiformi con le osservazioni scientifiche e astronomiche, le opere religiose e le letterarie del popolo sumero, antiche di migliaia di anni: fu devastata da una coalizione di Babilonesi, Sciti e Medi nel 612 a.C., cancellando l’intera civiltà mesopotamica. In Estremo Oriente, in Cina, nel 213 a.C., il re dei re e primo imperatore Qin Huang, che unificò il Paese e costruì la Grande Muraglia, dopo aver uniformato anche i caratteri della scrittura, decretò la distruzione di qualsiasi libro esistente, a eccezione dei soli manuali tecnici: non rimase nulla o quasi della millenaria cultura dei popoli della Cina più antica, e i tanti letterati che si rifiutarono di consegnare le opere in loro possesso, vennero trucidati senza pietà.
La più vasta e determinante operazione di “Grande Reset” della cultura occidentale venne fatta invece dai cristiani sotto l’imperatore Teodosio, i cui decreti, emessi tra il 391 e il 392 d.C. su sollecitazione del vescovo Teofilo, sancirono la proibizione di ogni culto pagano, punibile con la morte. Ne fece le spese, su tutti, la più alta rappresentante della cultura pagana dell’epoca, la matematica, astronoma e filosofa neo-platonica Ipazia. Originaria di Alessandria d’Egitto, già dal 393 d.C. Ipazia era a capo della cosiddetta scuola alessandrina, che doveva il suo prestigio alla famosa Biblioteca di Alessandria e al Museo nel quale si conservava e si studiava da 700 anni circa il 70 %, si calcola, dell’intero scibile umano dell’antichità.
Il ruolo di Ipazia è stato politico, nel conflitto tra i cristiani e cosiddetti “elleni”, poiché la fama del suo sapere aveva un formidabile ascendente sui suoi contemporanei, ma è stato soprattutto un ruolo di tramite tra la cultura dell’antichità pagana e la cultura scientifica moderna: questo ruolo è stato riconosciuto solo quando determinati studi hanno cominciato a mettere in relazione i testi, le invenzioni e le vere e proprie scoperte scientifiche, che aveva fatto la scuola alessandrina, con l’attività filologica del Rinascimento e poi con quella ideologica dell’Illuminismo: la massima parte di quell’antico sapere era stata cancellata con la distruzione dei templi pagani, prima, e infine con l’uccisione di Ipazia, nel marzo del 415, per mano di una folla di cristiani, che la fecero a pezzi, l’accecarono, la eviscerarono, e ne distrussero i resti col fuoco.
Ipazia divenne il simbolo laico del «martirio per la libertà di pensiero», e in seguito anche il simbolo del genio femminile, inviso alla cultura patriarcale cristiana. Ma per mille anni, di quel formidabile sapere tecnico e scientifico, oltre che religioso e in senso ampio filosofico, non rimasero che misere tracce, copiate dai monaci del medioevo nella misura in cui rispondevano all’interpretazione figurale cristiana e alla sua ideologia complessiva, ma soprattutto tradotte dagli arabi fin dall’800 d.C. per via del loro interesse per la cultura scientifica ellenistica, finché proprio i filologi del Basso Medioevo e del Rinascimento, tra il 1200 e il 1400, non riportarono queste tracce alla luce aprendo la strada alla scienza moderna e alla propaganda illuminista.
Questo anche per ricordare, di passaggio, in questi tempi in cui si tappa la bocca a tutti quegli intellettuali che non hanno una formazione scientifica, come la scienza moderna derivi in realtà da un’attività umanistica quale la filologia. E allora ci vuole più filologia, più ricostruzione storica, più dibattito, e meno positivismo, meno scientismo, meno zelanteria, che sono il braccio armato della propaganda del potere.
