Votaree, oh ooh… ovvero: un po’ di chiarezza sul voto degli italiani all’estero

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aUn nonsenso tutto italiano: mentre da un lato 25 mila nostri concittadini, all’estero per studio, perfettamente informati sulla situazione politica italiana e che ritorneranno a breve in un’Italia che non possono contribuire a cambiare non avranno la possibilità di esprimere le proprie preferenze elettorali, dall’altro oltre 700 mila cittadini di fatto stranieri (la maggior parte con doppia nazionalità) senza nessuna conoscenza dell’Italia e integrati da decenni in realtà sociali e politiche differenti, potranno contribuire a modificare un Paese che non è il loro…

 

di Piero Cammerinesi (corrispondente dagli USA di Coscienzeinrete Magazine e Altrainformazione)

 

Il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri – è notizia di ieri – ha negato agli studenti italiani all’estero la possibilità di partecipare alla prossima consultazione elettorale.

bMotivazione: “non potranno andare al voto perché proprio tecnicamente non è possibile, in quanto per potere essere elettori bisogna essere iscritti nelle liste elettorali dell’Aire [Anagrafe italiani residenti all’estero] e non sono previste per chi sta all’estero da meno di un anno. E poi non ci sono i tempi tecnici per istituire delle liste elettorali.”.

Così 25 mila cittadini italiani – perfettamente informati sulla situazione politica italiana e che ritorneranno a breve in un’Italia che non possono contribuire a cambiare – non avranno la possibilità di esprimere le proprie preferenze elettorali. Al contrario centinaia di migliaia di cittadini stranieri – la maggior parte con doppia nazionalità – che non hanno nessuna conoscenza di un’Italia di cui hanno solo il passaporto e che sono perfettamente integrati da decenni – se non da sempre – in realtà sociali e politiche differenti, potranno contribuire a modificare un Paese che non è più il loro e che di cui sovente neppure conoscono la lingua.

Da dove nasce quest’ennesimo nonsenso all’italiana?

Nasce dalla brillante idea di Mirko Tremaglia – ex-repubblichino di Salò, poi MSI, AN e infine Pdl – di regolamentare il diritto di voto agli italiani all’estero, divenuta legge il 27 dicembre 2001 (Legge 459).

cSe l’idea era targata inizialmente AN va notato che essa è stata tosto entusiasticamente condivisa da tutto l’arco costituzionale; ci mancherebbe di dover perdere qualche voto in un piatto così ricco…

La legge 459, dunque, sancisce la possibilità di eleggere rappresentanti dei cittadini italiani residenti all’estero in quattro circoscrizioni: Europa, (compresa Turchia e territori della Russia orientale) America del Sud, America del Nord e del Centro e infine Africa, Asia, Oceania e Antartide.

Ciascuna di queste quattro circoscrizioni ha diritto a un deputato e a un senatore. Ulteriori 12 deputati e 6 senatori vengono poi nominati in base al “numero dei cittadini italiani che [in tali circoscrizioni] risiedono”. Per essere eletti non è necessario essere nati in Italia ma è sufficiente risiedere nella circoscrizione scelta ed essere iscritti all’Aire.

dMa su questa legge e sui suoi effetti perversi – com’è facilmente comprensibile – c’è molto da discutere.

Così, per approfondire la questione, abbiamo voluto indagare più a fondo parlando con gli ‘addetti ai lavori’ delle nostre rappresentanze diplomatiche all’estero.

E siamo venuti a conoscenza di alcuni aspetti poco noti al grande pubblico, ma non per questo meno ‘illuminanti’ su una situazione davvero bizzarra.

Dividiamo allora la nostra analisi in quattro punti.

1- Che senso ha il voto degli italiani all’estero? Dovrebbe essere quello di dare l’opportunità a persone che sono momentaneamente fuori dall’Italia, che contano di ritornarci, che comunque pagano le tasse in Italia e per le quali l’Italia è il Paese principale, di dare il proprio contributo alla res publica.

Invece no.

La maggior parte dei votanti sono cittadini italiani per Jus sanguinis (magari era italiano il nonno e loro non sono mai stati in Italia) e dell’Italia non hanno neppure il ricordo. Figuriamoci la conoscenza delle nostre leggi e dei nostri bisogni. Cosa rappresenta dunque il loro voto? Nulla, solo un gioco politico e un tornaconto economico per i soliti noti.

A margine vale la pena forse ricordare che lo stesso personale delle sedi consolari italiane all’estero può votare solo da pochissimi anni.

