La storia è nota: una giovane studentessa di veterinaria di Bologna, Caterina Simonsen, affetta da 4 gravi e rare patologie ha confessato pubblicamente di essere favorevole alla ricerca che include la sperimentazione animale in quanto, invece di morire a 9 anni, essa le ha permesso di arrivare ai 25 anni.
di Piero Cammerinesi (corrispondente dagli USA di Coscienzeinrete Magazine e Altrainformazione)
Ha altresì aggiunto che il suo progetto di studio – Caterina è peraltro vegetariana – intende proprio aiutare il mondo animale anche se, a suo dire, vi sarebbero ancora delle aree in cui non esistono metodi alternativi validi alla sperimentazione animale[1].
Il suo outing su Facebook ha scatenato, come è noto, la reazione smodata di sedicenti animalisti che l’hanno coperta di insulti e di auguri di morte.
Ecco solo alcuni esempi: “Per me potevi pure morire a 9 anni, non si fanno esperimenti su nessun animale, razza di bestie schifose”. “Per me puoi pure morire domani. Non sacrificherei nemmeno il mio pesce rosso per un’egoista come te”. “Se crepavi anche a 9 anni non fregava nulla a nessuno, causare sofferenza ad esseri innocenti non lo trovo giusto”.
Da quel momento gli utenti, i lettori, i cosiddetti ‘esperti’ si sono immediatamente schierati da una parte o dall’altra in una serie infinita di motivazioni e schermaglie.
Ma – premetto che personalmente sono contrario alla sperimentazione animale perché la ritengo poco utile scientificamente – quello che manca nella maggior parte delle considerazioni che vengono fatte su questo caso – e vi sono tanti altri casi simili – è una meditazione sul come possa accadere che persone che si dicono amanti del mondo animale, che si dedicano ad esso, che ritrovano un proprio elemento di generosità e di consapevolezza nel cercare di compensare le terribili violenze che vengono compiute nei confronti degli animali, possano poi arrivare ad augurare di morire a una ragazza di 25 anni solo perché esprime una opinione diversa dalla loro.
L’attenzione per il mondo animale dovrebbe nascere da un senso di amore per il creato, nel quale è compreso anche il mondo umano; il difendere il primo e fare violenza sul secondo – l’intolleranza e la sopraffazione nei confronti delle idee altrui è violenza sull’uomo – è qualcosa che merita una profonda riflessione.
Che amore può essere quello di chi non è in grado di comprendere la sofferenza di un essere umano solo perché questi sostiene convinzioni diverse dalle proprie?
Non può essere amore.
Infatti non lo è.
Cos’è allora? Riflettendoci sopra ci accorgiamo che la radice del comportamento di questi sedicenti animalisti è la stessa dei talebani in Afghanistan, degli estremisti islamici, degli americani con la loro missione imperiale, dei nazisti con il “Gott mit uns”, dei sionisti, insomma di tutti coloro che si sentono ‘speciali’, che sentono incombere su di sé il compito di trasformare il mondo.
Il sentimento della propria ‘eccezionalità’ – come notava sagacemente Vladimir Putin in un suo recente intervento sul New York Times[2] in occasione della crisi siriana – è estremamente pericoloso; ha portato sempre alle peggiori catastrofi.
Il sentirci ‘diversi’, ‘migliori’ il pensare che solo noi abbiamo le giuste ricette per la salvezza del mondo è già violenza.
Già opposizione, dunque mancanza di attenzione, di comprensione nei confronti dell’altro.
Come giustamente faceva notare Massimo Scaligero negli anni della rivolta giovanile, lo stesso marciare per la pace può essere foriero di guerra.
“Quando si vedono cortei in marcia, pacifici o minacciosi, sotto qualunque segno essi muovano, recanti cartelloni o grandi ritratti, occorre pensare che, per quanto ciò possa essere l’espressione di sentimenti giustificati, è il segno di una mancanza di fiducia nella ragione umana: è il segno della persistente incapacità dell’uomo a operare mediante l’impulso della conoscenza, a muovere la realtà con la forza della moralità e della sua logica[3]”.
Se io alla volontà di pace associo – invece di sentirmi corresponsabile della condizione del mondo in cui vivo e quindi anche della guerra – la totale responsabilizzazione degli “altri” e la mia completa estraneità, porto in me il germe dell’avversione.
Marcio per la pace ma preparo la guerra.
Lo stesso potremmo dire riguardo a questa brutta storia italiana. C’è chi crede di amare il mondo animale ma in realtà fa esattamente l’opposto di quanto il mondo animale gli chiede: vale a dire crescita di coscienza e sviluppo morale.
La richiesta di rispetto e comprensione che il mondo animale ci fa non passa per l’avversione verso l’altro essere umano, ma per una nostra personale crescita interiore.
In particolare non può essere ammissibile – in nessun caso e per nessun motivo – aggredire altre persone a solo motivo delle loro idee.
Questo significa lavorare contro l’evoluzione e contribuire al degrado del nostro mondo.
Come scriveva Annie Heuser, cofondatrice delle scuole Waldorf: “Non basta neanche essere disposti a sacrificare le proprie idee sull’altare della verità; occorre, piuttosto, percorrere quel processo che conduce alla perdita di ogni appoggio precedente. E, coscientemente attivi, sopportare, senza perdere se stessi, il buio che ne segue”.
Vale a dire essere pronti ad andare oltre ogni verità conquistata, rinunciare ad ogni appoggio, essere in grado di accogliere le idee dell’altro con interesse e rispetto.
Non sarebbe male iniziare a provarci.