Quello che la propaganda cristiana e illuminista ha nascosto agli occhi dell’Occidente, ma non del filologo e dello storico, è stato pertanto il proprio immenso debito e il proprio immenso crimine di cancellazione nei confronti della cultura soccombente, quella dei pagani: Voltaire, in particolare, fu l’ideatore di un politicamente corretto ante litteram, visto che fece in modo di negare sistematicamente ogni debito col passato e con la tradizione, in particolare con la tradizione ellenistica, come mai in nessuna epoca precedente, alterando e travisando le fonti, occultandole, disprezzandole, squalificando i propri avversari, ossia i filologi del tempo, e coniò il termine «nemici del proprio secolo» per indicare tutti coloro che cercarono di opporsi a questa “distruzione creatrice” del passato…
«Leonardo, come Newton dopo di lui, e come tanti altri intellettuali e scienziati rinascimentali e cosiddetti moderni, non fece altro che spulciare tra codici antichi che tramandavano brandelli di conoscenze tecniche e scientifiche, che dopo la distruzione della Biblioteca di Alessandria e del suo Museo, nessuno fu più in grado di comprendere. […] Attraverso la propaganda, Voltaire e gli illuministi convinsero l’intero Occidente che la pneumatica fosse nata con Torricelli, e non con Ctesibio e Filone di Bisanzio, che l’eliocentrismo fosse stato partorito dalla mente straordinaria di Copernico, e non da Aristarco di Samo, e da allora in poi, Aristarco fu rinchiuso nel ruolo di precursore della moderna scienza, e oltre allo sprezzo, dovette subire anche la beffa di essere etichettato copernicano, quando in realtà, era Copernico a doversi definire aristarchiano…»
Tratto dal romanzo La divoratrice di libri di Gabriella Zeno, Transeuropa 2022. Nel romanzo vengono illustrati diversi tra i passaggi storici qui menzionati, compresa la tragica vicenda di Ipazia, e l’intero articolo gli è debitore.
Così Netwon divenne il nuovo mito del nuovo culto dell’Illuminismo e della Contemporaneità Senza Pari, quando le stupefacenti macchine di Leonardo da Vinci non sono che mirabili copie delle macchine di Erone d’Alessandria, racchiuse nella sua Pneumatica e nel suo trattato, Sulla costruzione di automi.
«Gli ideologi dell’Illuminismo, e i suoi intellettuali più dotati, occultarono per sempre il fatto che la Scienza esplose nel III sec. a.C con i Tolomei ad Alessandria d’Egitto.»
A quell’epoca si utilizzavano già diverse fonti naturali di energia, quella idraulica, quella eolica, ed esistevano perfino le macchine a vapore, le incredibili macchine di Erone di Alessandria, capaci per esempio di aprire e chiudere la pesante porta in pietra di un tempio, mentre la pneumatica era sorta grazie a Ctesibio, l’idrostatica con Archimede, l’anatomia e la fisiologia medica con Erofilo di Calcedonia…
L’ideologia illuminista, in questo modo, ha creato il mito del singolo genio capace, con il suo “lume”, di ribaltare secoli di storia, ponendo le basi dell’individualismo, e nello stesso tempo è diventata anche
«un’ideologia totalitaria: identificò il pensiero con la matematica. Da allora, la legge razionale del numero si elesse a somma e unico fondamento della conoscenza e cominciò a prendere piede l’idea che sia vero solo ciò che può essere spiegato entro i ristretti ordini del razionalismo, come ci insegna Adorno.»
Di conseguenza, tutto è divenuto una questione di numero, di “dati” e quantificazione, ogni cosa si è semplificata e omologata attraverso l’uso del pensiero calcolatore, del pensiero cartesiano di una macchina.
Tutto questo per ricordare che quello a cui abbiamo assistito in questi due anni, tutta la propaganda e la censura messa in campo per tenerci a casa e per separarci, per spingerci verso la connettività totale e la cosiddetta “interoperabilità dei dati”, per schedarci, per autorizzare i nostri diritti in base a una valutazione sulle performance di adattamento alla “nuovo normalità” del capitalismo della sorveglianza, dell’intelligenza artificiale, della tecnocrazia, della shock economy e della guerra per le risorse, non è altro che l’effetto di questa cultura totalitaria e imperialista della cancellazione criminale del passato: la distruzione creatrice, come la chiamano, o se volete la «catastrofe generativa» che accompagna il genere umano a ogni svolta epocale.
