Non ricordo in quale dei capolavori letterari di Saul Bellow lessi questa frase: “L’America è il banco di prova dell’umanità” ma rammento che mi colpì assai e per varie ragioni.
Sapevo istintivamente che racchiudeva un profonda verità ma non comprendevo bene quale.
Né sapevo quanto avrebbe rappresentato anche per il mio destino; non era infatti allora neppure lontanamente all’orizzonte il mio trasferimento nel Nuovo Mondo e i quasi dieci anni di vita trascorsa Oltreoceano.
Il frutto di quell’esperienza è stato profondamente significativo per la mia vita, altrettanto quanto il destino dell’America – meglio sarebbe dire Stati Uniti d’America, visto che non parliamo dell’intero continente – è fondamentale per comprendere il presente.
Ecco allora che oggi, contemplando gli avvenimenti di questi ultimi mesi, questa frase “L’America è il banco di prova dell’umanità” mi ritorna prepotentemente alla memoria.
Banco di prova vuol dire che in questo Paese si sperimentano – naturalmente nella nostra epoca, ché in passato altre furono le civiltà dominanti – i grandi cambiamenti, le transizioni fondamentali che poi, a seguire, interessano l’intero pianeta.
Così è dal secondo dopoguerra, quando la musica, la letteratura, la cinematografia, la moda americane – senza parlare ovviamente dell’invasione militare di mezzo mondo ancor oggi in atto – sono state un veicolo di trasformazione globale.
Oggi questo è ancor più evidente se analizziamo spassionatamente quanto sta accadendo alle elezioni USA, che non esito a definire un punto di svolta emblematico di quello che insistiamo a chiamare ‘sistema democratico’ che di democratico – e non solo Oltreoceano – non ha più molto.
Cosa sta accadendo veramente negli USA?
Nel silenzio assordante del mainstream media, dall’una e dall’altra sponda dell’Atlantico, si sta preparando una svolta epocale; la presa di coscienza del popolo americano – e non solo – dello stato di profonda crisi della democrazia.
Dobbiamo renderci conto, infatti, che quello che sta accadendo in questi giorni negli USA non riguarda solo gli Stati Uniti ma è straordinariamente importante per tutto il pianeta.
Da una parte assistiamo ad una vera e propria congiura – davvero non so come chiamarla diversamente – di tutta la stampa internazionale che, dalla notte del 3 Novembre ad oggi, ha decretato Biden come il vincitore delle elezioni senza nessun elemento probante, senza investiture legali, ed ha riconfermato ossessivamente tale risultato in modo che non vi fosse spazio per eventuali voci discordanti.
Senza citare i social come Twitter e YouTube che hanno addirittura censurato i messaggi di quello che è comunque un presidente in carica.
I media che descrivono – senza eccezioni – The Donald come un ragazzino viziato che non vuole lasciare il giocattolo che ha rubato agli amichetti, un mitomane incapace di perdere, stanno oggi iniziando a rendersi conto che non potranno sostenere a lungo una narrazione di questo genere se non vorranno perdere ogni autorevolezza.
Autorevolezza e credibilità che stanno di fatto già perdendo se si esaminano i cali generalizzati di lettori/spettatori, tant’è che si stanno iniziando a vedere le prime crepe nelle versioni ufficiali.
Il fatto è che oggi non è più possibile ignorare l’esistenza di oltre 140 deputati e una dozzina senatori – e sono gli stessi mainstream media a riconoscerlo – che promettono battaglia tra tre giorni, il 6 di Gennaio.
Una battaglia senza precedenti, con l’annuncio di non voler convalidare la presunta elezione di Joe Biden.
I parlamentari ribelli – meglio sarebbe definirli ‘obiettori di coscienza’ – esigeranno dal Parlamento l’istituzione di una commissione di inchiesta con procedura d’emergenza, onde indagare sulle irregolarità del voto negli Stati da dove provengono migliaia di testimonianze di brogli elettorali.
La sfida è stata lanciata dal deputato repubblicano Mo Brooks con l’obiettivo che il 6 Gennaio vengano bocciati i voti dei grandi elettori degli Stati dove vi sono un gran numero di serie accuse di diffusa frode elettorale.
Per quanto riguarda il Senato la fronda era partita dal senatore Josh Hawley, che aveva affermato di “essere moralmente e costituzionalmente obbligato a farlo a causa dell’apparente disprezzo per la legge osservato nel modo in cui diversi Stati hanno condotto le loro elezioni”.
L’impressione – ad oggi 3 Gennaio – è che, giorno dopo giorno, il sentimento generale pro-Biden stia cambiando rapidamente ed anche i congressmen più pavidi inizino a capire che la cosa non si potrà risolvere come nel caso del duello Al Gore/Bush del 2000.
I congressmen e i senatori sono sopratutto concordi sulla inaccettabilità dell’azione di cambiare in corsa le regole elettorali da parte di alcuni degli Stati in bilico.
