di Piero Cammerinesi
Tanto rumore per Navalny – per carità, una morte sospetta va certamente indagata – mentre continua il silenzio complice di istituzioni, autorità e media sul destino incombente su Julian Assange, da cinque anni nella prigione londinese di Belmarsh, ove è detenuto in attesa di giudizio per aver osato sfidare l’impero con la verità dei fatti.
Siamo in questi giorni di fronte, infatti, all’ultimo disperato tentativo di Julian Assange di appellarsi contro l’estradizione negli Stati Uniti, dove rischia fino a 175 anni di carcere.
Eh sì, gli americani fanno sempre le cose in grande; un ergastolo non basta; ce ne vogliono più d’uno per punire chi smaschera i loro crimini.
In queste udienze, fissate per il 20 e 21 febbraio prossimi, i giudici dovranno decidere se Assange ha ancora qualche possibilità di appellarsi a qualche Corte britannica oppure si dovranno avviare le pratiche per un’imminente estradizione.
Eclatante il fatto che vi siano schiere di personaggi pubblici – e di gente comune – che preferiscono starnazzare per la vicenda di un prigioniero politico di un Paese straniero piuttosto che per la sorte di un giornalista incarcerato ingiustamente dal proprio Paese o comunque da un Paese alleato.
Nota giustamente la collega Caitlin Johnstone in un suo intervento di ieri:
Ogni volta che vedo persone che gridano alla persecuzione di giornalisti e prigionieri politici in altri Paesi, mentre loro stessi vivono in una nazione il cui governo sta perseguitando Julian Assange, non posso fare a meno di pensare a Matteo 7:4-5,
O come potrai tu dire a tuo fratello: “Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza”, mentre la trave è nell’occhio tuo? Ipocrita! Togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello.
Ep. 75 The national security state is the main driver of censorship and election interference in the United States. “What I’m describing is military rule,” says Mike Benz. “It’s the inversion of democracy.” pic.twitter.com/hDTEjAf89T
— Tucker Carlson (@TuckerCarlson) February 16, 2024
“L’opinione pubblica non comprende ancora nemmeno una minima parte del potere del complesso censura-governo-industria. Come previsto, io e le mie aziende abbiamo subito un attacco implacabile nel momento in cui la censura di questa piattaforma è stata revocata. Fino a che punto si spingeranno per fermarmi?”.
“Penso che la cooperazione e/o le relazioni tecniche di Elon Musk con altri Paesi meritino di essere esaminate”.
E la cosa è facilmente comprensibile se si considera che X (all’epoca Twitter) era stata tra le piattaforme di social media che favorirono la vittoria di Biden alle elezioni del 2020, censurando un rapporto-bomba su presunte influenze in Ucraina e Cina da parte della sua famiglia. I repubblicani accusarono l’FBI di aver collaborato con i dirigenti di Twitter per insabbiare il rapporto.
Altra scelta che non gli è certamente valsa la simpatia dell’impero è stata quella di pubblicare i documenti interni di Twitter che rivelano il coinvolgimento del governo nella censura dei discorsi relativi alla pandemia Covid-19.
Come ha dichiarato l’anno scorso la rappresentante degli Stati Uniti, Nancy Mace, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della Carolina del Sud:
“Grazie a Dio Elon Musk ha permesso di mostrare a noi e al mondo che Twitter era sostanzialmente una filiale dell’FBI, che censurava voci mediche reali con competenze reali che mettevano in pericolo vite americane reali perché non avevano quelle informazioni”,