2 – L’invio delle schede e la sicurezza. Secondo la legislazione vigente gli italiani residenti all’estero da oltre un anno possono votare per corrispondenza, inviando per posta la scheda elettorale che ricevono dal proprio consolato o ambasciata. Ora, una parte dei ‘plichi elettorali’ va regolarmente smarrita o ritorna al mittente, e, a quel punto, l’elettore – se è al corrente delle elezioni – può ritirarne una copia presso il consolato o l’ambasciata. Se vive nella città dove c’è la nostra rappresentanza, bene, ma chi vive lontano dalle sedi diplomatiche? Magari a ore di volo di distanza? Poi, una volta votato, le schede devono tornare alle sede diplomatiche via posta ordinaria. Ci arrivano veramente? E, una volta arrivate, chi garantisce quello che accade dopo? Come varie esperienze passate dimostrano, questo sistema è ampiamente esposto alla possibilità di brogli.

3 – I costi. Se per le elezioni politiche 2008 sono stati spesi 16 milioni di euro, per i referendum del 2011 l’onere a carico del contribuente italiano è stato di circa 24,5 milioni di euro. Nel 2011 coloro che avevano diritto al voto erano 3.300.496, di cui sono risultati votanti 761.752, vale a dire il 23,07% del totale. Ora, gli italiani all’estero rappresentano ben il 7% di tutti gli aventi diritto; come si vede una percentuale abbastanza rilevante per modificare i risultati elettorali, che dunque non può non far gola ai nostri politicanti, di qualsiasi colore

Ma, come si è detto, la gran parte di queste persone non ha alcun legame con il nostro Paese. Senza contare quanto ci vengono a costare gli eletti, i quali, vista la distanza fisica dall’Italia, hanno diritto a rimborsi e prebende milionarie.

Vediamo quali.

Camera – Nel bilancio 2012 della Camera i 12 deputati eletti nelle circoscrizioni estere hanno ottenuto ben 950 mila euro solo come rimborso per i viaggi aerei. Che fanno 80 mila euro tondi tondi all’anno solo per gli spostamenti (1)

Poi c’è il capitolo dei ‘furbacchioni’ – e qui davvero c’è da pensare che il DNA italico si mantenga inalterato anche nelle seconde e terze generazioni dei trapiantati all’estero – che camuffano allegramente i loro viaggi di piacere con missioni istituzionali. Naturalmente i costi delle ‘vacanze italiane’ sono a carico nostro. Ma, d’altra parte, il Paese dei ‘furbacchioni’ metropolitani, dei Lusi, dei Fiorito, dei Formigoni, come poteva restare sordo alle esigenze dei ‘furbacchioni’ esteri? (2) Questi signori vengono chiamati – con un bizzarro senso dell’umorismo – i ‘missionari’, perché ‘costretti’ a viaggiare da un capo all’altro del mondo per esercitare la propria attività nel loro feudo elettorale.

Rimborsi di viaggio a parte i nostri bravi deputati eletti all’estero portano a casa un lordo di 10,435 euro/mese, mentre il rimborso per le spese di soggiorno a Roma è di altri 3.503,11 euro/mese. Ogni giorno di assenza produce un decurtamento di 206,58 euro, ma se si partecipa almeno al 30% delle votazioni, si è considerati presenti.

Poi ci sono altri 3690 euro; 50% a titolo di rimborso di spese documentate (collaboratori, consulenze, ricerche, gestione dell’ufficio, uso di reti pubbliche di dati, convegni etc) e 50% a forfait. Per spostarsi hanno una tessera di libera circolazione mentre per i trasferimenti casa-aeroporto e Fiumicino–Montecitorio ricevono 3.323,70 euro ogni tre mesi, che salgono a 3.995,10 euro se la distanza da percorrere supera i 100 km.

Ma non è finita qui; va aggiunta un’indennità annua di 3.098,74 euro per le spese telefoniche.

Poi, a fine mandato, il deputato ‘estero’ incassa un assegno pari all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità per ogni anno di ‘lavoro’ o per ogni frazione inferiore a sei mesi. In pensione – udite gente – si va a 65 anni dopo un mandato di almeno 5 anni. Per ogni anno in più diminuisce l’età minima, fino a 60 anni.

Mentre al cittadino qualsiasi non ne bastano 40 di anni di lavoro per andare in pensione! 

Senato – I senatori ricevono una indennità lorda di 12.005,95 euro con una diaria di 3.500 euro, somma da ridurre di un quindicesimo se non partecipano ad almeno il 30% delle votazioni della giornata. Per le attività vengono erogati 4.180 euro, di cui 1.680 corrisposti direttamente al politico e 2.500 versati al Gruppo parlamentare cui appartengono. E i rimborsi forfettari? 1.650 euro l’anno, comprensivi di spese di viaggio e spese telefoniche.

