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di Piero Cammerinesi

Roma, 26 Marzo 2006

 

Ho appreso la notizia e ho pianto. Per lui, Angelo, l’amico. Per la moglie, i figli, sua sorella, l’artista di casa. Ma non solo. Anche per tutti noi, privati del suo sorriso e del suo entusiasmo, del suo coraggio e della sua serietà.

Per il mondo intero che domani si risveglierà senza un eroe. Qualcuno disse: “povero quel popolo che ha ancora bisogno di eroi”. A lui rispondo: “misero quel popolo che crede di non aver bisogno di eroi”, perché le sue genti non sapranno alzare la testa e guardare il cielo.
Quel cielo che era la patria di Angelo.

Mai nome fu più azzeccato; nato angelo ancora senz’ali, pesante di terrestre grevità, se le era conquistate, le sue ali, con determinazione senza pari, mostrando al mondo cosa vuol dire ardimento e tenacia.
Il circo mediatico da domani snocciolerà i suoi primati e le sue imprese; l’Everest, il Sahara, la Siberia, l’Aconcagua, le macchine volanti di Leonardo da Vinci, parlerà dei suoi amici uccelli: gru, aquile, condor, con i quali sapeva parlare il linguaggio delle creature dell’aria.

Ma Angelo D’Arrigo non era solo imprese e sfide impossibili.

Era uno spirito libero – di quelli che oggi non vanno più di moda – senza ammiccamenti per il potere e la celebrità. Se cercava degli sponsor per le sue imprese lo faceva solo per coprire i costi elevatissimi di una organizzazione che doveva essere impeccabile da tutti i punti di vista; tecnico, scientifico, di sicurezza.

Angelo, un vero eroe del nostro tempo.

Eroe nell’animo prima ancora che nei suoi incredibili primati di uomo che sfida la legge di gravità.
Nato con il sogno di condividere il cielo con le creature dell’aria, ha perseguito la sua missione terrestre con silenziosa e tenace fedeltà. Come è purtroppo una triste normalità in questo Paese – per chi non ha la ventura di appartenere alle categorie privilegiate dei calciatori o delle veline – era molto più conosciuto all’estero che in patria. Mi ha spesso raccontato che in altri Paesi veniva fermato per strada, mentre in Italia…

L’ho abbracciato l’ultima volta a Roma in occasione dell’inaugurazione della mostra di pittura della sorella Giusy; mi è rimasto a lungo vicino.Ho cacciato come un insetto fastidioso un presentimento inconfessabile. L’ho abbracciato forte e ci siamo dati appuntamento a Machu Picchu in giugno per l’evento cui stava lavorando da anni: riportare i condor in quella magica valle peruviana.

Un’impresa che era al tempo stesso sportiva, scientifica, culturale, ecologica, spirituale.

Questo era Angelo D’Arrigo e così lo ricorderò sempre: uno spirito lieve in un mondo inchiodato alla sua pesantezza, uno squarcio di cielo nell’oscurità terrestre.

(Da IL GIORNALE DI SICILIA)

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