Ancora stragi che fanno vacillare i nostri cuori; come reagire?

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imagesL’ennesima insensata violenza nei confronti di bambini pone i nostri animi e le nostre menti di fronte a domande che non trovano risposte né sul piano razionale né su quello emotivo. 

Anzi, direi, che ci producono – se siamo sufficientemente sensibili – una sorta di cortocircuito dove la ragione annaspa – non trovando interpretazioni sensate – e il sentire viene travolto da una emozione che il pensiero non è in grado di arginare.

di Piero Cammerinesi (corrispondente dagli USA di Coscienzeinrete)

Perché 20 bambini sono stati massacrati a Newtown, come decine di altri prima di loro a Littleton o Platte o Virginia Tech o Chardon o Columbine? Perché proprio loro? Perché ancora una volta negli Stati Uniti? Perché non è stato fatto di più per evitare l’ennesimo ripetersi di queste tragedie?

Il sentimento, la partecipazione emotiva a questi eventi imprimono alla nostra anima un movimento pendolare, che va dal dolore cieco alla volontà di vendetta, alla ricerca della responsabilità di qualcuno che possa canalizzare ed esorcizzare il tumulto del nostro sentire.

 “Pain is incomprehensible” titolava oggi la CNN il suo servizio di punta; il dolore è indecifrabile.

L’odio o la condanna di qualcuno o qualcosa – l’assassino, la lobby delle armi, il governo – ci aiuta a sottrarci alla morsa di una sofferenza il cui senso – indecifrabile – sarebbe di rivelarci qualcos’altro.

 Chi abbia seguito gli ultimi discorsi di Obama – con le sue lacrime e la sua emozione – sa che questi giorni sono ancora una volta all’insegna dell’ennesimo tentativo da parte di questo popolo di capire se stesso. Con le sue forti spinte religiose e morali da un lato ma anche con la teorizzazione e giustificazione della violenza e dell’uso delle armi dall’altro.

E oggi – a celebrazioni compiute e lacrime spese – è partita la caccia all’eroe; la maestra che ha chiuso i bambini nell’armadio o quella che è andata incontro all’assassino.

La celebrazione degli eroi aiuta a riprendere fiducia in se stessi; al ‘male assoluto’ dell’‘uomo nero’ di turno viene contrapposto il ‘bene assoluto’ dell’eroe che sacrifica la vita per la salvezza degli altri.

 “Le armi non uccidono, sono gli uomini a farlo” – come dicono i sostenitori della potentissima lobby degli armamenti – d’accordo, ma perché gli uomini lo fanno e soprattutto perché nei confronti di quello che è per tutti – o quasi – il simbolo stesso della sacralità, il bambino, fondamentalmente il portatore del futuro, della continuazione di noi stessi?

Va inoltre tenuto presente che in questo Paese i kids – i bambini – hanno una sacralità particolare; a loro i genitori dedicano veramente ogni momento libero dal lavoro; li seguono a scuola, in ogni istante della giornata, gli dedicano i weekend, salvo poi – a differenza di quanto avviene in Italia – distaccarsene in modo piuttosto netto una volta divenuti maggiorenni. 

In molti hanno cercato di comprendere questo enigma, giustamente riferendosi alle contraddizioni della società americana, alla violenza serpeggiante, a partire dalla competitività estrema della scuola, per continuare con il lavoro, con la televisione, il cinema, senza parlare delle guerre e dei massacri condotti da decenni in ogni parte del mondo.

Tutto giusto, tutto vero, anzi verosimile.

Eppure manca qualcosa.

Il fatto è che chi si pone di fronte a questo enigma esclusivamente con il sentire o l’istinto – dato che il pensiero ne viene per così dire paralizzato – non è in grado di afferrare il senso completo di questi avvenimenti. Come può dunque uscire da questo cortocircuito – senza semplicemente attendere che l’emozione svanisca da sola con il ‘raffreddarsi’ della notizia – il ricercatore spirituale?

Sappiamo che per comprendere ciò che agisce sulla terra tra nascita e morte è necessario conquistarsi una conoscenza spirituale, per poter cogliere qualcosa dell’intero quadro, altrimenti non saremo mai in grado di trovare risposte ai grandi enigmi che la vita ci pone di fronte.

Se alla ragione ordinaria la morte – in particolare morte violenta – di un bambino appare come una ‘ingiustizia assoluta’ questa è pur sempre solo una parte della realtà completa, che comprende l’intero essere spirituale di quell’individuo – dunque il suo karma, il karma del suo popolo e dell’intera umanità.