Ecco che allora, pur rappresentando cittadini che – per la maggior parte – del nostro Paese sanno e si curano ben poco, gli onorevoli ‘esteri’ guadagnano molto di più degli omologhi italiani, che pure – come è ben noto – non si fanno mancare nulla.

4 – Il lavoro delle rappresentanze. Dopo i tagli della benemerita spending review montiana i bilanci e il personale delle sedi diplomatiche all’estero sono stati ampiamente – ed empiamente – falcidiati.

Non vi sono più fondi per la rappresentanza, per la lingua e cultura italiane, per gli eventi artistici, nonostante i tromboni governativi si riempiano la bocca con il refrain ‘2013 anno della cultura italiana’.

fEppure si trovano senza problemi oltre 25 milioni di euro di fondi per il nonsenso del voto degli italiani all’estero che comporta evidentemente un superlavoro che aggrava una situazione di già precario equilibrio.

Infatti – a differenza di altri Paesi dove il cittadino residente all’estero deve andare precedentemente a registrarsi presso il proprio consolato per attestare il suo diritto al voto e poi andare a votare – le nostre rappresentanze diplomatiche fanno l’inverso: vanno a ‘cercare’ i cittadini italiani sulla base delle liste Aire. Ciò richiede un enorme lavoro di aggiornamento dei dati anagrafici che comporta – come scrive una nota del Ministero Affari Esteri – “l’impiego a tempo pieno di uno o due addetti in media per ciascuna sede diplomatica o consolare, di un ufficio (sei funzionari/impiegati e un diplomatico) presso la sede centrale, nonché l’assunzione di mano d’opera temporanea presso le sedi all’estero in occasione delle singole consultazioni per le operazioni di “allineamento” dei dati” (3)Ora – prosegue giustamente il documento – “questo personale potrebbe essere impiegato nella promozione economica o culturale dell’Italia. Da non sottovalutare, inoltre, che ogni Capo Missione o Capo ufficio all’estero è costretto a dedicare alla materia gran parte del proprio tempo per almeno un mese in occasione di ogni singola consultazione elettorale, a inevitabile detrimento di altri settori”.

Così, grazie alla ‘caccia all’elettore’ condotta faticosamente dalle rappresentanze precedentemente ‘sfoltite’, i residenti all’estero ricevono a domicilio il plico elettorale contenente le schede e le istruzioni sulle modalità di voto. All’impegno lavorativo dei funzionari consolari vanno poi aggiunte le spese di spedizione postale verso oltre 3 milioni di persone, i costi postali dei plichi che ritornano al mittente, e non solo.

Già, perché la ciliegina sulla torta è costituita dai costi pubblicitari sui media locali, volti a comunicare l’esistenza della sessione elettorale.

Insomma, se tu sei un italiano che dell’Italia non sa più nulla e che magari ha cambiato domicilio e non è in grado di ricevere il plico, si presume che, aprendo il giornale della tua città, tu venga ‘casualmente’ a sapere delle prossime elezioni in Italia e, di conseguenza, ti precipiti in consolato per ritirare la tua scheda elettorale.

Peccato, però, che oltre a pagare queste inserzioni pubblicitarie normalmente a pagina intera a prezzo pieno – in quanto non clienti abituali – il ritorno delle stesse è praticamente infinitesimale, non producendo effetti sensibili sul voto.

Un voto che quindi, oltre a presentare gravissime lacune che ne compromettono la sicurezza, è costosissimo e crea seri problemi di funzionamento alla rete delle rappresentanze italiane all’estero.

Vogliamo azzardare delle conclusioni?

eAllora, diciamo che mentre gli studenti italiani all’estero – che dovrebbero rappresentare l’avanguardia intellettuale e sociale del Paese e una garanzia per il futuro – o tornano in Italia a proprie spese o non possono esprimere il proprio voto alle elezioni politiche, centinaia di migliaia di connazionali – che d’italiano hanno solo il passaporto e talvolta neppure il cognome – possono esprimere a nostre spese un voto totalmente estraneo ai loro e ai nostri interessi.

Ma in fondo questo nonsenso appare in linea con la consolidata tendenza della governance italiota, che potrebbe venir così sintetizzata: nessun interesse per i giovani, per la scuola, per la ricerca, per l’arte, per la salute, ma grande riguardo per la casta, gli interessi particolari, le spartizioni dei partiti.

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