Mentre la stessa Corte Suprema si era pilatescamente lavata le mani di fronte alla prima azione legale intentata dal Texas sulla scorrettezza delle procedure elettorali in alcuni Stati della Confederazione – emise in tale occasione un rifiuto solo procedurale, senza un’analisi delle prove – oggi un numero crescente di congressmen e di senatori sente la pressione non solo di oltre 75 milioni di americani, convinti che le elezioni siano state rubate, ma anche di tutta l’opinione pubblica del Paese che sembra ormai poco disposta a continuare ad ignorare quanto sta accadendo, mentre i media ripetono a macchinetta il mantra secondo cui “non ci sono mai state elezioni così trasparenti”.
Un evento unico
In realtà quello cui stiamo assistendo oggi è qualcosa che non si era mai visto prima nella storia americana; se il 6 Gennaio non ci sarà accordo su quali grandi elettori (se quelli pro-Biden o quelli pro-Trump) dovranno partecipare per Georgia, Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, Arizona e Nevada, facendo valere i loro voti elettorali, il vicepresidente Mike Pence, presidente del Senato insieme al presidente della sessione congiunta potrebbero dover decidere autonomamente a chi assegnare la presidenza.
E se il vicepresidente Pence, con un voto di rottura, non prendesse in considerazione i voti elettorali degli Stati contestati, viste le moltissime prove di frode elettorale, non assegnando quindi la presidenza né a Donald Trump né a Joe Biden, in quanto nessuno dei due raggiungerebbe il quorum dei 270 voti richiesti, la Camera voterebbe come quorum di Stati, così che ogni Stato avrebbe diritto ad un solo voto.
In tal caso Donald Trump quasi certamente vincerebbe.
Chi vince e chi perde veramente
Ora, nonostante la popolazione sia stata “allagata” da informazioni false e ingannevoli, la cosa interessante è che gli americani hanno una speciale capacità di alzare la testa e di ribellarsi nei momenti di svolta della loro storia e questo è certamente uno di quelli.
Dai Tea Party ai movimenti anti-apartheid, dalle rivolte studentesche contro la guerra del Vietnam all’impeachment di Nixon, ancora una volta oggi la percezione popolare inizia ad allontanarsi progressivamente dalla narrativa mediatica.
Dai sondaggi degli ultimi giorni emerge, infatti chiaramente, che oltre la metà della popolazione è convinta che il risultato delle elezioni sia stato falsificato a causa di un numero molto elevato di brogli.
Addirittura secondo la società di ricerche di mercato Gallup, Trump, nonostante il totale blackout da parte dei media, si conferma l’uomo più popolare del Paese.
Quello che la gente si sta chiedendo a questo punto – e i politici questo non potranno proprio ignorarlo – non è tanto chi vincerà le presidenziali 2020 ma chi e perché ha pianificato ed attuato la frode elettorale più ampia, complessa e strutturata di tutta la storia americana se non mondiale.
Questo è il punto ora; non è l’uno o l’altro presidente a perdere ma la democrazia e la stessa immagine dell’America di fronte al mondo.
È evidente che oggi, con oltre 75 milioni di americani pro-Trump e la slavina di cause che stanno fioccando nei 6 Stati contestati nonché alla Corte Suprema, oltre naturalmente agli oltre 140 deputati e alcuni senatori che daranno battaglia al Parlamento, non sarà possibile insabbiare il tutto perché a questo punto il rischio sarebbe quello della guerra civile.
Mentre il sindaco (democratico) di Washington vuole emettere una ordinanza per far chiudere d’autorità alberghi, bar, ristoranti e pompe di benzina a Washington DC per ostacolare la marcia di oltre un milione di persone del 6 Gennaio, Trump annuncia un nuovo comizio domani e delle rivelazioni sconvolgenti nei giorni a seguire.
Nel frattempo pare sia giunto nelle mani di The Donald il rapporto di John Ratcliffe, capo dell’intelligence che dimostrerebbe “ingerenze straniere” nelle elezioni di Novembre.
Come se tutto ciò non bastasse giunge alla ribalta oggi l’ultima previsione, quella che viene dall’Iran, secondo cui “Trump non sarà rieletto, perché nel frattempo sarà morto”.
Come si vede un quadro assolutamente straordinario, come è stato straordinario questo 2020 appena trascorso che dimostra chiaramente l’attuarsi della Grande Transizione di cui si è spesso parlato.
Come scrissi nel 2016, prima dello spoglio dei risultati delle precedenti elezioni USA, non ero affatto convinto della vittoria data per scontata di Hillary Clinton nei confronti di Donald Trump, così non lo sono questa volta su Joe Biden alla Casa Bianca.
Al contrario, come ho scritto più volte, sono incline a pensare che alla fine la verità dei fatti tenderà ad emergere, non fosse altro che per garantire la tenuta delle istituzioni, la pace sociale e l’immagine dell’America nel mondo.
Sopratutto quest’ultimo è un concetto che, per quanto a noi possa sembrare retorico per un popolo patriottico – vengono allevati con questi ideali dalla culla alla tomba – ha un’importanza colossale.
Per questo motivo sono incline a ritenere che i “fuochi d’artificio” cui assisteremo nei prossimi giorni – di fronte ai quali i colpi di scena della serie House of Cards fanno sorridere – non decreteranno tanto la vittoria di Donald Trump o Joe Biden ma della legalità democratica o dell’illegalità del potere globale.
Sarà comunque – già lo è – un evento storico di proporzioni colossali e con enormi ricadute su tutto il globo.
Allacciate le cinture…sono previste turbolenze in volo.