L’insensatezza della morte di un bambino – che ha ‘tutta la vita davanti’ – può trovare la sua spiegazione solo se consideriamo la vita come qualcosa che non si esaurisca tra nascita e morte.

In realtà anche la vita (fisica) più breve ha il suo senso; può ad esempio darsi il caso di esseri che dovevano solo ‘perfezionare’ alcune importanti facoltà per la loro individualità, facoltà che avevano bisogno solo di pochi anni sulla terra. Non ci dobbiamo immaginare che quello che era un bambino sul piano fisico sia in qualche modo un bambino anche sul piano spirituale; potrebbe trattarsi di un’anima estremamente evoluta, che, naturalmente, allorché era scesa sulla terra doveva attraversare la naturale evoluzione infantile. Se poi siamo in grado di seguire questi esseri dopo il loro passaggio attraverso la soglia della morte ci avvediamo che essi si collegano immediatamente con anime umane che stanno per scendere sulla terra, che sono, per così dire, in attesa di incarnarsi.

I bambini morti sono per questi esseri di enorme aiuto e conforto, sono dei veri e propri messaggeri che li aiutano a prepararsi a discendere sulla terra.

Inoltre la saggezza spirituale ci dice che quando perdiamo dei bambini essi in qualche modo non ci abbandonano, ma restano vicino a noi.

Questo si manifesta allo sguardo chiaroveggente indagando sui messaggi che le persone care rimaste sulla terra ricevono al mattino – in quello stato intermedio tra il sonno e la veglia – e che provengono direttamente dai bambini scomparsi. Il lavoro di tali anime si manifesta poi in una particolare tendenza alla mitezza che i loro cari sviluppano nel proseguimento della loro vita. Spesso, infatti, ci sorprendiamo nel vedere interviste di persone che hanno perduto un figlio e che solo dopo pochi mesi o anni mostrano un atteggiamento che ci sembra incomprensibile, di perdono, di comprensione, di – quasi – serenità.

I bambini dunque – una volta attraversata la soglia – s’inseriscono immediatamente nella comunità delle anime che agiscono nel Mondo spirituale e lavorano attivamente alla trasformazione del piano terrestre.

Questo lavoro di modifica è affidato specificatamente alle anime di bambini morti in giovanissima età.

Si tratta di correnti di forze che lavorano per così dire a cavallo dei due mondi; quello spirituale e quello fisico.

I bambini morti sono gli intermediari tra gli esseri dei due mondi.

E questo purtroppo è ben noto ai praticanti di magia nera, che sacrificano coscientemente dei bambini per mantenere con loro un contatto anche dopo la morte, cercando in qualche modo di ‘incatenare’ le loro anime per ricavarne delle ‘iniziazioni’ improprie.

Sono otto milioni i bambini che scompaiono nel nulla ogni anno.

Ma questo è un altro discorso. 

In ogni caso le anime dei bambini – che hanno sperimentato così poco dell‘esistenza terrestre – preparano dentro di sé una poderosa spinta verso una spiritualizzazione e moralizzazione del proprio popolo e dell’intera terra nella loro successiva incarnazione terrestre.

Se poi aggiungiamo a ciò il fatto che la onnipervasiva violenza del tessuto sociale americano produce degli influssi venefici non solo sulle anime più deboli – esseri incarnati a volte senza ‘Io’ – ma anche su tutto il mondo eterico che circonda la terra fisica, che si ‘impregna’ di questi pensieri, comprendiamo come nasca l’esigenza di una sorta di compensazione, dove tali giovani anime – strappate brutalmente alla vita – cercano di riparare i danni che questo popolo produce a se stesso. 

Esseri che in qualche modo si ‘sacrificano’ per il popolo cui appartengono, in modo da portarvi delle nuove energie morali.

 Eroi, dunque, come anche l’uomo della strada oscuramente sente dentro di sé.

 Come si può vedere, dunque, il punto di vista di un discepolo dello Spirito si presenta in modo molto più articolato rispetto a chi voglia interpretare questi avvenimenti solo da un punto di vista materialistico. Questo non significa non provare sofferenza, anzi, essa è sicuramente più profonda, ma tale sofferenza ci parla e ci fa meglio comprendere noi stessi e il mondo.

In realtà solo l’indagine della realtà nel suo complesso – sensibile e sovrasensibile – ci può aiutare a penetrare il mondo in cui viviamo, evitando di farci paralizzare da emozioni e istinti oscuri.

 

 

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