Secondo un recentissimo studio, un capo d’azienda su cinque è uno psicopatico, una percentuale simile a quella dei detenuti.
La ricerca condotta dallo psicologo forense Nathan Brooks della Bond University ha rilevato che il 21% di 261 professionisti aziendali presenta tratti psicopatici clinicamente significativi.
Caratteristiche come l’incapacità di empatia, la superficialità e l’insincerità sono tutte associate a questa condizione.
Brooks ha affermato che i risultati dovrebbero consigliare alle aziende di selezionare i dipendenti in base alle caratteristiche della loro personalità, piuttosto che alle loro competenze.
Secondo Brooks, un tipo di “psicopatico di successo”, che potrebbe essere incline a pratiche non etiche o illegali, è stato ammesso ai vertici delle aziende a causa delle modalità di assunzione.
Insieme ai ricercatori Katarina Fritzon della Bond University e Simon Croom dell’Università di San Diego, Brooks ha presentato lo studio al congresso annuale dell’Australian Psychological Society a Melbourne.
“Abbiamo esaminato circa 1.000 persone e lo studio sulla gestione della catena di approvvigionamento, che ha coinvolto 261 professionisti aziendali, è stato il più interessante”,
ha dichiarato all’ABC.
Secondo Brooks, questa percentuale
“è simile a quella che troveremmo in una popolazione carceraria”.
Nella popolazione generale, solo l’1% è costituito da psicopatici, anche se alcuni studi parlano di una percentuale del 4%.
Scott Lilienfeld, della Emory University di Atkanta, anch’egli relatore sulla psicopatia al Congresso dell’APS, ha dichiarato al sito australiano news.au:
“Gli psicopatici sono sovrarappresentati in alcune professioni: politica, affari, sport ad alto rischio. La ricerca su questo aspetto è in fase preliminare. Essere uno psicopatico potrebbe predisporre qualcuno al successo a breve termine. Tendono a essere affascinanti e appariscenti, il che rende più facile il successo a breve termine, anche se questo può essere acquistato a spese di un fallimento a lungo termine”.
Harriet Agerholm
Tradotto dall’inglese da Piero Cammerinesi per LiberoPensare