Se le cose vanno come vanno, pertanto, è perché ci troviamo in un momento di transizione che intende cancellare tutta la cultura umanistica del passato e proiettarci nell’eterno presente della macchina, quella dimensione che chiamano transumanesimo.
Il sistema che si è meglio prestato nel condurci a questa svolta è quello, su scala storica, capitalista. E il capitalismo possiede una vera e propria ideologia: l’ideologia del profitto, che è un tutt’uno con una volontà di potenza senza limiti ossia con l’essenza del nichilismo occidentale contemporaneo.
Dal punto di vista della storia delle idee, è come se il capitalismo “illuminista” e “progressista” avesse depredato e indossato solo lo scalpo tecnico e materialista della grecità senza il suo senso della misura e la sua vocazione poetante, misterica, aperta al dubbio e alla ricerca ma nei limiti della condizione mortale e con la coscienza di appartenere a un insieme. Cosa comprese infatti la scuola alessandrina, che non venne trasmesso? Quello che la scuola alessandrina comprese, e che diede vita all’accumulo e poi alla catalogazione sistematica, con il poeta e filologo Callimaco, di tutte le opere dell’antichità, fu che la specie umana deve la sua evoluzione, che poi è una forma di adattamento portato all’estremo, proprio a questa capacità di trasmettersi tutte le informazioni, acquisite da singoli o da gruppi, che si siano rivelate utili per la sopravvivenza. Ovvio, dunque, che il metodo più efficace e sbrigativo per impedire la sopravvivenza di una civiltà sia quello di distruggere le informazioni di cui dispone, ossia il suo passato e le sue tradizioni di pensiero, in modo che non possa più trasmettere niente alle nuove generazioni.
Le sanzioni occidentali agli sportivi, agli artisti, ai letterati russi, la fatwa su Dostoevskij, e prima ancora l’omologazione calcolatrice e commerciale del pensiero, l’aziendalizzazione quantificata di ogni attività umana, il diffondersi del politicamente corretto, l’abbattimento delle statue del passato, l’ostracismo e il boicottaggio applicato alla dissidenza interna, l’impiego dello stigma e la persecuzione nei confronti di intere categorie di persone che hanno fatto (almeno) del proprio corpo il loro ultimo tempio inviolabile, il passaggio dalla censura alla propaganda vera e propria, non sono che il sintomo di questo nuovo rogo dei libri che l’ideologia scientista del profitto ci sta apparecchiando in vista di una nuova, fondativa cancellazione del passato.
In questo senso, non deve stupire che nemmeno l’ipotesi della distruzione nucleare conduca i governanti occidentali a più miti consigli: il grande rogo atomico, o la sua sola minaccia, potrebbe essere proprio lo spartiacque, come lo spauracchio,* per costringere il mondo dei vivi verso “il nuovo ordine mondiale” della totale dipendenza dalle macchine.
Si può comprendere, con questo, che “nessuna alternativa è possibile”: o raggiungiamo l’unità di tutta la cultura umanistica e troviamo il modo, altrettanto rivoluzionario, per fermare questo epocale “sacrificio di transizione” e insieme per “ripensare il futuro” fuori dal Castello di Atlante del cyber-capitalismo, o ci trascineranno nelle fiamme del “cambiamento” insieme a tutte le informazioni sul passato di cui ancora disponiamo e che ancora ci ostiniamo a trasmettere.
La distanza che passa tra un conflitto regionale e la terza guerra mondiale è la stessa che abbiamo misurato tra la Covid e la peste, ma la sola evocazione è stata sufficiente a produrre i suoi effetti.
Versione estesa e completa del discorso tenuto in piazza Strozzi a Firenze domenica 8 maggio 2022
Giulio Milani